CRITICA: DECADENTISMO

 CREPUSCOLARI E FUTURISTI

 AUTORE: Walter Binni         TRATTO DA: La poetica del Decadentismo

 

I crepuscolari hanno per loro vicini immediati i futuristi, da cui, ad un esame superficiale, sembra dividerli un abisso. In realtà futuristi e crepuscolari non sono che uno stesso momento spirituale svolto in due maniere psicologicamente diverse: da una parte, poetica delle piccole cose quotidiane, e quindi scoratezza e rinunzia; dall'altra, poetica del dinamico, del violento, prepotente accettazione della realtà: predominio in ambedue i casi della più grezza psicologia, tentativo sentimentale, volitivo, e solo mediatamente artistico.
Mentre i crepuscolari sembrano voler scontare la lussuria vittoriosa di D'Annunzio, i futuristi la riprendono e la moltiplicano freneticamente. Si riannodano come i crepuscolari al Bettelom, ai veristi, agli scrittori di prosa lombardi, e soprattutto alla strana figura di G. P. Lucini, letterato mediocre, poeta polemico, propugnatore del verso libero.
Naturalmente di fronte al caos di Lucivi i futuristi respirano già un'altra aria, e si avvantaggiano di una nuova civiltà indigena, che permette ormai anche una migliore comprensione della maturità decadente francese.
È proprio un decadente francese, un irregolare della poesia simbolista, Jules Laforgue, che ci offre il ponte di passaggio fra crepuscolari e futuristi e ci inizia alla formazione di questi ultimi. L'atteggiamento laforguiano (quella che si chiama comunemente la sua ironia metafisica) incise sulla poetica di tutti i crepuscolari più scaltri, e soprattutto su Aldo Palazzeschi, che si trovò poi a militare nelle file dei futuristi proprio per il suo tono lontanamente laforguiano e per la possibilità di ironia estremamente intellettuale, datagli dal linguaggio futurista.
Egli è solamente la coscienza riflessa, e perciò superatrice, del crepuscolarismo, che disgrega con il suo senso quasi parodistico del prosastico:


Salisci, mia Diana, salisci,
salisci codesto scalino,
salisci, non vedi è bassino,
bassino, bassino, salisci.



Corazzini aveva detto: «Io non sono un poeta;... Io non sono che un piccolo fanciullo che piange», definendo la sua posizione schiettamente crepuscolare; Palazzeschi dice: «Son forse un poeta? No certo... Son dunque un pittore? Neanche... Son dunque che cosa? Io metto una lente - davanti al mio cuore - per farlo vedere alla gente. Chi sono? Il saltimbanco dell'anima mia». Il fanciullo è stato sostituito dal saltimbanco, che ne è come la coscienza ironica.
Nella famosa «Passeggiata», la poetica dei crepuscolari che sfruttava i nomi, le tiritere delle cose banali, arriva ad una disgregazione della costruzione, che, animata da un diverso spirito, sembrerebbe futurista. I futuristi infatti non sognarono sempre un diluvio di parole, che adeguasse la nuova realtà. E sono perciò anch'essi sulla scia del Pascoli e del D'Annunzio, e si trovano, come sentimento della parola, alla pari dei crepuscolari. La volontà di rinnovamento si riduce dunque sostanzialmente all'impostazione di una nuova psicologia: la psicologia dell'uomo moderno, della civiltà meccanica, dell'ultimo prodotto del nietszchismo, del pragmatismo, del dannunzianesimo.
Si avvantaggiano, senza darlo a vedere, di certe conquiste filosofiche come quella crociana e bergsoniana (intuizione, immediatezza del linguaggio) brutalizzandole ed inserendole in una visione della vita caotica, materialistica, infantile. Per romperla con la tradizione, sentono il bisogno di spaccare i capolavori dell'antichità, e per reagire all'accademia, diventano un continuo paradosso culturale.
Il loro risultato è perciò soprattutto notevole nel campo sociale e largamente culturale (esasperazione estrema dell'identità arte-vita) ma nel campo specificamente estetico la loro novità è superficiale, limitata vistosa se si guarda alle audacie, meschina se si guarda alla forza poetica che c'era dietro quegli schiamazzi. Ché spesso in questi poeti, fra tante cose (volontà, egotismo, materialismo quasi mistico) non c'è che un briciolo minimo di poesia. «Et tout le reste» non è neppure letteratura, ma sfogo di bisogni extraestetici.
Positivamente il futurismo ha finito la distruzione della formazione retorica, - con una violenza in sé e per sé cieca - del gusto ottocentesco, ed ha fatto provare il sapore dell'anarchia ad una letteratura saggia ed ordinata come la nostra. Il futurismo è stato così uri po' il martire di un decadentismo in arretrato, ha pagato per tutti, ha giovato negativamente a tutti.
II futurismo ha il valore di un'esperienza poco profonda, ma intensa, di tendenze d'avanguardia che sono state poi allontanate da quel potente antidoto...

La natura sensuale di questa poetica cerca infine il suo massimo nella sovrabbondanza delle immagini (perciò Govoni dovette piacere a Marinetti): «le immagini non sono fiori da scegliere e cogliere con parsimonia come diceva Voltaire».
E si potrebbe continuare a tirare le conseguenze tecniche, i particolari costruttivi, che emanano da questa poetica sensualistica. Ma a noi interessa aver ribadito l'accento estremamente decadente della poetica futurista e averla trovata, sotto spoglie diverse, vicinissima alla poetica pascoliana, dannunziana, crepuscolare.

 

Aggiornamenti 2002 - Luigi De Bellis