CRITICA: VITTORIO ALFIERI

 LA POLEMICA ANTIDOGMATICA DELL'ALFIERI

 AUTORE: Piero Gobetti    TRATTO DA: L'Uomo Alfieri

 

La polemica che occupa il centro dello spirito alfieriano è empiricamente duplice, sostanzialmente una e colpisce contemporaneamente il dogmatismo cattolico e l'assolutismo monarchico.
Occorre distinguere nel pensiero alfieriano la critica al cattolicismo dalla critica alla religione: posta questa legittima e necessaria distinzione, la polemica alfieriana è tutta coerente e chiara; le poche contraddizioni che non si aboliscono per questa via si giustificano come frammentarie digressioni suggerite da motivi artistici: il famoso sonetto «Alto, devoto, mistico, ingegnoso» che muove da alcuni veri e propri concetti religiosi dell'Alfieri, degni di speciale discussione, rappresenta poi nei suoi accenti più cattolicamente ortodossi il risultato di un episodio di seduzione esercitata da un misticismo estetizzante del culto. E non è problema che qui importi discutere, ossia non rientra in sede di teoria della religione l'atteggiamento pratico attenuato e conciliante che egli assunse durante la Rivoluzione francese verso persone e cose del culto: che per reazione all'ottusa antireligioneria gallica egli sia stato tratto a considerare i Papi, e insieme i Re, quali parapeggio: questo è problema di empirismo storico che si deve discutere solo quando si voglia tessere la cronaca o la biografia esterna dell'Alfieri.

Il documento più importante del pensiero alfieriano sul cattolicismo è il capitolo VIII del libro I Della Tírannide che nel suo significato centrale racchiude la negazione della vecchia ontologia.
Critica il monoteismo con criteri politici esclusivistici e limitati, ma contemporaneamente affaccia la distinzione tra cattolicismo e cristianesimo, distinzione profondamente romantica e filosoficamente notevole per la sua immediata fecondità ideale; è quasi l'implicito riconoscimento del valore etico dell'atto che dà vita alla creazione religiosa e nell'Alfieri, contemporaneo agli enciclopedisti e ai catechisti laici, dimostra una singolare inquietudine spirituale e una profonda coscienza dei massimi problemi...

I paladini francesi dell'incredulità avevano volte le loro critiche e i loro sarcasmi all'ingenuità superstiziosa delle credenze popolari: con ciò avevano creduto di stroncare religione e cattolicismo. L'Alfieri aveva accolto nella giovinezza, respirandoli col sensismo ch'era nell'aria, alcuni di siffatti motivi, ma rimase così lontano dallo spirito degli enciclopedisti (ritenuti sue fonti dal pregiudizio corrente) che invece dei germi dell'astratta critica intellettualistica e delle sottigliezze razionaliste ha svolto dalle sue premesse una concezione integrale e unitaria della realtà.

La sua critica al cattolicismo significa perciò critica al dogmatismo sterile, che si è sostituito alla esperienza religiosa, condanna della fede divenuta convenzionalità, della morale irrigidita nella precettistica, dello spirito falsificato nello schema.
Nel suo ardore libertario la lotta contro il dogmatismo cattolico è lotta contro il Medio Evo, ossia contro una tradizione esausta che è presente solo per soggiogare le menti con un esempio diseducatore di passività.
La sua negazione si rivolge contro la Chiesa, non contro lo spirito religioso e muove sostanzialmente da un'intima religiosità, superiore al principio criticato.

Nella storia delle affermazioni teoriche dell'irreducibile contrasto tra la Chiesa e lo Stato nazionale, dal Machiavelli al Vaticano e lo Stato di G.M. Bertini, l'Alfieri si inserisce con piena coscienza attingendo ai motivi di speculazione più concreti.
Il Papa, l'inquisizione, il purgatorio, la confessione, il celibato: ecco le basi antiumane che costituiscono il cattolicismo e che bisogna demolire. Esaminiamo partitamente la dimostrazione alfieriana dell'inaccettabilità di questi concetti e di questi istituti...

Nella negazione del Papa è implicita la negazione del dominio temporale, come risulta da questo epigramma:

 

Sia pace ai frati,
Purché sfratati; E pace ai preti,
Ma pochi e queti, Cardinalume
Non tolga lume,
Il maggior prete
Torni alla rete.
Il papa è papa e re
Dessi aborrir per tre.


I popoli soltanto per ignoranza e per timore possono credere esservi un uomo «che rappresenti immediatamente Dio; un uomo che non possa errar mai; ora l'ignoranza è l'antitesi della libertà e il timore, non potendo essere ispirato dalle scomuniche, attesta chiaramente che dove è il pensiero del Pontefice, là è il tiranno, dove vi è dommatismo religioso, là vi sono spade a sostenerlo». Mentre le credenze meramente astratte e prive di pratica influenza (come la Trinità) sono da ritenersi poco nocive anche se irrazionali, «l'autorità illimitata sopra le più importanti cose, e velata dal sacro ammanto della religione importa molte e notabili conseguenze; tali insomma che ogni popolo, che crede o ammette una tale autorità si rende schiavo per sempre». E per mettere bene in luce l'immoralità della credenza l'Alfieri disegna minutamente il processo antieducativo attraverso cui essa si sviluppa nella sua piena logica. Un popolo sano e libero che accetti la credenza nella infallibile e illimitata autorità del Papa «è già interamente disposto a credere in un Tiranno, che con maggiori forze affettive, e avvalorate dal suffragio e scomuniche di quel Papa stesso, lo persuaderà o sforzerà ad obbedire a lui solo nelle cose politiche, come già obbedisce al solo Papa nelle religiose».

Il cattolicismo comincia con una rinuncia alla dignità umana e contraddice ogni giusta preparazione all'autonomia dello spirito: ché, se anche la fede venga meno nell'individuo, egli è per questo «tormentato, perseguitato, sforzato da una forza superiore effettiva». Così, «quella prima generazione d'uomini crederà nel Papa per timore». Ogni sforzo operoso si spegne per ineluttabile logica sotto la costrizione dell'abitudine, ogni spiritualità si irrigidisce. I figli crederanno nel Pontefice per «abitudine»; i nipoti per «stupidità». La conclusione del ragionamento appare, attraverso la commozione, impassibile e tragica: fredda verità ineluttabile, angosciosa condanna che stronca ogni velleità. «Ecco in qual guisa un popolo che rimane cattolico deve necessariamente, per via del Papa e della inquisizione, divenire ignorantissimo, servissimo e stupidissimo». Ma oggi i più in Europa ammettono tale autorità senza crederla, e di qui l'Alfieri trae argomento a sperare che non possa essere ormai gran fatto durevole poiché la forza intrinseca di tali vecchi principi è ormai tramontata e si sostengono al presente solo per opera del Tiranno.
«Dove ci è il cattolicismo, vi è o vi può essere ad ogni istante l'inquisizione» .
«La inquisizione, quel tribunale sì iniquo di cui basta il nome per far raccapricciare» .
«Autorità dei preti e dei frati, vale a dire della classe più crudele, la più sciolta da ogni legame sociale, ma la più codarda a un tempo».

Senza pregiudizi di cattolico liberale in anticipo (benché il cattolicismo liberale fosse ormai nell'aria) l'Alfieri afferra la rigida connessione logica e pratica che fa coesistere nell'unità del sistema generale tutti i termini e gli elementi della teoria e della praxis cattolica. La sua critica presuppone la rigorosa coerenza del principio contro cui si esercita. La complicità di inquisizione e tirannide diventa nell'inesorabile polemica alfieriana il nuovo aspetto e l'evidente chiarimento della premessa ideale che aveva rivelato la sostanza dogmatica e tirannica del principio cattolico. La conclusione si esprime ancora una volta nel ritornello «non vi può dunque essere a un tempo stesso un popolo cattolico veramente e un popolo libero».

 

Aggiornamenti 2002 - Luigi De Bellis