IL PETRARCHISMO

  • IL PETRARCA SPECCHIO DI VITA
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    Autore: Luigi Baldacci Tratto da: Il petrarchismo italiano nel Cinquecento

     
         

    Se l'Alfieri chiamò il Petrarca « gentil d'amor mastro profondo», certo con l'intenzione romantica di scorgere nel poeta l'elaboratore di un'esperienza di vita, ci stupirà forse, dopo aver indicato quanto sull'interpretazione del Canzoniere gravasse l'accento della disposizione rettorica del secolo, che il Muzio nella Varchina non stimasse tanto il Petrarca come lirico, al quale dichiaratamente anteponeva Pindaro e gli altri maggiori lirici greci, quanto, secondo la definizione che ne avrebbe data l'Alfieri, come insuperabile maestro delle cose d'amore: « Né del Petrarca crederò io, che pareggi (come tiene il Varchi) Pindaro con gli altri lirici di Grecia. Dirò bene che egli trattate ha le cose di Amore più gentilmente, che poeta alcun greco, o latino. Ma altro è esser gran poeta, altro parlar ben di un soggetto ». In realtà l'opinione che l'esempio petrarchesco fosse recuperabile in una dimensione diversa da quella indicata dalle Prose della Volgar Lingua e quindi delle successive poetiche, è largamente diffusa nel Cinquecento; anche se, come nell'impostazione data dal Graf al suo noto studio sul petrarchismo, si è preferito colorire la fortuna del Petrarca nel XVI secolo a tinte forti e senza alcuna variazione di tono.

    Quanto il gusto non diciamo già del documento di per sé illuminante, ma dell'aneddoto come dato di vivace coloritura fine a se stessa abbia impoverito, nel caso del petrarchismo dei cinquecentisti, una trama di rapporti storici estremamente complessa, non si lamentò mai abbastanza. Ma tornando alla testimonianza che abbiamo riprodotta dalla Varchina, non si dovrà credere che il Muzio Iustinopolitano brillasse nel suo secolo di un particolare disdegno per una interpretazione formalistica e rettorica di un testo poetico, sì da accentuarne per contrapposto gli aspetti più contenutistici o addirittura didascalici, come di vade-mecum o di codice spirituale. Il Toffanin, esaminando la posizione umanistica del Minturno, ne scorgeva un indizio fondamentale nella incredulità che la poesia potesse avere influenza sulla vita. Di tale opinione abbiamo visto essere il Bembo che in Cicerone non trovava niente a desiderare quanto allo stile, anche se la vita dell'oratore in più di un punto poteva essere riprovata. Certamente non siamo di fronte ad un atteggiamento troppo avvertito quanto ai rapporti tra eticità ed arte; tuttavia ritengo che sarebbe errato richiamare una forma mentale di così vasta divulgazione allo slogan: l'arte per l'arte. Pronunciandosi in tal senso al Bembo premeva soprattutto di assicurare l'autonomia della poetica come precettistica rettorica da poter esser contemplata secondo una direzione indipendente d'indagine. Ciò non significava tuttavia che fosse del tutto accantonato l'interesse al mondo morale dello scrittore: è insomma una distinzione che tende a considerare lo stile secondo un principio canonico che lo riduce a una serie di indicazioni astratte, lontanissima da un atteggiamento moderno che lo interpreti come integralità dell'espressione; e d'altra parte, e direi di conseguenza, è ancora una distinzione disposta a identificare il testo poetico, nelle sue aperture più propriamente liriche, come documento di vita da poter utilizzare in funzione psicologica. Se la vita di Cicerone non meritava forse di essere imitata, poteva ritrovarsi un autore il cui stile e la cui vita fossero ugualmente da proporsi per l'imitazione. Ancora una volta fu il caso del Petrarca: laddove per il Boccaccio - come abbiamo veduto poteva ripetersi quanto si era detto per Cicerone: che il suo stile fosse sempre da proporsi come esempio di bene scrivere, ma non altrettanto fosse da imitare la sua vita (cioè quanto le sue scritture potevano, per induzione psicologica, far pensare della sua vita stessa) che più di una volta si dimostrava condotta con poco giudizio. Ci si rivolse dunque al Petrarca nel segno delle coincidenze spirituali che il Cinquecento riconobbe nel Canzoniere e che si potranno facilmente ammettere individuando appunto nel Petrarca l'esponente di una tradizione cristiana che, oltre ogni compromesso platonico, assicurava il più certo sfocio alle esigenze spirituali del secolo, garantendo ad un tempo pienamente il senso d'arte dell'umanesimo. Tale aspetto che potremmo chiamare dell'imitatio vitae allato a quello dell'imitatio stili appare generalmente trascurato o ignorato, mentre esso ha un'importanza grandissima nella storia del petrarchismo.

    Riferendoci semplicemente alla disposizione rettorica del Bembo, sarà facile intravedere quali autorizzazioni da essa potessero derivare a una posizione d'imitatio vitae, attraverso un approfondimento o un'estensione di quel concetto di imitazione integrale ed esclusiva. Certamente non dovrà essere sottovalutato l'impulso che per una tale interpretazione vissuta del petrarchismo si comunicava al Bembo e alla coscienza del primo Cinquecento dalle tesi o dai temi del De Imitatione a G. F. Pico: « imitatio autem totam complectitur scriptionis alicuius formam, singulas eius partes assequi postulat: in universa stili structura atque corpore versatur ». Tuttavia è necessario affermare che sulla base della stessa distinzione posta tra stile e vita, un interesse diretto ad una considerazione psicologica del testo letterario, quando soprattutto si trattasse di poesia lirica, era ineliminabile. Anzi, se le poetiche, pur iniziando le proprie operazioni su un modello dato, tendenzialmente aspiravano ad una normatività astratta e tutta riassumibile nell'esercizio rettorico, quei documenti critici che per il loro carattere si riducevano a un rapporto costante col testo, come i commenti al Petrarca o le lezioni accademiche, si rivelavano essenzialmente orientati a una trasposizione della lirica o in sede biografica e romanzesca o in funzione di una scienza d'amore contemplata nei suoi possibili casi psicologici attraverso le indicazioni che di essi poteva fornire un testo poetico. Tale disposizione alla scienza d'amore doveva evidentemente cedere alla tendenza codificatrice e rettorica della tarda Rinascenza: parallelamente a quella delle forme, si sarebbe così sviluppata una rettorica dei contenuti psicologici delle forme stesse. È un aspetto che mi pare fondamentale per individuare la questione della lirica cinquecentesca. Esso fu originato dall'interesse psicologico per la figura del Petrarca ricercata nelle sue scritture. D'altronde se il mondo della pseudo-scienza amorosa s'identificò con una fase negativa della lirica che, manifestatasi all'inizio del secolo, si ripercosse anche nei poeti più tardi, il puro interesse psicologico alla figura o alla vita del Petrarca contribuì ad estendere il petrarchismo come fenomeno storico oltre l'ambito dei canzonieri e ad accentuare nei canzonieri stessi il senso di quella imitazione integrale ed esclusiva di cui abbiamo parlato.
     

     
         
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    Letteratura italiana 2002 - Luigi De Bellis