Paragrafi
1
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Non
iniziare l'accusa, o giudici, mi pare difficile [essere difficile], ma
(piuttosto) smettere di parlare: tali e tanti delitti [tali cose per grandezza e
tante per quantità] sono stati commessi da costoro (= i Trenta), che (uno) non
potrebbe, nemmeno mentendo, imputarli di crimini più gravi di quelli reali,
né potrebbe rivelare tutta la verità, (anche) volendo (farlo); ma (sarebbe)
inevitabile che o l'accusatore rinunciasse, o il tempo (a sua disposizione)
venisse a mancare.
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2 |
E
mi pare che stia per accaderci il contrario di (ciò che accadeva) in passato.
Finora, infatti, erano gli accusatori a dover dimostrare quale risentimento
avessero nei confronti degli imputati; adesso, invece, bisogna chiedere agli
imputati che (motivi di) risentimento avessero nei confronti della città, per
quale ragione [in cambio di che cosa] ebbero il coraggio di commettere simili
atrocità nei suoi riguardi. Del resto, non (è) perché io non abbia ragioni di
risentimento e (non abbia subìto) disgrazie personali (che) faccio questi [i]
discorsi, ma perché tutti abbiamo ragioni in abbondanza per essere indignati
[essendo a tutti molta abbondanza di indignarsi] per questioni private o
pubbliche.
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3 |
Io
dunque, o giudici, sono stato costretto adesso dalle circostanze ad assumermi
l'accusa contro costui (= Eratostene), senza aver mai sostenuto cause né mie
né altrui; cosicché più volte sono piombato in un profondo sconforto, (per
timore) di sostenere in modo inadeguato ed inefficace, a causa della mia
inesperienza, la causa in difesa di mio fratello e di me stesso; e tuttavia
proverò (ugualmente) a spiegarvi (la situazione) il più succintamente
possibile, (cominciando) dal principio.
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4 |
Mio
padre Cèfalo fu indotto da Pericle a trasferirsi in questo paese, (vi) abitò
per trent'anni, e né noi (figli) né lui intentammo o subimmo mai un processo
contro nessuno, ma anzi, finché c'era la democrazia, vivevamo in modo tale da
non commettere torti contro gli altri né subirne (dagli altri).
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5 |
Ma
quando salirono al potere i Trenta, che erano malvagi e calunniatori,
affermando che bisognava ripulire la città dai delinquenti e (che
bisognava) che gli altri cittadini si indirizzassero alla virtù ed alla
giustizia, (pur) dicendo questo, ebbero la sfrontatezza di fare
l'opposto [(pur) dicendo tali cose, osavano fare non tali cose], come io
cercherò di ricordare anche a proposito dei fatti vostri, dopo aver
parlato anzitutto dei miei. |
6 |
Infatti
Teognide e Pisone dicevano nell'assemblea dei Trenta [fra i Trenta], a
proposito dei meteci, che ce n'erano alcuni ostili al regime: c'era dunque un
magnifico pretesto per fingere [sembrare] di castigar(li), ma in realtà per
arricchirsi; la città era poverissima, e il regime aveva bisogno di denaro.
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7 |
E
convinsero [convincevano] l'uditorio senza difficoltà: infatti, uccidere degli
esseri umani (lo) consideravano cosa di nessuna importanza, mentre
l'impadronirsi di ingenti patrimoni era per loro molto importante [prendere
ricchezze (lo) consideravano cosa da molto]. Decisero perciò di arrestare dieci
(meteci), di cui due poveri, per avere come scusa di fronte all'opinione
pubblica [agli altri] il fatto che (1) questo non era stato fatto per
denaro, ma era accaduto nell'interesse dello Stato [era accaduto (come) utile
allo Stato] - come se avessero mai fatto qualcosa di onesto [come se avessero
fatto qualche cosa delle altre rettamente]!
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8 |
Poi,
spartitesi le case (dei meteci), (vi) si incamminarono; me, (mi) trovarono che
avevo a cena degli ospiti, cacciati via i quali mi consegnano a Pisone; gli
altri, invece, entrati nell'officina, si misero a fare [facevano] l'inventario
degli schiavi. Io allora chiesi [-devo] a Pisone se fosse disposto a salvarmi (la
vita) ricevendo del denaro; lui rispose di sì, se fosse stato molto.
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9 |
(Gli)
dissi dunque che ero disposto a dar(gli) un talento in contanti; ed egli
si dichiarò d'accordo di fare così [ciò]. Sapevo perfettamente che
non credeva né negli dèi né negli uomini; e tuttavia, date le
circostanze, mi pareva assolutamente necessario pretendere da lui un
giuramento. |
10 |
E
(solo) dopo che ebbe giurato, invocando la rovina su se stesso e sui (suoi)
figli, di salvarmi dopo aver preso il talento, io, entrato in camera da letto,
apro la cassaforte: ma Pisone, accortosene, entra, e, visto il contenuto, chiama
due degli sgherri e dà ordine di requisire il contenuto della cassaforte.
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11 |
E
dopo che ebbe preso non quanto io avevo pattuito, o giudici, ma tre
talenti in contanti, quattrocento cizicèni, cento darìci e quattro
coppe d'argento, (io) lo pregai [-avo] di darmi (almeno) il necessario
per il viaggio; e lui mi rispose che potevo già essere contento se
salvavo la pelle [mi diceva di essere contento se salverò il corpo]. |
12 |
Mentre
io e Pisone uscivamo (di casa), (ecco che) ci vengono incontro [a me ed
a Pisone che uscivamo vengono incontro] Melobio e Mnesitìde, di ritorno
dal laboratorio; ci trovano proprio sulla porta e ci chiedono dove
fossimo diretti; quello (= Pisone) rispose [-ndeva] (che eravamo
diretti) a casa di mio fratello, per perquisire [affinché osservasse]
anche ciò (che si trovava) in quell'abitazione. A lui, dunque, dissero
[-cevano] di andare (là), e a me di seguirli a (casa) di Damnippo. |
13 |
Allora
Pisone, avvicinatomisi, mi raccomandò [-ava] di tacere e di farmi
coraggio, dicendo che (più tardi) sarebbe venuto là. Qui (= a casa di
Damnippo) troviamo Teognide che sorveglia degli altri (meteci): e dopo
avermi consegnato a lui, di nuovo se ne andarono [-vano]. Mentre ero in
questa situazione, decisi di tentare il tutto per tutto [a me che ero in
tale (situazione) pareva (giusto) rischiare], convinto (com'ero) che la
(mia) morte fosse ormai questione di minuti [senza dubbio ormai
imminente]. |
14 |
Dunque,
chiamato (in disparte) Damnippo, gli dico queste parole: "Tu mi sei
amico [ti trovi ad essere amico a me], io sono arrivato in casa tua, non
sono colpevole di nulla, ma muoio per il mio denaro. Tu dunque, in
questa mia disgrazia [a me che soffro queste cose], fa' valere
generosamente la tua influenza [presta benevola la tua influenza]
(presso di loro) per la mia salvezza!" E lui promise che l'avrebbe
fatto. Gli pareva però che fosse meglio parlarne con Teognide: era
infatti convinto che costui avrebbe fatto qualsiasi cosa, se uno gli
avesse dato dei soldi. |
15 |
Mentre
egli parlava con Teognide - per caso ero pratico della casa, e sapevo
che aveva due uscite [era a due porte] - decisi di [mi pareva
(opportuno)] tentare di salvarmi per quella (via), pensando che, se
fossi sfuggito alla (loro) attenzione [oppure: se fossi fuggito
di nascosto], mi sarei salvato, e se invece fossi stato catturato,
pensavo che, se Teognide si fosse lasciato persuadere da Damnippo ad
accettare del denaro, sarei stato liberato ugualmente, se no, sarei
morto in ogni caso. (2) |
16 |
Fatte
queste riflessioni, fuggii [-ivo], mentre essi sorvegliavano la porta
del cortile; ed essendo tre le porte che dovevo attraversare, le trovai
tutte casualmente aperte [furono tutte per caso aperte]. Giunto quindi a
(casa) di Archèneo, l'armatore di navi, lo mando in città ad
informarsi di mio fratello; egli, di ritorno, (mi) disse [-ceva] che
Eratostene, dopo averlo incontrato [oppure: arrestato] per la
strada, (lo) aveva portato in carcere. |
17 |
Ed
io, saputo questo, la notte seguente mi recai per mare a Mègara. A
Polemarco i Trenta notificarono il loro solito ordine [l'ordine solito
(essere notificato) da loro], (cioè) di bere la cicuta, prima (ancora)
di dirgli la ragione per cui doveva morire: tanto fu lontano dall'essere
(regolarmente) processato e dal potersi difendere. |
18 |
E
dopo che fu [era] portato via morto dal carcere, sebbene noi avessimo
tre case, da nessuna (di esse) permisero che fosse portato a seppellire,
ma, presa in affitto una catapecchia, lo esposero (lì). E nonostante
avessimo molti abiti, non ne diedero nessuno a noi, che (pure ne)
facevamo richiesta per la sepoltura; ma, fra i (nostri) amici, qualcuno
offrì un vestito, qualcun altro un cuscino, qualcun altro ciò che si
trovò (ad avere) [oppure: ciò che gli capitò (di dare)] per la
sua sepoltura. |
19 |
E
sebbene avessero settecento scudi dei nostri, e avessero argento ed oro
in tale quantità, e bronzo e suppellettili e utensili e vesti femminili
quanti mai avrebbero pensato di prenderne, e centoventi schiavi, di cui
i migliori se li tennero, gli altri li donarono alla collettività, si
spinsero ad un livello tale di avidità e di disgustosa insaziabilità e
diedero una dimostrazione di (quella che era la) loro (vera) indole:
infatti (3) Melòbio strappò dalle orecchie della
moglie di Polemarco gli orecchini d'oro, (gli stessi) che ella portava
quando per la prima volta venne in casa (del marito). |
20 |
E
neppure per una minima parte delle (nostre) sostanze riuscimmo ad
ottenere pietà da parte loro. Anzi, infierirono su di noi, a causa del
(nostro) denaro, come (avrebbero infierito) altri che avessero nutrito
odio per gravi offese, (noi) che non meritavamo davvero questo da parte
dello Stato [non eravamo degni di queste cose verso la città]! Ma dopo
che avevamo sostenuto tutte le coregìe, avevamo pagato molte tasse, ci
dimostravamo ligi all'ordine costituito, facevamo tutto quello che ci
veniva ordinato e non ci eravamo fatti nessun nemico, anzi, avevamo
riscattato dai nemici molti dei (cittadini) ateniesi, giudicarono degni
di un simile trattamento (noi) che, da (semplici) meteci, vivevamo in
modo ben diverso da come vivevano loro da cittadini! |
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(1)
Secondo altri: per avere una scusa di fronte all'opinione
pubblica [agli altri], cioè il fatto che...
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(2)
Attenzione al ragionamento lisiano, che si articola così:
SE SCAPPO: |
SE NON SCAPPO: |
O
MI SALVO (50%) |
O
VENGO CATTURATO (50%);
SE VENGO CATTURATO: |
O
TEOGNIDE ACCETTA IL DENARO |
O
TEOGNIDE NON ACCETTA IL DENARO |
|
O
TEOGNIDE ACCETTA IL DENARO |
O
TEOGNIDE NON ACCETTA IL DENARO |
= MI SALVO (50%) |
= MUOIO (50%) |
|
= MI SALVO (25%) |
=
MUOIO (25%) |
|
Quindi, nel primo caso, Lisia ha il 75 (50 + 25)% di
possibilità di salvarsi, nel secondo solo il 50%. Ecco perché sceglie a colpo
sicuro la fuga.
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(3) Ci
aspetteremmo una consecutiva, ed invece ecco, con una variatio
improvvisa, una proposizione principale.
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Piano
dell'orazione
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Exordium
(include la propositio) |
Paragrafi
1-3 |
Captatio
benevolentiae: Lisia fa presente ai giudici la sua assoluta
inesperienza forense, sperando nella loro comprensione, e ricorda che
tutti gli Ateniesi, come lui, sono stati vittime dei Trenta Tiranni.
Scopo dichiarato di Lisia è quello di ottenere giustizia per sé e per
suo fratello Polemarco, facendo condannare il suo assassino Eratòstene. |
Narratio |
Paragrafi
4-20 |
Racconto
dettagliato dei fatti, dal momento in cui Cèfalo, padre di Lisia,
si trasferì da Siracusa ad Atene per vivervi da meteco (= straniero
residente ad Atene), all'ascesa al potere dei Trenta, con conseguente
decisione di "ripulire" la città dagli indesiderabili: fra
questi dieci meteci, destinati ad essere massacrati nel corso di una
sola notte. Lisia e suo fratello Polemarco vengono inseriti nella lista:
Lisia riesce a salvarsi giocando d'astuzia e si rifugia a Mègara,
mentre Polemarco viene costretto da Eratòstene a bere la cicuta e muore
senza neppure sapere perché. Viene impedito ai familiari perfino di
dargli una degna sepoltura. |
Raccordo
tra la narratio e la confirmatio |
Paragrafi
21-24 |
Primo
accenno ai crimini dei Trenta. |
Argumentatio: fonde
la confirmatio (o probatio) e la refutatio. |
Paragrafi
25-36 |
L'argomentazione
di Lisia non può vertere sulla dimostrazione della responsabilità di
Eratostene nella morte di suo fratello, che è un dato di fatto
incontestabile e noto a tutti; egli dovrà piuttosto smentire le
attenuanti addotte da Eratòstene a sua parziale discolpa. Ecco perché confirmatio
e refutatio in questo caso coincidono.
Lisia
interroga Eratostene facendolo salire al banco degli imputati: questi
afferma in sostanza di avere agito per paura delle ritorsioni dei Trenta
e di essersi opposto alla condanna a morte dei meteci, che considerava
ingiusta. Lisia contesta queste affermazioni:
-
i
Trenta non possono addurre come giustificazione il fatto di avere
obbedito agli ordini dei Trenta (!);
-
circa
il fatto che Eratostene si sia opposto al raid notturno, non
ci sono testimoni che confermino la veridicità della sua
affermazione, e poi la smentiscono le circostanze dell'arresto di
Polemarco: Eratostene lo incontrò da solo a solo per la strada:
nulla di più facile, per lui, che fingere di non averlo visto, se
davvero avesse voluto salvarlo;
-
e
comunque, quand'anche fosse vero che Eratostene si è opposto, ha
ucciso Polemarco: che cos'altro avrebbe potuto fargli di più grave?
In
sintesi: per assolvere Eratostene [che in effetti fu assolto, N.d.R.]
occorrerebbe che si dimostrasse una di queste due cose:
-
o
che il fatto non è stato commesso;
-
o
che è stato commesso per un giusto motivo.
Ma
Eratostene stesso ha affermato il contrario, per cui ha tolto
dall'imbarazzo i giudici per quanto riguarda il verdetto.
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Prima
argumentatio extra causam |
Paragrafi
37-61 |
Digressione
sui misfatti del regime oligarchico e dei Trenta, con triplice
audizione dei testimoni.
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Seconda
argumentatio extra causam |
Paragrafi
62-78 |
Digressione
sulla figura di Teràmene. Eratòstene ha cercato di discolparsi
affermando, fra l'altro, di appartenere all'ala moderata dei Trenta, che
faceva capo a Teràmene.
Quest'ultimo,
dopo essere morto per mano di Crizia, era diventato una sorta di eroe
della democrazia, cosa che suscita l'enorme indignazione di Lisia. Egli
pertanto delinea di Teràmene un ritratto antitetico a quello
"buonista" che certa propaganda ha diffuso.
Teràmene,
a suo dire, altro non è stato che uno squallido doppiogiochista, pronto a
voltare gabbana a seconda dell'interesse del momento, come dimostrano i
suoi disinvolti andirivieni all'interno del regime democratico e la sua
partecipazione ad entrambi i colpi di Stato oligarchici, quello dei
Quattrocento (del 411 a.C.) e quello dei Trenta (del 404 a.C.). Quale
fosse il suo vero pensiero, egli lo dimostrò chiaramente in occasione
della resa di Atene dopo Egospòtami (405 a.C.), allorché si presentò in
città con lo spartano Lisandro ed impose l'abolizione del regime
democratico.
Non
si vede, perciò, in che senso l'essere stato un terameniano debba giocare
a favore di Eratostene.
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Conclusio
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Paragrafi
79-91 |
Riepilogo
dei motivi che devono
portare alla condanna di Eratostene.
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Epilogus
- Peroratio |
Paragrafi
92-100 |
Appello
separato a "quelli
della città" (gli oligarchici) e a "quelli del Pireo" (i
democratici) perché pronuncino un inesorabile verdetto di condanna: i
secondi per fare giustizia delle angherie subìte e per vendicare i loro
morti, i primi per dimostrare all'opinione pubblica la propria buona fede: assolvere Eratostene significherebbe infatti,
da parte loro, ammettere
apertamente le proprie simpatie per il regime dei Trenta.
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