CRITICA: FRANCESCO DE SANCTIS

 DE SANCTIS E HEGEL

 AUTORE: Walter Binni         TRATTO DA: Amore del concreto e situazione prima....

 

Una riprova di come nel De Sanctis un sano romanticismo accoppiasse l'amore per una connessione filosofica con il gusto dell'individuale concreto, è costituita dai rapporti con la filosofia di Hegel. Fin dal primo momento si può notare, accanto all'entusiasmo per una ricchezza ideale, quella certa sana diffidenza verso la dottrina di Hegel in quanto inapplicabile alla critica. Parlando della lirica, della sua presente vitalità, critica l'hegelismo che a tale attualità della poesia si opponeva: « Hegel fondatore e capo della scuola moderna sostiene che ha percorso tutti i suoi vari cicli e che il presente è l'ultimo di questi e perciò l'umanità si è fermata. E per la poesia in genere e per la lirica viene negata ogni possibilità di progresso. L'epica e la drammatica, secondo Hegel, finiscono nella prosa e seguono ormai le sorti di questa, ma per la lirica non c'è scampo. Il presente lirico è finito, tutto è prosa. E se oggi si vuol innalzare qualche grido lirico, bisogna rivolgerlo al passato, ai tempi di Grecia e di Roma, perché il presente non può più ispirarlo. Questa dottrina di Hegel e della sua scuola è falsissima. Anzitutto l'impressione è sempre del presente anche quando l'azione che ne è la causa sia passata ed antica .... Ma poi, negare che oggi possa darsi poesia lirica, è contraddire apertamente i fatti... Leopardi e Manzoni non protestano contro allo Hegel ed a tutti i suoi seguaci? V'ha d'uopo di altro per confutare costoro?». Questo brano chiarisce la qualità dell'apporto di Hegel e la natura più vera del De Sanctis che si oppone alle conclusioni rigorose della dialettica applicata alla storia dello spirito, mediante un sano controllo della realtà della poesia: le conseguenze astratte hegeliane non potevano aver nessuna presa sul critico che sta alla testimonianza della poesia in concreto. Dice il De Sanctis nel '79, nella conferenza sul verismo zoliano. «E chi mi ha seguito nella mia vita intellettuale, vedrà che sin da quel tempo che Hegel era padrone del campo, io ho fatto le mie riserve e non ho accettato il suo apriorismo, la sua trinità, le sue formule». Ma l'influenza vera di Hegel fu la spinta a speculare direttamente sull'estetica, a dare una base filosofica alla sua critica: non dunque tanto adottare integralmente l'hegelismo quanto trarne lo spunto per una certezza filosofica su cui basare il proprio metodo critico.
E' così in diretto rapporto al suo studio dell'«Estetica hegeliana», che nel 1844 il De Sanctis inizia un vero e proprio corso sull'estetica, lontano ormai dal purismo, desideroso di sviluppare quell'innato bisogno di una base filosofica senza la quale la sua grande pratica critica gli sembrava empirica: la teoria viene limata in base all'esperienza viva della letteratura, e l'esperienza non resta suggerimento di considerazioni puramente empiriche, investita com'è della luce della teoria.

Tanta fu l'impressione che il De Sanctis riportò dell'Estetica hegeliana, che nel '45-46 il corso che verteva sulla storia della critica (il titolo stesso ci dice il progresso fatto dal De Sanctis dai corsi sulla Grammatica e sullo Stile a questo che ha un deciso carattere storico e impegnativamente critico) fu visto con un forte movimento dialettico e come preparazione alla formulazione hegeliana. Cominciava dalla storia della critica antica in cui vedeva come punti essenziali Tacito perché con lui la critica divenne storica, gli Alessandrini in reazione all'intellettualismo aristotelico, pieni dell'impressione e del gusto dell'arte. Esaminava i trattatisti del '500, gli estetici del '-70o, le parzialità di quelli contro la certezza storica dei nuovi. E dimostrava una chiara coscienza romantica del nuovo acquisto nel campo critico: «il Vico per primo aprì un indirizzo (proseguito poi in Germania) che rende possibili le spiegazioni di tutte le azioni e di tutte le opere d'arte, nel quale non si passa da scuola a scuola, secondo gli individui, ma da civiltà a civiltà. In questa concezione i capolavori delle civiltà anteriori non vanno perduti perché restano come monumenti di civiltà. Alla vita degli autori Vico sostituì la vita dei popoli, alla biografia la storia: così la critica divenne veramente storica». Merito essenziale del Vico ma non posizione di arrivo come quella di Hegel. «Gli aristotelici considerarono l'arte negli artifici esterni, i francesi la videro nell'uomo; gli alemanni nella società; e queste tre scuole si fermarono nel principio della critica subbiettiva. Oggi deve vedersi, se l'arte possa essere considerata in se stessa, fuori dello spazio e del tempo: e questa considerazione obbiettiva dell'arte va unita al nome di Hegel».

Ma nella stessa esposizione dell'Estetica hegeliana, di cui abbiamo solo parzialmente gli appunti, si vede come il De Sanctis la utilizzasse per il suo speciale interesse di critico: più che insistere su ciò che dell'Estetica forma l'attacco con tutto il sistema filosofico, egli insiste sullo spirito romantico che la informa, sull'espressività dell'arte come sua caratteristica («Hegel si pone tra l'una e l'altra scuola (cioè la Winckelmanniana e la naturalistica) e, facendosi più dall'alto, dice ch'è artista chi ha la potenza di manifestarsi, che è libero e può incarnare nell'azione ciò che ha nell'immaginazione») ; oppure mette in rilievo, poiché serve al suo metodo critico in formazione, la maniera con cui per Hegel l'ideale s'incarna nel reale, cioè nella situazione e nell'azione, sintetizzate nella parola «carattere», e nell'accento che distingue, un certo personaggio, una certa figura; o insiste sulla creatività dell'arte e sul valore romanticissimo dell'esperienza. «La fantasia dell'artista non riproduce, ma crea, ed essa è propriamente l'attitudine che l'uomo ha di creare, ma, perché quest'attitudine diventi atto, l'artista deve aver molto veduto ed osservato, si richiede che abbia conoscenza del mondo reale». Insomma il De Sanctis più che esporre il sistema hegeliano nel suo puro valore filosofico, lo rileva nei significati più romantici e funzionali ad una pratica della critica, ne corrobora le proprie convinzioni artistiche e più che una teoria della critica fonda la possibilità della propria critica, dandole basi filosofiche e rinforzandola con i risultati dei critici contemporanei, che mette in confronto, per vederne reciprocamente le manchevolezze, le esigenze e poter risalire ad un proprio risultato in vista di un metodo critico concretamente applicabile.
Di Hegel egli valorizzava in massimo grado l'autonomia dell'arte («la libertà e la spontaneità della concezione artistica è idea propria di Hegel») e l'idea del progresso nella storia. Mentre per sfuggire alla morte dell'arte, De Sanctis immagina una poetica inquietudine nella lotta della scienza con l'arte, dell'intelletto col cuore, una sorgente romanticissima d'arte che trova il suo esponente massimo nel Leopardi. D'altra parte (egli dice): «non è in tutto vero che l'arte e la scienza debbano andare scompagnate e che dove l'una entra l'altra sparisca:... se la scienza analizza ciò che nell'arte è sintesi, non per tanto l'una e l'altra hanno uno stesso scopo e procedono ugualmente, (c'è qui un reale tentativo per dare alla successione hegeliana arte-filosofia, un significato solo ideale; non cronologico)». «Il sistema dell'analisi aveva prima sminuzzato la scienza ed oggi si fa ogni sforzo per unificare. La religione, l'arte e la filosofia oggi tendono ad unirsi, e ciò dimostra chiaramente l'invasione della filosofia nella poesia e di questa nel campo di quella. All'analisi nuda si sono sostituiti certi dati, il sentimento di certi principi, la fabbrica di sistemi che sono tanti poemi epici» (una bella frase che illustra lo sforzo essenziale del romanticismo a dare un'espressione totale, estetica e più che estetica). Ora Hegel, per il De Sanctis, aveva avuto il. torto di considerare l'arte nel suo stato, diremmo noi, apollineo, nell'armonia dei greci: «egli Hegel, vuole che l'artista debba essere inconsapevole dell'idea che riveste, che quell'inviluppo nel quale l'idea si manifesta debba essere misterioso, ma che l'idea ci sia». Ora è chiaro che col Romanticismo questa spontaneità è finita, che alla fantasia si è sostituito il cuore e il sentimento: ora se Hegel pose l'arte nella spontaneità, ossia in quel corpo fantastico che inconsapevolmente riveste l'idea, cessato questo felice stato dell'arte, naturalmente egli doveva giungere alla conseguenza che l'arte oggi è morta.

 

Aggiornamenti 2002 - Luigi De Bellis