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RIMINI

 

TEATRO

VITTORIO EMANUELE

 

 

 

 

COMUNE
Rimini
PROVINCIA
Rimini
DENOMINAZIONE
Teatro Vittorio Emanuele - Amintore Galli
UBICAZIONE
Piazza Cavour
TIPOLOGIA
Pianta a ferro di cavallo con palchetti
USO ATTUALE
Inagibile

 


STORIA


Il teatro comunale di Rimini fu costruito, su progetto di Luigi Poletti, fra il 1842 e il 1857 e nel 1859 fu dedicato a Vittorio Emanuele II.
Il 28 dicembre 1943, nel corso di un bombardamento aereo, fu centrato dalle bombe che provocarono il crollo del tetto della sala e del palcoscenico.
Nell'immediato dopo guerra fu oggetto di un vergognoso saccheggio, per cui oggi di questo magnifico edificio non resta che il corpo, costituito dalla facciata, dagli atri, dal ridotto e dagli scaloni.
Nel 1948 l'amministrazione comunale ne aveva mutato l'intestazione in onore del musicista Amintore Galli (nato a Talamello, Pesaro, il 12 ottobre 1845 morì a Rimini l'8 dicembre 1919. Fu critico musicale e compositore).
Rimini vanta tradizioni teatrali molto antiche e sin dall'epoca romana esisteva un grande teatro.
Dal 1546 si ebbero ogni anno richieste di denaro al Consiglio Comunale, allo scopo di erigere scene per commedie durante il carnevale nel salone del palazzo dell'Arengo.
Sorse così quello che fu chiamato il Teatro del Pubblico, a quattro ordini di ventuno palchetti, costruiti interamente in legno.
Esso funzionò attivamente per oltre 150 anni.
Vi si rappresentarono commedie, drammi, spettacoli di marionette, grandiose opere in musica.
Il Teatro del Pubblico è ricordato nelle sue memorie da Carlo Goldoni che nel 1743 vi allestì il suo "Arlecchino imperatore della luna" in onore delle truppe spagnole e svizzere.
Nel 1796 fu necessario un restauro nel corso del quale fu modificato l'ingresso, a causa delle manomissioni apportate dai soldati spagnoli. Nel 1803, con l'arrivo delle truppe francesi, il Teatro del Pubblico fu ampliato e rinnovato: i palchi furono portati a 25 per ordine, fu ridipinto il soffitto, il parapetto dei palchi e il boccascena.
La sera del 3 gennaio 1843 le sue strutture lignee minacciarono di crollare e il Municipio fu costretto a vietarne l'agibilità, stabilendo di erigere un palcoscenico nel salone dell'Arengo.
Ma veniamo alle vicende che portarono alla costruzione del Teatro Polettiano.
A quel tempo Rimini, compresi i sobborghi, contava una popolazione di circa 17 mila abitanti.
Numerosissimi erano i disoccupati, le fabbriche erano poche e di modeste dimensioni, la ricchezza era mal distribuita e i pochi grandi proprietari generalmente investivano nell'edilizia privata.
Furono loro che diedero origine alla Società di azionisti che finanziò la costruzione del nuovo teatro.

La necessità di aristocratici e alto borghesi, favorita dalla struttura del teatro a palchetti, era quella di fruire, oltre che di un luogo di divertimento anche dell'occasione per mostrare in pubblico la propria condizione sociale privilegiata.
Tuttavia i ceti meno abbietti traevano benefici culturali dai capolavori messi in scena.
Un'altra motivazione a favore della costruzione di un nuovo teatro era quella che i lavori pubblici di questo tipo forniscono l'occasione per dare lavoro a molti disoccupati.
Constatata la necessità di un nuovo teatro, il 23 novembre 1838 il comune stabilì di contribuire alla spesa.
Sull'ubicazione che avrebbe avuto il nuovo edificio nacque ben presto un'accesa polemica, che divise l'opinione pubblica e coinvolse le autorità della Legislazione di Forlì, protraendosi per ben due anni e mezzo, tanto da richiedere l'intervento del Pontefice Gregorio XIV.
Il primo partito, quello della società di azionisti per il nuovo teatro proponeva di erigerlo nell'edificio chiamato dei Forni, che delimitava il lato occidentale di piazza della Fontana (l'attuale piazza Cavour). Inoltre si sostenevano motivazioni inerenti alla minor spesa che avrebbe sostenuto il comune, dato che l'edificio era già di suo possesso.
I Forni erano stati costruiti in epoche diverse: la parte anteriore, con porticato a cinque arcate sul quale si alzavano due piani risaliva a XVII secolo.
Nel 1742, con l'occupazione delle truppe spagnole, l'edificio venne ampliato per provvedere al fabbisogno; con l'arrivo dei napoletani i due piani superiori vennero adibiti a caserma.
Dal 1797 l'intero fabbricato fu destinato a caserma.
L'edificio misurava 31.60 m di larghezza, 47.50 m di lunghezza, la parte anteriore misurava 21 m di altezza.
Un arco collegava la facciata dei Forni con il palazzo del Governo. L'idea di utilizzare questo fabbricato per il nuovo teatro non era nuova, aveva già eseguito un progetto del teatro da erigere nei Forni l'architetto Pietro Ghinelli ma il progetto non fu messo in opera.
Nel 5 dicembre 1838 la magistratura riminese si rivolse a Ghinelli perchè redigesse un progetto per un teatro da costruire sulla piazza del corso.
Il 25 aprile 1839 Ghinelli consegnò alla magistratura il progetto per il Teatro Corso inoltre un progetto per il teatro da erigere nei Forni, anche se non gli era stato richiesto.
Il Municipio nominò una commissione che esaminasse i progetti per i Forni e per il Corso.
In questo modo si determinò una situazione difficile dalla quale prese corpo una terza opinione che vedeva nella zona detta Gomma il sito migliore per il nuovo teatro.
Questa proposta fu approvata nella seduta del consiglio comunale il 7 luglio 1839.
La zona della Gomma era situata nel cuore della città, delimitata dalla strada Maestra (Corso d'Augusto) e fra le piazze principali di Rimini. L'area alquanto degradata, era occupata dalla chiesa sconsacrata di S. Maria, riadibita a fienile.
In questa zona il teatro avrebbe riqualificato urbanisticamente il centro cittadino.
Quando tutto sembrava ormai risolto la Società degli Azionisti decise che non avrebbe partecipato all'impresa se il teatro non fosse stato costruito nei Forni.
Il 15 maggio 1841 Luigi Poletti fu incaricato della redazione del piano e del disegno del teatro.


ARCHITETTURA E INTERNI

 

Il programma stabiliva che il teatro doveva contenere non meno di 1000 persone , con sala a quattro ordini di 23 palchi ciascuno e i rispettivi retropalchi, il palcoscenico, ai lati i camerini per gli attori, la sartoria, i magazzini, l'abitazione del custode.
L'ingegnere comunale Pietro Fabbri redasse pianta e rilievi della zona dei forni e parte del palazzo Comunale secondo le richieste di Poletti, che chiese di poter utilizzare anche il fabbricato adiacente e la parte posteriore dei Forni per usufruire di maggior spazio.
Il 29 gennaio 1842 completò il progetto in 6 tavole e il piano esecutivo del nuovo teatro.
Luigi Poletti progettò un teatro bellissimo, perfettamente equilibrato in ogni sua parte.
La grandiosa facciata strutturata sul preesistente porticato e arricchita da imponenti colonne disposte su registri, doveva essere abbellita da statue; mentre nel timpano era previsto un bassorilievo.
La struttura delle scale circolari, rappresentava un'autentica novità nell'architettura teatrale italiana dell'epoca.
Poletti collocò le ampie scale in un atrio dalle vaste proporzioni.
Geniale era la sistemazione dei piani fra i due ordini di colonne, che fornivano ariosità e leggerezza a tutto l'impianato.
Dall'atrio delle scale una breve gradinata fiancheggiata da statue conduceva all'ingresso principale della platea.
La sala degli spettatori era un prezioso gioiello architettonico.
La curva della cavea era disegnata sulla base del cerchio, i raccordi con l'arco scenico furono tracciati secondo la teoria dell'architetto.
Un altro basamento sosteneva il primo ordine di 23 palchi, formato da maestose arcate ispirate chiaramente a quelle del Tempio Malatestiano. Il secondo e terzo ordine erano inseriti nel peristilio di 20 colonne corinzie, secondo lo stile caro all'architetto.
Il quarto ordine era formato da un'ampia loggia a gradinate sulla quale si estendeva la volta ancora notevolmente elevata (ben sei metri dal piano al soffitto), che conferiva ariosità a tutto l'insieme.
Ad ornamento della balaustra a fascia del loggione, il progetto prevedeva 20 statue di "Geni alati" che però non furono mai realizzate.
Altra importante novità strutturale era l'arretramento presente anche nel secondo ordine e in misura minore nel terzo e nel quarto.
Ciò consentiva di migliorare la visibilità e di aumentare la capacità dei palchi.
Altra particolarità della sala era la notevole altezza della volta alla quale corrispondeva un altrettanto elevato bocca d'opera ad arco ribassato. L'intero edificio é inserito in un rettangolo diviso in tre parti con le rispettive funzioni: atri, sala teatrale e palcoscenico.
Lo sfondino era stato ideato appositamente per ospitare l'orchestra durante i veglioni da ballo.
Nell'occasione la platea, liberata dalle poltroncine, era sollevata per mezzo di un meccanismo all'altezza del palcoscenico, formando con questo uno spazio unico: il teatro mutava la sua funzione trasformandosi in salone da ballo.
Nella prima del 1842 il Comune pubblicò gli avvisi d'asta per la gara d'appalti.
L'unico a presentarsi per una fabbrica talmente complessa fu Pietro Bellini, un imprenditore di Rimini che fu invitato a ridurre le dimensioni del progetto.
Poletti propose di ribassare la parte superiore sopprimendo l'ambiente per gli scenografi e modificare quella posteriore riducendo la lunghezza del teatro in quella parte di 11 metri, disponendo diversamente i camerini degli attori.
Demolita la parte posteriore dei Forni, l'8 agosto 1843 fu posta la prima pietra alla presenza dell'architetto, delle autorità cittadine e di una grande folla.
Grazie alla sollecitudine di Bellini, che impiegò fino a 200 operai e i lavori procedettero rapidamente.
Scavate le fondamenta a 5 metri di profondità nell'arco di due mesi i muri principali si alzavano già di 1,5 metri da terra.
Durante gli scavi furono rinvenuti una tomba antica e due mosaici.
Del fabbricato dei Forni furono utilizzati gli archi e il porticato, le altre strutture si rivelarono in rovina e furono demolite.
L'opera muraria fu terminata alla fine del 1846.
L'edificio era costruito quasi interamente in mattoni particolari detti gavoli, la volta della sala in arellato o incannucciato gessato, i parapetti e le divisioni dei palchi in "mattoni in foglio", i tetti ricoperti di "tegole maritate a coppi".
La spesa superò largamente le previsoni e il Comune fu costretto a contrarre ingenti debiti.
Il teatro fu collaudato solamente nell'ottobre del 1852 dall'ingegnere Luigi Mazzarini.
I lavori di completamento dell'opera ripresero nella primavera del 1854 con un nuovo ingegnere, Giovanni Cervellati.
Poletti si avvolse dell'urbinate Giuliano Corsini, il quale rivestì a scagliola a stucco lucido i fusti delle colonne dell'atrio e delle scale e a "scagliola ruotata a specchio", l'intera sala teatrale compresa la volta usando varie tonalità.
Seguendo i disegni e le indicazioni dell'architetto eseguì in stucco i capitelli di tutte le colonne, i fregi, le cornici, le decorazioni dell'atrio, delle sale laterali, dei soffitti e delle scale, nonché della sala degli spettatori con la volta e l'arcoscenico.
Gaspare Rastelli di Rimini sottoscrisse il contratto per il piano della platea, il palcoscenico e i meccanismi annessi.
Rastelli costruì anche il meccanismo per sollevare il piano della platea. Il palcoscenico era composto da tavole di legno ad incastro; al disotto del piano dell'orchestra, Poletti aveva progettato, per ragioni acustiche, una cassa armonica a botte, costruita in muratura e rivestita internamente in legno di larice.
I lavori di rifinitura muraria furono affidati al capomastro Antonio Benedettini che completò la grande vasca, scavata nel terreno al di sotto del palcoscenico, da riempirsi d'acqua ad uso antincendio.
Luigi Zamagnini costruì i parapetti traforati ed intagliati del terzo ordine di palchi e del loggione, nonché porte e serrande interne.
Lo scultore riminese Liguorio Frioli scolpì in pietra d'Istria la lira e i due ippogrifi ad ornamento della facciata.
Lo stesso Frioli plastificò in scagliola le statue delle muse Melpomene e Talia.
Poletti spedì anche i due geni in bassorilievo di gesso.
Il pittore e scenografo Michele Agli di Rimini dipinse i teatri e relative quinte, i soffitti degli atri, i soffitti dei palchi, la parete del loggione, corridoi, sale e camerini.
Il pittore bolognese Andrea Besteghi dipinse i riquadri alle pareti del primo atrio con "I giochi olimpici".
Poletti diede al pittore precise disposizioni: negli spazi predisposti concentricamente attorno alla grande rosa centrale, Besteghi dipinse le figure delle "Ore" e i "Segni dello Zodiaco", incastellati fra ricche cornici di stucchi dorati e più esternamente, i ritratti degli "Illustri".
Il risultato fu splendido e contribuì a rendere la volta magnifica.
Nel novembre del 1855 l'architetto chiese al pittore Francesco Coghetti di dipingere il sipario.
La commissione aveva scelto per soggetto "Il Console Flaminio veste le insegne consolari nel Forno di Rimini", ma a Coghetti l'argomento non piacque.
Consultatosi con Poletti propose "Cesare nell'atto di valicare il Rubicone e giungere a Plebiscito che lo dichiarò nemico della patria". La commissione non poteva rifiutare la proposta.
Negli anni 1856 - 1857 si lavorò a pieno ritmo al completamento del teatro dato che la situazione economica del comune era migliorata.
Alla fabbrica parigina di Auguste Laccarière fu commissionato il grande lampadario della sala teatrale, disegnato appositamente da Poletti. L'illuminazione a olio sebbene egli avesse premuto per quella a gas consigliando di comprare un gasometro che assieme al teatro illuminasse le piazze e le vie principali della città, fu accantonata per la spesa eccessiva.
Al centro dell'arcoscenico si collocava l'orologio e l'esterno dell'edificio era "imbiancato a colle e glutine di colla detto carniccio del colore di travertino".
L'11 febbraio 1857 Luciano Manzi annunciava, che il teatro sarebbe stato inaugurato con l'opera intitolata "L'Aroldo" di Giuseppe Verdi, il quale richiese espressamente celebri cantanti.

Il compositore si impegnava a trovarsi a Rimini alla metà di luglio per assistere personalmente alle prove dell'opera.
La serata d'apertura fu fissata per l'11 luglio con "Il Trovatore"; tutto ormai era pronto mancava soltanto il sipario.
La pittura del sipario (a tempera su tela) si protraeva infatti dalla fine del 1855.
Coghetti aveva dipinto un grande bozzetto, quindi i cartoni preparatori, infine passò alla stesura su tela.
Date le notevoli dimensioni l'artista incontrò difficoltà a reperire un locale adatto.
Il sipario fu ultimato alla fine di giugno del 1857 e immediatamente inviato, tramite un vetturale a Rimini.
Finalmente sabato 11 luglio 1857, avveniva l'inaugurazione con "Il Trovatore".
Il successo fu strepitoso e grande ammirazione destò il sipario di Coghetti.
Ma l'avvenimento più atteso della stagione era naturalmente "L'Aroldo" verdiano.
Il compositore giunse a Rimini la sera del 23 luglio.
Verdi assisteva alle prove, occupandosi dei minimi dettagli: dalla perfetta intonazione della campana che doveva suonare l'Ave Maria del quarto atto, ai costumi che incontentabile, faceva fare e disfare.
La sera del 16 agosto andò in scena la prima.
La città era affollata di forestieri, ritratti da Verdi erano appesi alle vetrine dei negozi, ai muri, alle finestre.
Al termine dell'opera fu un vero tripudio, Verdi fu acclamato ventisette volte alla ribalta.
Prima dell'inaugurazione i riminesi collocarono sopra l'ingresso della platea un busto in marmo di Poletti, commissionato allo scultore Teneroni che si conserva tuttora.
Trascorsa quella memorabile estate, il teatro ebbe vita attivissima, ospitando nella sua lunga storia, opre, concerti, drammi, commedie, accademie, spettacoli di varietà, operette, conferenze, dibattiti ecc..
Le stagioni liriche si svolgevano durante il carnevale o nell'estate, dai primi del novecento si allestivano due stagioni quasi ogni anno.
Nel 1865 si adottò l'illuminazione a gas.
Nel 1898, nella sala da ballo al piano superiore, che era rimasta al grezzo, si costruì il cosiddetto teatro figlio (poi demolito) alzando due ordini di gallerie e sistemando il palcoscenico fra i piani delle scale.
Nel 1916 il teatro fu lesionato dal terremoto e rimase inagibile. Nell'occasione, oltre ai necessari restauri, fu installato l'impianto elettrico, sostituito il lampadario con una corona di globi luminosi e ricavato il golfo mistico riducendo la lunghezza del palcoscenico.
Il Vittorio Emanuele riaprì nell'estate del 1923 con " Francesca da Rimini".
Per la nuova inaugurazione fu approntato un secondo sipario raffigurante "Paolo e Francesca nell'atto di baciarsi".
Nel 1928 grazie ad un finanziamento furono completate la sala da ballo e la galleria al piano superiore.
Diresse i lavori l'architetto Gaspare Rastelli che non seguì il progetto di Poletti, ma utilizzò stilemi neoclassici.
Il pavimento era in parquet, al centro della volta fu appeso il grande lampadario di Lacarrière opportunamente restaurato.

I lavori terminarono nel 1930, il teatro poteva dirsi veramente compiuto. Nella primavera del 1943 si svolse l'ultima stagione lirica, poi le bombe della guerra, i vandalismi e il susseguirsi di amministrazioni disastrose, ridussero il teatro in condizioni pietose.
Furono saccheggiati arredamenti, mobilio, lampadari; furono demoliti gli ordini dei palchi, quasi intatti e sperperati ingenti finanziamenti elargiti per i danni di guerra dell'edificio (fortunatamente si é salvato il sipario di Coghetti che però si é gravemente deteriorato in seguito all'impuria in cui é stato tenuto in questi ultimi anni).
Nel 1955 la Cassa di Risparmio di Rimini bandì un concorso per un progetto di completamento dell'edificio, risolto dall'architetto vincitore Ravegnani.
Nel 1959 sull'area della platea e del palcoscenico, fu ricavato un capannone fieristico che in seguito fu adibito a palestra.
Nel 1975 é stato compiuto il primo discutibile restauro dell'avancorpo.
Si é rinnovata la pavimentazione degli atri e delle sale laterali, consolidati con travi in ferro il piano e il soffitto della sala Ressi, restaurati da Ivo Valentini decorazioni e pitture, impermeabilizzato l'esterno dell'edificio.
Purtroppo sono stati sostituiti gli eleganti balaustrini delle scale con un parapetto dozzinale, ed eseguita un'intonacatura piuttosto greve alle pareti della sala Ressi.
Attualmente la via da seguire é senza dubbio quella della ristrutturazione - restauro del teatro, scrupolosamente più fedele al progetto originale. L'operazione, se condotta correttamente, raggiungerebbe un risultato di assoluta garanzia: un teatro bellissimo, unico nel genere, acusticamente perfetto, pienamente utilizzabile, data la capienza della sala (200) e la vastità del palcoscenico, per qualsiasi manifestazione teatrale e musicale.