DANTE ALIGHIERI

  • POESIA E STORIA IN DANTE
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    Autore: Ugo Foscolo Tratto da: Discorso sul testo del poema di Dante

     
         

    Un discendente di Guido Cavalcanti, pubblicandone le rime note ed inedite, e alcune apertamente non sue, apponevasi indovinando - «doversi stabilire l'epoca della sua morte circa la fine dell'anno 1300». Ricordami ch'io mi esibiva all'editore dottissimo di additargli nelle parole di Dante una data libera al tutto di congetture. Se non che verso que' giorni mi avvenne di partirmi da Firenze, e poi dall'Italia; e solamente oggi dopo undici anni, trovo occasione di sdebitarmi della promessa. Le anime dannate parlando al Poeta prevedono l'avvenire lontano; e quanto più gli eventi s'appressano, tanto men li distinguono; e quando si fanno presenti, e allora gli ignorano come se non gli avessero mai preveduti, e ne chiedono a Dante impazienti di risaperli. Quanti vantaggi s'apparecchiasse da questa idea sua tutta, semplicissima insieme e ammirabile, vedrai fra non molto. Qui nota ch'ei non incomincia ad accorgersi dell'antivedenza delle ombre nelle cose future e della loro cecità nelle prossime, se non quando importavagli d'introdurre nel Poema il nome di Guido che doveva avere la morte alle spalle, poscia che all'ombra del padre suo non era più dato di prevederla. Dante nell'aprile gli annunzia che il suo figlio viveva; ed era l'anno del priorato di Dante, e gli uomini principali, delle due sétte, furono rimossi a' confini. Se non che « subito » a Guido Cavalcanti ed a' Ghibellini fu conceduto di ritornarsi; il che raggravò l'invidia fra le fazioni, e i sospetti contro di Dante: e perciò ne' documenti trascritti da Leonardo Aretino, risponde - « che quando quelli furono rievocati, esso era fuori dell'ufficio del Priorato, e che a lui non si debba imputare. Più dice, che la ritornata loro fu per l'infermità e morte di Guido Cavalcanti, il quale ammalò a Serezzana per l'aere cattiva, e poco appresso morì ». Il termine del priorato di Dante spirò a mezzo agosto del 1300. Quel « subito » di Leonardo, viene corretto dal vecchio Villani che narrava ciò che vedeva: « Questa parte (dei Ghibellini) vi stette meno a' confini, che furono revocati per lo infermo luogo; e tornonne malato Guido Cavalcanti; onde morì ». Guido dunque non rivide Firenze se non verso l'autunno; e le parole - E' co' vivi ancor congiunto - nel decimo dell'Inferno t'additano che non sopravvivesse a quell'anno, o di poco. Il Poeta s'ode pronosticare da Farinata l'esilio, e quelle battaglie de' fuorusciti mal combattute nel 1304 per impazienza di rientrare in Firenze:
     

    Ma non cinquanta volte fia raccesa
    La faccia della donna che qui regge,
    Che tu saprai quanto quell'arte pesa:


    perciò si pensava che quando le umane sorti stavano vicine per accadere, tanto più fossero conosciute dalle ombre. Ma udendosi interrogare intorno a fatti recenti o imminenti, ravvedesi; e duolsi di avere lasciato ignorare al vecchio Cavalcanti che il suo figlio viveva. Il che al tempo della visione era vero. Adunque, dacché le anime cieche per decreto divino agli eventi maturati del tempo, e presaghe certissime de' lontani, sapevano tutto quanto avverrebbe fra cinquanta mesi, e nulla di Guido, la sua morte non poteva essere lontana che di dieci mesi o dodici, a dir assai, dalla primavera dell'anno 13oo, quando il Poeta fingeva il suo misterioso pellegrinaggio.

     

    Intorno alla data della visione s'aggirano le cose tutte quante
    Venute e le vegnenti, e le venture,


    affollate e nondimeno distinte con armonia precisa di tempi per entro il Poema; ma confuse e ingannevoli a chi seguitando i voli larghissimi e rapidi e talor vorticosi della fantasia del Poeta, non tiene gli occhi intenti perpetuamente, come a stella polare, a quell'unica data della visione. Così, oltre agli esempj, de' minori critici, il Tiraboschi e il grandissimo Bayle imaginarono che il verso

     

    Il suo nato è co' vivi ancor congiunto:


    fosse scritto innanzi alla morte di Guido e all'esilio di Dante in un canto, dal quale escono predizioni puntualmente avveratesi dopo quattr'anni. La osservazione diligentissima della storia guasta i magici incanti degli altri poeti; e a' critici corre debito di non discorrerne più che tanto. Ma in questo nostro chi più la considera più s'accerta che la finzione assume apparenze e potere di verità; onde quanto più Dante è guardato da storico, tanto più illude e sorge ammirabile come poeta. Scrivendo, ei sapeva che l'amico suo giaceva sotterra già da più anni:
     

    Allor , come di mia colpa compunto,
    Dissi: Or direte dunque a quel caduto,
    Che il suo nato è co' vivi ancor congiunto.
    E se io fui dianzi alla risposta muto,
    Fat'ei saper, che il fei, perché pensava
    Già nell'error che m'avete soluto.


    La sua ignoranza della cecità degli spiriti a scorgere cose che stanno per accadere, pare, com'è, la ragione poetica del silenzio; e il romperlo gli era imposto più veramente da compassione al padre di Guido. Però da prima sta in forse; poscia mentre pur lo consola, la voce Ancora gli è suggerita per non violare la verità, ed insieme lasciar intendere come Guido viveva di poca e languida vita. Dopo più tempo ch'egli aveva perduto per sempre il suo nobile compagno, Dante scrivendo Ancora e vivo sentiva un lutto che non può essere concepito se non da' lettori i quali non hanno più né patria né amico.

    Il passaggio istantaneo in quel canto dalle fiere memorie e dalle profezie delle stragi civili, alle malinconiche dell'amico morente, e alle lodi della filosofia e delle lettere, è uno de' contrasti di sceneggiatura e di chiaroscuro da' quali risultano gli effetti maggiori, direi quasi tutti, delle arti d'immaginazione. Omero, e Dante, e i poeti Ebrei ne sono maestri, non però possono insegnare il secreto dell'arte, perché essi l'usavano quasi senza conoscerlo, e come l'ottennero dalla natura, e da' tempi. Dipende da impetuosa velocità di sentire gli affetti e afferrare fantasie diverse in un subito, tutta propria delle epoche ancor mezzo barbare. Pare che Dante pensando a Farinata degli Uberti, eroe ghibellino, e alle guerre civili, si risovvenisse che Guido, amico suo, aveva combattuto nemico implacabile di Corso Donati. Onde il vecchio Cavalcanti si mostra fuori dell'arca, e interrompe il discorso politico dimandando del figlio suo; e incontanente il Poeta non ha più occhio né cuore né mente se non per quest'ombra, e ne spia ogni atto, e ogni moto. Il padre credendo il figlio già morto, si nasconde, né cura delle sorti della sua patria. Questa pittura

     

    Quando s'accorse d'alcuna dimora
    Ch'io faceva dinanzi alla risposta,
    Supin ricadde, e più non parve fuora:


    vicino a questa

     

    Ma quell'altro magnanimo, a cui posta
    Restato m'era, non mutò aspetto,
    Né mosse collo, né piegò sua costa:
    E se, continuando al primo detto
    ...disse:


    fanno meraviglioso il contrasto. Tuttavia l'impassibilità di Farinata a tanto lutto del suo compagno, parrebbe anzi affettazione stoica, che fortezza d'eroe; e attinta da' luoghi comuni de' retori, anzi che dalle viscere del cuore umano. Riesce quindi artificiale a chiunque non sa - né per me veggo interprete che lo accenni - che Farinata udendo la morte di Guido, udiva la morte del marito della sua figlia. Il non mutare aspetto, né chinarsi a piangere con l'afflitto, hanno ragione storica, e quindi descrizione più esatta dell'umana natura ne' forti, e bellezza più viva di poesia. Dipingono l'anima di chi sentendo le afflizioni da uomo, le dissimula da cittadino; e non permette agli affetti domestici di distoglierlo dal pensare alle nuove calamità della Patria. Però si tacque del genero; e continua il suo discorso per dire che la cacciata de' Ghibellini della repubblica lo tormentava più che il letto rovente dovei giacevasi co' seguaci della filosofia d'Epicuro. Lucano gli avrebbe fatto declamare una lunga orazione. Dante si tace anche del parentado di Farinata e de' Cavalcanti, e del valore cavalleresco di Guido, note cose all'Italia d'allora. Lascia a Farinata tutta la gloria guerriera, e celebra in Guido l'altissimo ingegno sdegnoso di lasciarsi iniziare nella filosofia con lusinghe e finzioni poetiche, al pari di Dante. Il titolo perpetuo di Massimo conceduto fra' promotori dell'idioma moderno a Guido Guinicelli nel libro intorno all'idioma volgare, e l'onore fattogli come al « Padre degli scrittori Italiani » nel Purgatorio, accrescono le lodi del Fiorentino « che rapi al Bolognese la gloria della lingua ».
     

     
         
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    Letteratura italiana 2002 - Luigi De Bellis