DANTE ALIGHIERI

  • CARATTERE DI DANTE
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    Autore: Francesco De Sanctis Tratto da: Carattere di Dante e sua utopia

     
         

    Nei tempi civili impariamo a studiare i gesti e le parole, a conservar sempre nell'aspetto un'aria di benevolenza; sì che l'uomo, che chiamavasi educato, ti fa men diffcilmente un'azione ignobile che una scortesia. Dante è più presso alla natura e si manifesta schiettamente.
    È un personaggio essenzialmente poetico. Il suo tratto dominante è la forza che prorompe liberamente e con impeto. La sventura, non che invilirlo, lo fortifica e lo alza ancor più su. Costretto a mangiar il pane altrui, ad accattar protezioni, a soggiacere ai motteggi del servidorame, nessuno si è più di lui sentito superiore a' suoi contemporanei, nessuno si è da sé posto si alto al di sopra di loro. La famosa lettera, nella quale ricusa di ritornare in patria a scapito del suo onore, non solo rivela un animo non inchino mai a viltà, ma in ogni riga quasi ci trovi l'impronta di questo nobile orgoglio.

    Non è questa la via del mio ritorno in patria; ... ma se un'altra se ne trovi, che non sia contro la fama, contro l'onore di Dante, quella ben volentieri accetterò. Che se per nessuna via di tal fatta si entra in Firenze, in Firenze non entrerò io mai.
    Non solo ci è qui il linguaggio della magnanimità, ma dell'orgoglio; ci è la coscienza della propria grandezza; ci è: - Io, Dante Alighieri -.
    Dall'alto del suo piedistallo gira con disdegno lo sguardo su tutto ciò che è plebe e plebeo; perdona più facilmente un delitto che una viltà. Le nature serie e ideali si conoscono assai meglio per i loro contrarci; il contrario di Dante è il plebeo. Diresti quasi che si sentiva di una razza superiore, per nobiltà non pure di sangue e d'ingegno, ma ancora d'animo. Né rimane già in quest'attitudine di dignità passiva; non è una natura freddamente stoica; il foco interiore divampa vivamente al di fuori. Ha la virtù dell'indignazione, ha l'eloquenza dell'ira. Tutte le potenze dell'anima erompono con l'impeto della passione. E quando nel suo stato di miseria lo vediamo rilevarsi di tutta la persona su' potenti che lo calcano e far loro ferite immortali, è sì bello di collera, che comprendiamo l'entusiasmo di Virgilio. Non ch'egli non abbia i suoi momenti di sconforto e di abbandono; ma al sentimento squisito del dolore succede subito l'energia della resistenza. Fu così sventurato, eppure non ci è una sua pagina, nella quale domini quel sentimento di prostrazione morale, quel non so che fosco e fiacco, così frequente ne' moderni. Diresti che il dolore non ha tempo di uscir fuori senza trasformarsi in collera: tanto subita è la reazione della sua forte natura. Or, questo supremo disprezzo per tutto ciò che è ignobile, questo farsi egli stesso il suo piedistallo e incoronarsi con le proprie mani, questo interno dolore superbamente contenuto, sì che, mentre il cuore sanguina, il volto minaccia, Imprime sulla sua figura severa una grandezza morale, qualche cosa di colossale, che ci ricorda il suo Farinata.
     

     
         
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    Letteratura italiana 2002 - Luigi De Bellis