CRITICA: CARLO GOLDONI

 COMMEDIE D'AMBIENTE E COMMEDIE DI CARATTERE

 AUTORE: Attilio Momigliano    TRATTO DA: Storia della letteratura italiana

 

Quest'incertezza artistica, orientata però sempre verso la rappresentazione dell'ambiente, dura fino alla Bottega del caffè, una delle sedici commedie scritte dal Goldoni nel 1750 per riguadagnarsi il pubblico che in quell'anno pareva stanco della sua opera. Qui, come poi nel Campiello e nel Ventaglio, l'ispirazione muove dalla visione della scena. È l'ambiente che genera, colorisce, guida gli intrighi e i pettegolezzi dell'azione: caffè, campiello e piazzetta sono insieme il motivo pittoresco e psicologico di queste tre opere. Una straordinaria mobilità ed evidenza di fantasia combina gli episodi, le entrate e le uscite dei personaggi in modo da rievocar senza posa la topografia e il colore dei luoghi; una singolare armonia di concezioni regola la condotta dell'azione in modo che essa sembra nascere continuamente dall'ambiente vizioso e ozioso di una bottega di caffè, dall'ambiente pettegolo di un campiello e di una piazzetta. Sembra che dal caffè spiri un'aria di equivoco e di vizio, dal campiello e dalla piazzetta un'aria di pettegolezzo, di chiacchiericcio, di effimero litigio. Il protagonista della Bottega del caffè, don Marzio, é piantato con una risoluta sicurezza nel centro di quell'ambiente, fra una barbieria una bisca una locanda e la casa di una ballerina, a braccar notizie e scandali. II tono generale della commedia è mantenuto con difficile misura sui confini fra l'opera buffa e il dramma, e sembra suggerito insieme dal protagonista - pettegolo in apparenza, cinico e brutale nel fondo -, e dall'ambiente - in apparenza vivace per la mutabilità degli intrighi e delle sorprese, in realtà serio per quel fermento di vizi e di miserie che vi brulica dentro -. La superficie della commedia è rappresentata da quel grande motivo d'opera buffa che la fantasia fertile e triviale di don Marzio trova per rappresentare l'immaginario affluire di clienti nella casa della ballerina: «Flusso e riflusso per la porta di dietro». Il fondo, dalla mostruosa rapidità inventiva di don Marzio, da quel ghigno di vizioso e di ozioso con cui spaccia le sue calunnie, dalla vigliaccheria con cui sfugge alle conseguenze della sua maldicenza; e si riassume nella scena 23a dell'atto II quando, durante il parapiglia che succede fra Placida e Vittoria che sorprendono i mariti per le ciarle di don Marzio, egli esce pian piano dagli stanzini della bisca e se la svigna dicendo «Rumores fuge». Caricando le tinte scure, avremmo una commedia realistica; caricando quelle luminose, una commedia ilare, leggera: il carattere della Bottega del caffè è questa comicità rapida, mutevole, contornata di ombre e - nelle scene culminanti - sbalzata con un'evidenza di trovate che annuncia, dietro il pittore d'ambienti che già conoscevamo, il creatore di carattere. Ma già in questa conquista si afferma che il Goldoni sarà geniale pittore di personaggi quasi soltanto nella sfera della comicità grottesca e graziosa. Le battute che illuminano don Marzio e sembrano delinearlo come per incanto dinanzi ai nostri occhi, sono dello stesso genere di quelle che dipingeranno i rusteghi e sior Todaro...

Migliori del Campiello, che nel terzo e quarto atto decade più di una volta verso il tono dell'operetta, sono le Baruffe chiozzotte (1762). Hanno - da una parte - maggior rilievo psicologico, - dall'altra - un fare più arioso. Argomento della commedia sono le baruffe dei pescatori di Chioggia, concentrate intorno ai fidanzati Titta Nane e Lucietta. Essa è insieme la pittura di un borgo di pescatori e la rappresentazione rumorosa capricciosa e drammatica delle passioni di questi popolani. La pittura è ariosa, diversa dal quadretto di genere tipo Campiello: l'inizio della commedia può far pensare, per il senso del paesaggio e dell'atmosfera, ai Malavoglia del Verga: due gruppi di donne lavorano all'aperto, scrutando il tempo, in attesa che tornino dal mare le barche degli uomini. Ma quest'impressione iniziale, potentemente pittoresca, questa pennellata larga e sicura che ci introduce nella vita di un borgo di pescatori, è più che altro una bella ouverture. L'attenzione del Goldoni è rivolta piuttosto a quelle liti che qui, diversamente dal Campiello, intonate come sono a quella ruvida e forte razza di popolani, hanno un gagliardo rilievo e, a lampi, vera forza drammatica. Gli uomini sono un po' bravi, le donne più timorose e prudenti. Il vero e proprio pregio della commedia consiste nella sagacia e nella grazia con cui è ritratta la volgarità pittoresca dell'ambiente popolano, in quel senso artistico della veemenza, della spontaneità, della tenerezza popolana, che culmina nella famosa scena 3a dell'atto II, la più appassionata rappresentazione goldoniana di bizze, di liti e di orgogli di innamorati.

Il Ventaglio (1765) è la più perfetta fra le commedie d'ambiente. Mirabile sopra tutte la prima scena, dove con pennellate così leggere e vive è già dipinto tutto l'ambiente paesano, e quello aristocratico, dei villeggianti: l'osteria, la farmacia, la bottega del ciabattino, quella della merciaia; i rumori del lavoro quotidiano che si mescolano alle chiacchiere dei villeggianti oziosi, l'aria dei campi e del paese, con quel senso insieme di vita e di tranquillità; l'umore pettegolo del piccolo borgo da cui verrà fuori la tragicomica odissea del ventaglio. C'è un'arte superiore nello scegliere ed accennare appena i motivi e disporli nell'apparente disordine della realtà e nel reale ordine dell'arte. Forse non c'è altra commedia del Goldoni in cui la pittura lieve e mobile dell'ambiente e l'osservazione sagace e fugace degli uomini siano così bene armonizzate. Si può vedere anche in questo quella tenuità settecentesca di linee e di tinte, che è riconoscibile in tutto il teatro del Goldoni.

Abbiamo finora parlato di commedie d'ambiente. Ci resta da parlare di quelle di carattere. Anche in esse, nonostante la maggior gravità del tema, l'intonazione è visibilmente settecentesca. Scegliamo le migliori: La locandiera (1753), I rusteghi (1760), Sior Todaro brontolon (I762). Le date ci mostrano che in complesso il Goldoni arrivò alla conquista del carattere dopo quella dell'ambiente; l'esame ci mostra che anche scrivendo commedie che in confronto con altre sembrano di carattere, egli non cessò di essere descrittore d'ambienti. Quelle sue commedie ci dicono piuttosto, che con gli anni la capacità psicologica del Goldoni si è approfondita. Ma quella di esse in cui il protagonista è più autonomo - Sior Todaro - è anche la più debole... La locandiera e i Rusteghi si reggono, invece, dal principio alla fine: e sono, in misura diversa, insieme commedie di carattere e d'ambiente. La locandiera è una delle commedie più armoniche del Goldoni, mirabile per la rispondenza fra l'ambiente e l'azione, fra questi e i personaggi. Sembra il ritratto di una figurina di donna abile e seducente, l'attuazione perfetta del tentativo che il Goldoni ha ripetuto tante volte cominciando dalla Donna di garbo e dalla Vedova scaltra, ed è insieme un quadro di vita settecentesca. La differenza dalla Bottega del caffè, che è in modo più manifesto commedia di ambiente, non è poi fortissima. Il tema è un episodio di vita di locanda, particolarmente di vita di locanda del Settecento: Mirandolina domina; ma senza quel marchese, quel conte, quel cavaliere, quelle comiche, non la potremmo immaginare. La grazia seduttrice di Mirandolina è il tema dominante della commedia: ma non potrebbe stare senza quelli - e non altri - temi di accompagnamento. Mirandolina è la luce del quadro: ma il quadro è quell'episodio di vita settecentesca.

La locandiera è una delle commedie che meglio guidano il lettore allo studio del Goldoni come principe dei nostri poeti settecenteschi ed arcadi. Il tono con cui è svolto l'innamoramento del cavaliere misogino - occasione per descrivere la protagonista e l'ambiente - è mantenuto in uno stupendo equilibrio fra il canzonatorio e il drammatico, fra lo scherzoso e il passionale: e solo al colmo dell'azione il passionale sormonta, per poi lasciar finire la commedia serenamente com'era incominciata. Uno scioglimento drammatico spegnerebbe tutta la grazia della commedia che è, in fondo, nonostante la solidità della psicologia, uno scherzo. Attorno alla figura della protagonista, mantenuta nell'ambito d'una civetteria onesta e graziosa, modulata sopra un tema fra canzonatorio e patetico, si svolge un episodio d'una morbidezza, d'una fugacità, d'una leggerezza settecentesche: e la protagonista, quella regina dei cuori, anche se non è incipriata e in guardinfante, ci fa ripensare al secolo in cui come non mai la donna fu signora e sovrana. Tutta la commedia ha un delicato sapore di rievocazione storica: e perciò questa volta la solita chiusa rosea del Goldoni è perfettamente intonata.

Nei Rusteghi non c'è quest'idealizzazione costante, questa fine smorzatura dell'azione e dei personaggi, questa sensibilità e fragilità che arieggiano il Metastasio. E tuttavia anche nei Rusteghi, in questo tema che per noi sarebbe drammatico, si sente un'impostazione e una maniera più graziosa che grave, il solito spasso delicato del Goldoni che osserva lo spettacolo della vita.
I Rusteghi sono il suo capolavoro, riassumono e fondono tutte le sue attitudini: quelle di pittore e psicologo di un ambiente, e di disegnatore di caratteri. A questa commedia mette capo l'insistente motivo goldoniano della bella onestà antica, affidato per lo più a Pantalone, rappresentato dal popolo e dalla piccola borghesia, e cominciato già con la Putto onorata: ma quel tanto di oratorio che vi era sempre rimasto, qui svanisce, e il tema, guardato ancora con simpatia, è però sfumato d'un lieve sorriso di canzonatura. L'onestà dei rusteghi trascende i limiti, sconfina nella tirannia e nella pedanteria: di qui quell'atteggiamento complesso del Goldoni, fra il tenero e il ridente, che in tutta la commedia, e particolarmente nella scena in cui Lunardo e Simon si sfogano e si confessano (II, 5) ci presenta il poeta sotto un aspetto più alto del solito, quasi come uno spirito superiore.

Anche questa scena, dove la morale dei rusteghi è sfumata con una così perfetta fusione di canzonatura e di simpatia, rimane in una sfera di alta e serena comicità; e certe battute, dietro le quali si vedono le facce e i gesti dei personaggi, hanno la linea di un'amabile caricatura. Anche i Rusteghi, come la Bottega del caffè, hanno un fondo serio e onesto ma sono tramati, delicatissimamente, sopra una linea di opera buffa. Cosa evidente sopra tutto nell'apertura dell'atto terzo, nel concilio dei rusteghi, radunati in terzetto di bassi più o meno profondi per riparare lo scandalo dei due fidanzati che, contro le regole del buon tempo antico, si sono visti in faccia prima del matrimonio.

Il Goldoni ha simpatia per i vecchi, ma parteggia per i giovani; e perciò muove insensibilmente la commedia dalla rappresentazione della tirannia dei rusteghi all'imbarazzo e alla resa, e quindi da un tono un po' chiuso e grigio ad un tono via via più ilare. L'apertura della commedia è una mirabile armonia di tinte scure, malinconiche, modeste. Si sente il peso di quella vita, di quell'aria chiusa, si vede quella casa vecchia. Le figure, i dialoghi, le cose - appena accennate, ma toccate da un intuito sicuro -, tutto dà un senso di monotonia e di clausura: bastano poche battute per entrare in quella casa, per respirarne l'aria. È l'arte delle Baruffe chiozzotte e del principio de Le massere, che rende così bene il risveglio delle case, l'aria tra frizzante e dormigliona che spira nelle vie d'una città all'alba. C'è qui il senso dell'atmosfera, che è più difficile che il senso scenografico dell'ambiente, e rivela uno spirito più largo e più poetico. Sentite che quella camera è vecchia e spenta; e in essa e in quei sospiri di Lucietta e Margarita verso la libertà e i divertimenti del carnevale che finisce, sentite già la presenza del padrone, di Lunardo. Pure questa vita sorvegliata non vi dà un'impressione penosa quei battibecchi fra quelle due compagne di prigionia - la figlia e la matrigna -, quel po' di grazia e di tenerezza che mormora nel fondo di questa scena di rammarico, correggono l'impressione grigia e danno il tono giusto del contrasto da cui prende motivo la commedia. Già nella prima scena, che è la più scura, serpeggiano i toni comici che si alzeranno via via nel seguito dell'azione. Lunardo, sopraggiungendo nella scena seconda, dà corpo a quella clausura, ma insieme la orchestra con un motivo comico già più sensibile. L'osservazione della figura di Lunardo, e della sua incompatibilità con la giovane moglie, diverte la nostra attenzione verso gli aspetti ameni di quel ménage: e così succederà per gli altri rusteghi.
Questa doratura di sorriso che sfuma e alleggerisce il quadro grigio e angusto, e vela la potente concezione psicologica dei quattro protagonisti, è forse l'aspetto più sapiente della commedia e il colmo della finezza artistica del Goldoni. E questa doratura che permette anche qui, come nella Locandiera, una chiusa serena, in perfetta armonia con il carattere fondamentale della commedia.

Anche questa commedia è, con un'umanità e una simpatia più profonda del solito, tutta settecentesca. Settecentesco è l'ambiente che si ribella ai rusteghi e trionfa: Felicita, piena di spirito, di prontezza, di brio, ma onesta, il tipo di donna protagonista di tutto il mondo femminile goldoniano: la matrigna e la figliastra, sempre ondeggianti fra le liti e le paci; le malinconie e le stizze di Lucietta, le sue ansie e le sue gioie; quei fidanzati appassionati e ingenui. Ma settecenteschi sono pure i rusteghi, così quando sono veduti ad uno ad uno, come quando sono radunati in colloqui che ci danno una misurata ma evidente impressione di duetti o di terzetti comici.

 

Aggiornamenti 2002 - Luigi De Bellis