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PARMA

 

TEATRO

FARNESE

 

 

 

COMUNE
Parma
PROVINCIA
Parma
DENOMINAZIONE
Teatro Farnese
TIPOLOGIA
Cavea semi ellittica a gradoni in una pianta a U

 


STORIA

Nel 1617 Ranuccio Farnese, in previsione dei solenni festeggiamenti per l'imminente visita di Cosimo II dei Medici - d cui si preannunciava una sosta a Parma nell'occasione di un pellegrinaggio alla tomba di San Carlo a Milano - diede l'avvio alla costruzione di un sontuoso teatro nella sala d'armi del Palazzo della Pilotta e ne affidò la progettazione all'architetto, ingegnere Giovan Battista Aleotti detto l'Argenta, coadiuvato nei lavori da Giovan Battista Magnani con la sovrintendenza del marchese Enzo Bentivoglio.
Sfumata per motivi diplomatici la visita dell'illustre ospite, il teatro, che era già ultimato nel 1618, venne inaugurato soltanto nel 1628 col torneo Mercurio e Marte di Claudio Achillini, rappresentato per celebrare le nozze di Odoardo Farnese e Margherita dei Medici, la cui unione sanciva un'alleanza politica.
Le medesime ragioni politico - amministrative avevano promosso dieci anni prima la grandiosa costruzione per la quale l'Aleotti ideò un progetto che, pur traendo alimento dalle sperimentazioni dal teatro classico, si realizzò in una soluzione tesa a divenire prototipo del teatro moderno e "momento fondamentale dell'evoluzione dei valori scenografici dell'architettura e della decorazione in Emilia".


ARCHITETTURA E INTERNI

 

L'Aleotti elaborò inoltre, la soluzione classica della cavea semi ellittica a gradoni in una pianta a U sviluppata in altezza in un loggiato determinato dalla sovrapposizione di due ordini di serliane.

Altra innovazione fu lo stacco netto tra la zona del pubblico e quella dell'azione teatrale, ottenuta tramite l'erezione di un vastissimo palcoscenico delimitato da un ampio boccascena, ricavato in una parete risolta architettonicamente e che, articolandosi lateralmente in sporti angolari, si congiunge alla cavea attraverso le finte nicchie dipinte in cui trovano posto le statue equestri di Odoardo e Ranuccio Farnese.
Il teatro venne costruito in tempi brevissimi e con i materiali tipici della pratica dell'effimero - legno, stucco, cartapesta - anche qui usati per simulare marmi e metalli preziosi in un gioco di rimandi e allusioni completato dalla decorazione pittorica (in parte eseguita da Lionello Spada e Girolamo Curti).
Date le sue enormi dimensioni la sala venne utilizzata ben poche volte di cui l'ultima fu nel 1732; cadde poi in un totale abbandono e nel 1944 fu quasi interamente distrutta da un'incursione aerea.
Restaurata a partire dal 1952 è stata ricostruita in legno come in originale.
Vi si accede tramite l'ampio e scenografico scalone del Moschino che conduce ad un atrio in cui un portale imponente, decorato con le armi farnesiane e inquadrato da colonne corinzie, ne denuncia l'ingresso costituito da uno stretto corridoio che immette direttamente nell'invaso teatrale.
Qui è una cavea delimitata da balaustri e formata da tredici gradoni sui quali s'imposta il primo ordine dorico si serliane cui si sovrappone il secondo ionico terminante con una ringhiera in origine sormontate da figurazioni plastiche.
Le serliane delimitano due gallerie i cui muri e i soffitti erano intermente decorati illusionisticamente, secondo una trama allegorica ormai illeggibile.
A raccordo con la zona del proscenio sono poste le due statue equestri del Reti raffiguranti Odoardo e Ranuccio Farnese, collocate in finte nicchie dipinte e popolate di deità presenti anche nel soffitto che fingeva il cielo stellato e che ora mostra le capriate lignee, in parte ancora originali.
Il boccascena è inquadrato da una partitura architettonica in cui un ordine gigante di colonne e lesene alternate racchiude un doppio ordine di nicchie e finestre cieche.
Il palcoscenico è di eccezionali dimensioni, capace di permettere a quei mirabolanti spettacoli che sono tipici dell'età barocca e resi possibili da quelle macchinerie di cui il Farnese aveva eccezionale dotazione, come ci mostrano i preziosi disegni ancora conservati.
In alcuni di essi compare anche il sipario di Sebastiano Ricci raffigurante divinità su nubi ed eseguito nel 1690 (restaurato nel 1730, ancora esistente nel 1817) per celare al pubblico le operazioni meccaniche necessarie alle mutazioni sceniche e scenotecniche che poteva così apparire come frutto di singolare prodigiosa magia .