CRITICA: IL BAROCCO

 UMANITA' E STILE NEL BAROCCO

 AUTORE: Giovanni Getto    TRATTO DA: Opere scelte di G.B. Marino e dei Marinisti

 

Ad una intuizione della realtà e a una condizione di vita quali sono queste cui abbiamo accennato, essenziali alla civiltà barocca, paiono alludere e richiamarsi modi e atteggiamenti della lirica marinista, sì da determinare una direzione espressiva, se non unica ed assoluta, tuttavia abbastanza costante. La stessa poetica della varietà (e l'innumerevole serie predicativa della donna a cui essa dà luogo) può forse raccordarsi a questa intuizione, per quel carattere che, nell'economia totale di questi canzonieri, assume, di mutevole inchiesta di ogni possibile elemento, di inquieta provvisorietà di ogni singolo aspetto. Del resto, proprio per la lirica amorosa, si insinua non raramente una ragione di incertezza, di evanescenza e di illusione, sulla realtà figurata. Saranno i dubbi dell'amante sull'interpretazione di un sembiante, di un atteggiamento, di un dono della donna; e le sue sottili elucubrazioni su una situazione (alla maniera petrarchesca del resto, eppure rinnovata da una coscienza diversa) con complicazioni di echi di pensieri, e riflessi allusivi e illusivi, in un inseguimento labirintico di certezze, di punti che si sentono instabili e sfuggenti; e certe ansie improvvisamente affioranti, e certe turbate insoddisfazioni d'amore; e la stessa ridente perplessità di scelta fra due o più donne o fra la donna ed altra cosa; e il velarsi reciproco di illusione e realtà di una figura o di una situazione d'amore nella prospettiva aperta dal gioco ottico di uno specchio, di un'ombra, di un ritratto, di un palcoscenico; e il sentimento della bellezza che vieni meno e tramonta; e, nei riflessi espressivi, talune ricerche di contrasto e rotture d'equilibrio e di chiarezza: come avviene nei sonetti sotto forma di sequenze di parallelismi improvvisamente interrotte sul finale da una discordanza, e nelle composizioni affollate di stile enumerativo, e nell'uso mobile di una parola impiegata ora in un senso proprio ora figurata. Così le confessioni di alcuni poeti sulla finzione del loro amore, che potrebbero essere interpretate, con mentalità positivistica, come una prova di insincerità (sia che false si ritengano le stesse confessioni, ipocritamente dovute a motivi di moralismo controriformistico, sia che effettivamente si considerino finti gli amori cantati come veri) o allo opposto, idealisticamente, come un documento di estetica consapevolezza che scinde la verità lirica da quella pratica e contingente (forse che Virgilio, come proclamerà il Battista, è mai stato pastore o guerriero pur avendo cantato «Pale e 'l dio del Trace»?) in realtà rispondono soltanto a questo gusto di indugio sui rapporti e sulle forme di più malferma e inquietante verità. Così ancora il forte intervento metaforico, soprattutto nella figurazione della natura, che sposta le parvenze da una realtà ad un'altra, che scambia e confonde fra loro le cose, collabora a questa visione della instabile realtà, a questo metaforismo universale (in cui, appunto, i miti delle metamorfosi, oggetto di particolare preferenza da parte di questi poeti, determinano anch'essi un processo di linee in movimento). Ma le « forme che volano », secondo sono stati chiamati i modi stilistici del barocco in sede di arte figurativa, sono prima che una realtà estetica una intuizione etica: un fatto umano, prima che di stile. Il tema ascetico cristiano della vanità delle cose terrene, della caducità della bellezza, della ricchezza, della gloria, assume proporzioni grandiose nell'età barocca e diffonde un velo di malinconia su tutto, coordinandosi al senso tipico di questa età, di inquietudine di spiriti e di oscillazione di forme: le cose della vita, belle e piacevoli, se appaiono talora, in questa lirica, assaporate con avidi sensi, sono anche troppo spesso velate dalla tristezza del destino di morte dell'uomo, che le possiede provvisoriamente, che neppure le possiede per un istante con pieno abbandono, perché, come insisteranno questi poeti, ogni cosa buona ha in sé un lato cattivo, ogni cosa bella ha un lato brutto, perché tale è lo stato dell'uomo che « il ciel sempre unisce Con infausto legame il ben e 'l male »; anzi queste cose stesse, le più desiderabili, quelle che donano amore e fortuna, sembrano mutare e cadere nello stesso desiderio dell'uomo (« Quel ch'ieri si bramava oggi si sprezza... Ch'alfin è un lampo amor, fortuna un vento »); così il sentimento del tempo che passa veloce e irsuta le forme, avvertito com'è- nell'instabilità dell'attimo fuggevole, approfondisce ancora questa visione della vita del barocco, alla quale del resto non pare sottrarsi nemmeno la morte, se uno di questi poeti, Antonio Basso, potrà dedicare un sonetto All'incenerite ossa d'un umano cadavere per descrivere « la natural varietà della nostra corruttibil materia, inquieta anche nelle ceneri dell'uomo estinto ».

In questa intuizione umano-stilistica, in cui sembra in gran parte risolversi anche l'intellettualistico gioco e la sensuale apprensione del reale (due modi di reagire di quella intuizione), si può forse indicare la più feconda linea espressiva della lirica barocca. E la più costante, anche: pur nella diversità delle tendenze di regione e di persona, di tempi e di sviluppi. Perché è innegabile, anche se spesso difficile da cogliersi, la diversità di fisionomia, di toni e di accenti, che passa fra questi poeti. Così il piglio iperbolico e dinamico dell'Achillini si differenzia dal tono di languida e morbida eleganza del Preti, e la maniera atroce e tormentata di un Artale da quella di squisita raffinatezza di un Pietro Casaburi (tanto diverso dal più banale fratello Lorenzo). Così i modi dei lombardi, piuttosto ferini e avvivati solo da un certo gusto di saporosa realtà, si distinguono dai modi più coloriti e smaglianti dei napoletani, o da quelli più melodici e sensuali dei veneti. E, ancora, la composizione più frenata degli autori del principio del secolo appare ben diversa da quella audace e sconvolta degli autori dell'ultimo seicento. Del resto non vale probabilmente la pena di troppo insistere nel tentativo di segnare queste differenze. Si tratta infatti, per questi poeti, di condurre una ricerca critica d'insieme, poiché di valore complessivo e non individuale si presenta il significato storico della loro ricerca poetica. Il quadro di questi lirici marinisti non ci propone in realtà nessuna grande figura di creatore, nessuna di quelle rare personalità che, mentre ci lasciano il dono della loro opera, imprimono con essa forze e sviluppi nuovi alla boria: esso ci offre invece una schiera di sperimentatori, di inquieti analizzatori, che contano non tanto per quei momenti isolati di poesia che Pur realizzano, quanto piuttosto per la loro generale esperienza, per i pro tentativi di rinnovare il gusto poetico. Per opera di questi poeti non si può negare, invero, che sia sorto un ideale nuovo di poesia: uovo nelle situazioni e nelle emozioni, nelle forme e nelle parole (di queste ultime ecco, per finire, alcuni originali esemplari: atomo, enimma, cifra, emblemi, epitalami, epicicli, fosforo, genealogie, embrione, epitaffio, iperbole, ottica, chimico, apocrifo, epilogare, inamarirsi, infogliare, ecc.). Ed è per questa loro opera di rinnovatori (opera spesso nascostamente e misteriosamente attiva nello sfondo della civiltà delle lettere) che essi contano nella storia letteraria, che è storia dello svolgimento del gusto poetico, e in definitiva dunque anche storia della poesia.

 

Aggiornamenti 2002 - Luigi De Bellis