CRITICA: ALESSANDRO MANZONI

 LA LIRICA DEL MANZONI

 AUTORE: Attilio Momigliano         TRATTO DA: Alessandro Manzoni

 

I due elementi della poesia del Manzoni - l'umano e il divino -, benché nei suoi capolavori siano perfettamente accordati, tuttavia occupano due posti ben diversi. In apparenza l'umano predomina: perciò si può anche sbagliare il Cinque Maggio per una poesia politica: la realtà storica o inventata fornisce al Manzoni la maggior parte delle sue figurazioni concrete, occupa quantitativamente il maggior posto; dove non è così, dove il divino soverchia non solo in realtà ma anche in apparenza, l'arte è inferiore: si vedano i quattro inni sacri minori.
Ma in fondo, nei capolavori religiosi del Manzoni non predomina né l'umano né il divino, poiché il secondo che fornisce minor copia di materia fantastica, sta però dietro il primo a illuminarlo, e lo solleva.
Tuttavia l'elemento umano generando la maggior parte delle figurazioni concrete, offre più abbondante argomento all'indagine: anzi la precisione ora sintetica ora analitica colla quale il Manzoni seppe raffigurar la realtà, fu la causa per cui critici tepidi o irreligiosi e consciamente o inconsciamente settari, disprezzando lo spirito cristiano del poeta, concentrarono la loro attenzione e la loro ammirazione sul realismo del Manzoni, e contribuirono perciò, con dannosa e grande efficacia, a far sì che anche ora volgarmente l'intera sua opera, e in ispecie i Promessi Sposi, sia ritenuta soprattutto come una rappresentazione ora piacevole e nitida, ora potente e profonda della realtà quotidiana e comune o della realtà storica: mentre il valore del Manzoni è molto più alto.
Egli non è però un mistico: lo dimostra la precisa determinatezza dei personaggi e della materia umana in cui infonde il suo spirito religioso. I personaggi delle sue creazioni religiose hanno una salda individualità umana: sono, nel complesso, trasfigurati dalla sua fede, ma serbano tuttavia il sentimento terreno in tutta la sua potenza; fondono in sé l'anima propria e quella del Manzoni: si sente che un altro poeta li avrebbe visti diversamente, ma non si può negare che non una linea della loro storia è stata falsata. È quel che avviene anche nei Promessi Sposi, dove l'anima del Manzoni, una e molteplice, infonde in tanti personaggi la propria religiosità ma serba a tutti le loro caratteristiche individuali e storiche: il Manzoni era non meno amante della verità che della religione; e queste due tendenze si vedono fuse nelle sue creazioni. L'Innominato visse veramente come il romanzo narra, e si convertì; il cardinale fu veramente nel suo tempo travagliato quel santo che il Manzoni dipinse; tutto quel periodo di storia lombarda si svolse veramente come i Promessi Sposi descrivono: eppure dentro una così precisa fedeltà storica palpita l'anima originale del poeta che l'ha ritratta. Napoleone non fu rappresentato da nessuno con la potente penetrazione storica del Manzoni; Ermengarda vive nella corte di Carlo e nel chiostro, e muore accomunata dal destino con gli Italiani dominati da suo padre, come dovette veramente vivere e morire: eppure Napoleone ed Ermengarda sono due personaggi così manzoniani, che non sfugge a nessuno la somiglianza profonda che lega la loro sorte terrena e oltremondana. La Pentecoste è tutta avvolta da una gran fiamma religiosa; ma dentro questa brilla, nitida e potente, la fiamma dei sentimenti umani: e forse le brevi ma incisive figurazioni terrene penetrano nella mente di molti lettori più profonde che l'ardente soffio animatore dell'inno. Il valore della Pentecoste, come del Cinque Maggio, dell'Ermengarda, dei Promessi Sposi, è invece soprattutto nell'ispirazione religiosa ma senza quella materia umana l'inno rimarrebbe un po' astratto e sarebbe meno ardente. Al contatto della terra la religione del Manzoni si rávviva e prende forma: e questo è il punto più originale del regno della sua fantasia.

Il Manzoni era un grande creatore di caratteri e un gran descrittore di folle: lo si vede nei Promessi Sposi come nel Cinque Maggio, nell'Ermengarda, nella Battaglia di Maclodio e nel coro Dagli atrii muscosi. Poche strofe riassumono la vita e l'anima di Napoleone e di Ermengarda. Pochi lampi rivelatori dipingono il Bonaparte padrone del destino, trepidamente assorto ne' suoi superbi disegni di gloria, fremente nell'attesa del dominio, ruinante per l'Europa atterrita, sicuro e fulmineo, vinto, risorto, abbattuto, travolto dalle memorie, tratto a riva dalla mano pietosa di Dio: trionfatore, due secoli gli fanno da sfondo e lo innalzano come una statua gigantesca; vinto, l'immensità del silenzio e dell'oceano concentrano su di lui con più grave commozione la nostra riverenza religiosa e stupita. I due secoli sono accennati in sei versi, il silenzio e la solitudine in poche parole: ma bastano a trasfigurar Napoleone, a conferire alla sua anima una grandezza vaga e a dare alla sua tragedia un significato universale.
Alcune celle maggiori creazioni di questo poeta, forse le maggiori, sono formate di grandi linee, precise e non minute, sono ad un tempo ben individuate e suggestive. Napoleone, Ermengarda, l'Innominato. Le due vite della ripudiata sposa di Carlo, quella del chiostro e quella della corte, ci stanno dinanzi nette e contrastanti, e la pompa e il gaudio dell'una accrescono lo squallore e l'angoscia dell'altra, e tutt'e due dipingono mirabilmente la donna soave affascinata dall'uomo forte. Eppure non ci sono le minuzie psicologiche e descrittive di parecchi tratti dei Promessi Sposi: pochi particolari, i più rilevati, bastano a far immaginare il resto; è come una catena di monti di cui non si vedono che le vette scintillanti nel cielo: l'ombra delle valli, i burroni, i boschi, le rupi, i sentieri scoscesi e tortuosi s'indovinano. Il procedimento è anche più evidente nel Cinque Maggio:

 

Oh quante volte, al tacito
Morir d'un giorno inerte...:


e noi vediamo l'isola sperduta nell'oceano, sentiamo - accresciuta dalla presenza di quell'uomo pensoso - la malinconia solita d'ogni tramonto, e soprattutto sentiamo nel silenzio delle cose la silenziosa anima abbattuta di Napoleone. La pittura che segue, dell'atteggiamento del Bonaparte, e la rievocazione dei suoi ricordi, sono già in potenza in quel «tacito morir d'un giorno inerte», come il dolore profondo e rassegnato di Lucia è già nella grave e accorata descrizione del lago e dei monti rischiarati dalla luna.
Nelle liriche non c'è un vero esame psicologico: l'anima dei personaggi balza fuori dalla vita accennata nei suoi punti significativi, dall'ambiente storico, anche da un fatto materiale o da un oggetto. Le «insonni tenebre», i «claustri solitari», il «canto delle vergini» , i «supplicati altari», sono una descrizione d'ambiente, di fatti e di oggetti materiali: ma dentro vi dolora muta ed assorta l'anima d'Ermengarda. I ricordi della vita presso Carlo, in apparenza sono quasi soltanto una descrizione: ma ogni verso è gonfiato dal gaudio della donna amata da un uomo forte e potente. La vita di Napoleone è rievocata nelle sue più note vicende esteriori e nell'impressione che l'Europa ne ricevette: i sentimenti scaturiscono da questa balenante sintesi storica, e il Manzoni vi si ferma appositamente solo in quattro rapidi versi:

 

La procellosa e trepida
Gioia d'un gran disegno,
L'ansia d'un cor che indocile
Serve, pensando al regno.


La seconda metà dell'ode - Napoleone relegato - è più direttamente psicologica; ma la parte fantastica vi soverchia sempre. Nel coro Dagli atrii muscosi questa concretezza è anche più evidente: l'argomento è la descrizione della battaglia tra i Longobardi e i Franchi, dell'atteggiamento degli Italiani e delle marce dei Franchi per discendere in Italia; ma nella rappresentazione così precisa e così suggestiva dei luoghi e degli atti si avvertono le segrete fonti ravvivatrici : la misera storia dell'anima italiana, la ferocia longobarda, la crudele avidità conquistatrice dei Franchi, il ricordo dei dolori sopportati fortemente da questi con la speranza d'un gran premio. La battaglia di Maclodio è più fredda, più diluita ed anche per questo inferiore ad altre liriche del Manzoni: ma pure in essa, come nell'ode Marzo 1821, si potrebbe notar qualche punto che dimostra questa singolare attitudine a ritrarre l'anima d'un individuo o d'una folla sotto le apparenze d'una breve descrizione oggettiva. Spesso questi sono tra i passi migliori delle liriche manzoniane.
Tale pregio è la più grande prova della potenza fantastica del Manzoni. Gl'importa l'anima, e ritrae i volti, i gesti, i fatti, i luoghi: quella penetra per mezzo delle immagini materiali nella mente del lettore e vi resta incancellabile. Spesso, più che rappresentare i sentimenti, segna gli atti che li suggeriscono infallibilmente. Ma quando si ferma di proposito sui sentimenti, è denso, lucido, tragico:

 

Ratto così dal tenue
Obblìo torna immortale
L'amor sopito, e l'anima
Impaurita assale.


Sono di quei versi che in certi stati d'animosi riaffacciano alla mente, e li fanno più profondi: e allora si sente il valore di quelle parole. Ma questi casi nel Manzoni sono rarissimi: il poeta che dà una voce alla nostra anima angosciata e muta, è il Leopardi. II Manzoni, per quanto suggestivo, è sempre molto concreto, sia per le tendenze del suo ingegno, sia perché è una mente storica per eccellenza ed ha bisogno sempre di cantare l'uomo di un dato tempo: quindi raramente si abbandona ad un lirismo così universalmente umano da tornare come un bisogno dell'anima nei nostri momenti d'ebbrezza o di malinconia. Il suo fine ultimo è sempre quello di rappresentare un uomo o un popolo che vive, ben concreto, in un tempo ben certo, sotto il vigile occhio di Dio. Il Manzoni insomma, è un poeta storico-cristiano: questo è il suo posto nella nostra letteratura. E la sua grandezza artistica sta nell'equilibrio col quale ha saputo distribuire i vari elementi che contribuiscono a quelle sue concezioni storico-cristiane: la psicologia umana e storica, il protagonista e l'ambiente, l'interpretazione religiosa di quel fatto o di quel personaggio della storia. Il Cinque Maggio e l'Ermengarda fondono in un tutto rapido e incisivo questi elementi: perciò, pur nella loro brevità, sono così complessi, e il critico è incerto da che punto collocarsi per giudicarli, e si sente premuto da ogni parte da una folla di osservazioni multiformi che hanno tutte la loro importanza. Sono due capolavori vari ed uni come la realtà contemplata da una mente organica: e la loro unità deriva da quel sentimento storico-cristiano col quale il Manzoni contempla sempre la vita, dalle due religioni che egli aveva e che erano per lui una cosa sola: la verità e la fede.

 

Aggiornamenti 2002 - Luigi De Bellis