CRITICA LETTERARIA: BOCCACCIO

 

Luigi De Bellis

 
 
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Lo "stile medio" del "Decameron"
di E. AUERBACH



Rifacendosi alla divisione degli «stili» di origine classica, Auerbach indica come proprio del Decameron lo stile «medio», cioè lo stile che, intermedio fra il «sublime» e l'«umile»; ricava dal primo il gusto dell'eleganza e dell'ornamento e dal secondo quello della concretezza e della realtà quotidiana. È' lo stile proprio della società borghese: Auerbach ne mostra le sfumature e le gradazioni che costituiscono l'interna ricchezza espressiva dell'opera del Boccaccio.

Fin dal principio egli non è fatto per lo stile illustre, ma per quello medio; e la società della Corte angioina a Napoli, dove aveva trascorsola sua gioventù e dove era apprezzata più che nel resto d'Italia l'eleganza virtuosa delle forme tarde della cultura cavalleresca della Francia settentrionale, dette ricco alimento a quella sua disposizione. Le sue prime opere sono rifacimenti di romanzi d'amore, d'avventure cavalleresche del tardo stile cortese, e nella loro maniera, così, a me sembra, si può avvertire qualcosa di francese: la maggiore ampiezza delle sue descrizioni, le ingenue raffinatezze e le delicate sfumature del giuoco amoroso, la mondanità di quella società feudale già un po' in decadenza che rappresentala maliziosità del suo spirito. Ma quanto più maturo egli diviene, tanto maggior forza acquista accanto a tutto questo il mondo borghese, umanistico e soprattutto la gagliarda vita popolana.

Non v'è dubbio che svariate sono, nell'ambito dello stile medici, le sfumature del Decamerone, e che i confini sono molto ampi; però perfino là dove i racconti si avvicinano al tragico,, il tono e l'atmosfera rimangono nel campo del sentimentale e del sensuale ed evitano il sublime e il grave; e anche là dove, ben più che nel nostro esempio, si mettono a profitto motivi di grossa farsa, il linguaggio e la rappresentazione rimangono nobili, in quanto che innegabilmente narratore e ascoltatore rimangono sempre assai al di sopra dell'argomento, e guardandolo criticamente dall'alto si dilettano in maniera leggera ed elegante. La particolarità dello stile medio elegante può riconoscersi meglio proprio negli argomenti più popolari e realistici e perfino grossolanamente farseschi; poiché dalla forma di tali racconti è possibile dedurre l'esistenza d'un ceto sociale che, stando al di sopra degli strati inferiori della vita quotidiana, trae godimento dalla sua vivace rappresentazione, godimento che va in cerca di individui umani fatti di sensi, e non di tipi sociali. Tutti i Calandrini, i fra Cipolla é i Pietri, le Peronelle, Caterine e Belcolore sono, alla pari di frate Alberto e di Lisetta, personaggi ben altrimenti delineati che il villano o la pastorella ammessi nella poesia cortese; essi sono perfino molto più vivi e nella loro forma particolare più precisi che le figure delle farse popolari, come abbiamo visto più sopra, quantunque il pubblico a cui debbono piacere sia d'una condizione del tutto diversa. Evidentemente al tempo del Boccaccio esisteva una classe sociale di alta condizione, però non feudale, bensì appartenente all'aristocrazia cittadina, che provava un raffinato piacere nella realtà variopinta della vita; dovunque lesi rivelasse. La separazione delle varie sfere si può certo dir conservata, in quanto i brani rozzamente realistici si svolgono in genere negli strati sociali inferiori, mentre quelli sentimentali, che tendono al tragico, si svolgono in genere in strati più alti; ma nemmeno si può dire che così sempre avvenga, poiché facilmente tra il mondo borghese e l'idilliaco sentimentale hanno luogo sconfinamenti; e anche al ove a questo riguardo la mescolanza è frequente (per esempio, nella novella di Griselda, X, 10).

Nelle storie amorose che il Boccaccio vuol condurre tragicamente o nobilmente (si trovano per la maggior parte fra le novelle della IV giornata), prevale l'avventuroso e il sentimentale; col che l'avventura non è più, come all'apogeo dell'epica cortese, la prova necessaria per essere ammessi in una cerchia ristretta di eletti, ma è solo il fortuito, il continuamente inatteso nel rapido e violento mutar degli eventi. L'elaborazione dell'avventura fortuita si rivela anche nelle novelle relativamente povere di fatti, come la prima della quarta giornata, quella di Guiscardo e Ghismonda. Dante ha disdegnato di menzionare le circostanze nelle quali Francesca e Paolo vennero scoperti dal marito; disdegna, trattando tal tema, di soffermarsi su fatti accidentali finemente elaborati, e la scena che descrive, quella in cui leggono insieme il libro, è la più frequente e comune che possa esservi, interessante solo per quanto da essa poi deriva. Il Boccaccio impiega buona parte del suo testo per descriverci l'intricata e rischiosa condotta degli amanti per arrivare ad essere insieme indisturbati e il casuale incrocio di circostanze che conduce Tancredi, il padre, alla loro scoperta. Si tratta d'avventure come quelle dei romanzi cortesi, ad esempio come la storia amorosa di Cligès e Fenice nel romanzo di Chrétien de Troyes; ma l'aria fiabesca dell'epica cortese è svanita, e l'etica della prova cavalleresca è diventata una morale generale della natura e dell'amore che si esprime in modo estremamente sentimentale. Questo sentimentalismo spesso legato a oggetti sensibili (il cuore dell'amato, il falco), che ricordano motivi fiabeschi, nella maggior parte dei casi vien corredato d'un eccesso di retorica: si pensi ad esempio al lungo discorso di Ghismonda in propria difesa. Tutte queste novelle non hanno una decisa unità stilistica; sono troppo avventurose e troppo fiabesche per essere realistiche, troppo scanzonate e troppo retoriche per essere fiabesche, e troppo sentimentali per essere tragiche. Quelle novelle che tendono al tragico non hanno immediatezza né di realtà né di sentimento: tutt'al più sono di quelle che si chiamano patetiche.

Proprio laddove il Boccaccio cerca di penetrare nel problematico o nel tragico, si rivela l'oscurità e l'incertezza del suo sentimento preumanistico. Il suo realismo libero, ricco, magistrale nel dominare i fenomeni, pienamente naturale entro i limiti dello stile medio, diventa fiacco e superficiale non appena sfiora il problematico o il tragico. Nella Commedia di Dante l'interpretazione figurale cristiana aveva realizzato il realismo della tragedia umana, e vi era rimasta essa stessa distrutta; però anche il realismo tragico era andato subito a sua volta perduto; il sentimento mondano di uomini come il Boccaccio era troppo incerto e instabile per offrire una base che, come quell'interpretazione, permettesse d'ordinare il mondo nel suo complesso come realtà, di spiegarlo e di rappresentarlo.

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it