La fisica di Archimede




Archimede, soprannominato pitagorico perché allievo di Pitagora, tra i più grandi matematici dell'antichità, manifestò interesse per diversi settori della fisica e fu un geniale inventore. Compì i suoi studi o almeno parte di essi ad Alessandria d'Egitto, dove fu forse allievo di Euclide. Tornato a Siracusa, mantenne sempre contatti e scambi di informazioni scientifiche con i matematici alessandrini, in particolare Eratostene, Conone di Samo e Desiteo.

In un trattato di statica, definì la posizione del baricentro di alcune figure solide e diede una chiara spiegazione del principio di funzionamento della leva.

Essa è una macchina semplice che consiste in un asta rigida che ruota intorno a un punto fisso detto "fulcro" (F). A un'estremità dell'asta si applica la forza che deve essere vinta, "resistenza"(R)e all'altra estremità la forza vincitrice, "potenza" (P). La distanza dal fulcro alla resistenza è detta "braccio della resistenza" (br), la distanza tra la potenza e il fulcro invece è detta "braccio della potenza" (bp).

Sono da attribuire ad Archimede l'invenzione della puleggia composta e soprattutto della coclea. Uno dei più grandi problemi dell’antichità fu quello di riuscire a far salire l’acqua dai pozzi. Mentre infatti studiava ad Alessandria con gli allievi di Euclide gli venne in mente l'idea del famoso dispositivo, fatto di canali o tubi avvolti elicoidalmente attorno ad un asse inclinato, munito di una manovella per farlo girare (azionando una manovella, la spirale spingeva l’acqua verso l'alto); oggi noto come "vite di Archimede", è usata per il sollevamento dell'acqua destinata all'irrigazione.


Fece dono a Tolomeo III di Alessandria di una famosa nave, la "Siracusana", decorata di ogni splendore, come famosi furono i suoi rifornimenti di grano a Roma. Questa colossale nave nel suo primo viaggio da Alessandria a Roma trasportò con se lo stesso Archimede che ne fu entusiasta a tal punto da dichiararla, secondo la leggenda, il suo "trionfo sul mare". Essa conteneva al suo interno ginnasi, palestre e numerone attività quali mercati: dentro vi si poteva persino commerciare. Queste sue peculiarità ne fanno la prima nave "da crociera" mai costruita, la più grande del suo tempo.

Nell'ambito dell'idrostatica, egli enunciò il celebre principio (detto quindi, principio di Archimede) secondo cui un corpo immerso in un fluido è sottoposto a una spinta diretta verso l'alto, d'intensità pari al peso del volume di fluido spostato e applicata nel centro di gravità del corpo. Capì come l'idea di Aristotele - che le cose si muovessero nella ricerca del loro posto naturale - dovesse essere rivista. Si racconta che egli compì questa scoperta poiché, immergendosi nella vasca da bagno, si accorse che l'acqua spostata dal suo corpo traboccava dalla vasca. A quel punto si alzò e, completamente nudo, corse fuori per strada gridando "Eureka!" che in greco vuol dire appunto "Ho trovato".

Legato da amicizia e forse parentela a Gerone, re di Siracusa, Archimede trascorse la maggior parte della sua vita, interamente dedicata alla ricerca e agli esperimenti, in Sicilia, a Siracusa in particolare o nei dintorni; per quanto non assumesse alcuna carica pubblica, durante la conquista romana della Sicilia egli pose le sue capacità a disposizione dello stato e molti dei dispositivi meccanici da lui inventati furono impiegati nella difesa della città. L'assedio romano era guidato da Marcello, a causa della rottura dell'alleanza tra Siracusa e Roma, stipulata dal tiranno siciliano Gerone II, che morì nel 215 a.C. La sua lungimiranza nel 263 a.C. aveva limitato a Siracusa le conseguenze della disfatta della prima guerra punica tra Roma e Cartagine con un trattato col console Valerio (Messalla).
Il nipote del tiranno, Geronimo, ottenuto il trono, nel corso della seconda guerra punica fu convinto dalle offerte di due ufficiali cartaginesi - Ippocrate e Epicide - a sciogliere l'alleanza con Roma per appoggiare le gesta di Annibale. Per ben tre anni tenne in scacco l'armata di Marcello.
Sulle sue invenzioni si narrano mirabolanti imprese. Accadde, infatti, che un giorno l'equipaggio di una nave, che coraggiosamente si era spinta fin sotto le fortificazioni nemiche, improvvisamente vide spuntare dalle mura una specie di mostruosa e colossale tenaglia che afferrò fra due tremende braccia lo scafo, lo squassò e quasi lo demolì.
Era una macchina bellica progettata da Archimede, che funzionava per mezzo di leve e pulegge, meccanismi dei quali lo scienziato era espertissimo, anzi, insuperabile. Contemporaneamente, sulle altre navi ancorate a breve distanza dalle mura, cominciarono a cadere pesanti massi, lanciati da catapulte, che schiacciavano ponti e fiancate, spezzavano alberi, massacravano gli equipaggi (la forza della catapulta era fornita dalle corde ritorte: prima si rilasciavano un po’ per porre il "braccio" della catapulta in posizione orizzontale; una volta caricato il cucchiaio, si tendevano le corde e si sparava: il "braccio" scattava in posizione verticale e il proiettile veniva lanciato).
In quell'occasione venne anche usata la balestra, che era un’arma da guerra per lanciare frecce, formata da un arco d'acciaio fissato a un fusto di legno, avente la forma della cassa di un fucile.
Ma l'invenzione di Archimede che più ha colpito la fantasia popolare è quella degli "specchi ustori". La tradizione vuole, infatti, che Archimede avesse realizzato grandi specchi per mezzo dei quali, concentrando la luce dei raggi solari, riuscisse ad incendiare le navi nemiche assedianti.
Lo stesso Plutarco riferisce di catapulte per lanciare pietre, corde, carrucole e ganci per sollevare e schiantare le navi romane, dispositivi per sviluppare incendi sulle navi (come questi dispositivi potessero essere realizzati e se realmente Archimede sia stato in grado di realizzarli, ci è spiegato da Archimede e gli specchi ustori).

Durante il sacco di Siracusa nel 212 a.C., nel corso della seconda guerra punica, nonostante che il generale Marcello avesse dato l'ordine di salvare la vita del matematico, Archimede fu ucciso da un soldato romano mentre era assorto nei calcoli; si narra che questi lo trafisse poiché non ricevette risposta alle numerose ingiunzioni di seguirlo (pare che questi abbia chiesto più volte il suo nome).
I vari resoconti rimastici sulla vita di Archimede sono d'accordo nel dipingerlo come persona che attribuiva scarso valore ai suoi congegni meccanici rispetto ai prodotti della sua attività intellettuale. Anche quando trattava di leve e di altre macchine semplici, era molto più interessato ai principi generali che le governavano che alle loro applicazioni pratiche.