QUATTROCENTO

  • SENTIMENTO DELLA NATURA E DELLA BELLEZZA NELLE "STANZE"
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    Autore: Francesco De Sanctis Tratto da: Storia della letteratura italiana

     
         

    Le Stanze: forme vaganti, di cui nessuno cerca il legame, ciascuna compiuta in sé. Nella giovine mente del poeta non ci è il romanzo, ci è Stazio e Claudiano con le loro Selve, ci è Teocrito ed Euripide; ci è Ovidio con le sue Metamorfosi, ci è Virgilio con la sua Georgica, ci è il Petrarca con la sua Laura; ci è tutto un mondo di immagini fluttuanti, sciolte, disseminate come le stelle nel cielo all'occhio semplice del pastore. Questo è il mondo che vien fuori in un legame artificiale e meccanico, delle cui fila interrotte. nessuno si cura: perché la giostra non è il motivo di questo mondo; è la semplice occasione. La sua unità non è in un'azione frivola e incompiuta, debole trama. La sua unità è in se stesso, nello spirito che lo move, ed è quel vivo sentimento della natura e della bellezza che dal Boccaccio in qua è il mondo della coltura.
    La primavera, la notte, la vita rustica, la caccia, la casa di Venere, il giardino d'Amore, gl'intagli, non sono già episodi, sono questo mondo esso medesimo nella sua sostanza, animato da un solo soffio. Sono l'apoteosi di Venere e d'Amore, della bella natura, la nuova divinità.

    E la natura non ha già quel vago, che ti fa pensoso e ti tiene in una dolce malinconia; non sei nel regno de' misteri e delle ombre, nel regno musicale del sentimento: sei nel regno dell'immaginazione. Venere è nuda; Iside ha alzato il velo. Non hai più gli schizzi di Dante, hai i quadri del Boccaccio; non hai più la faccia di Giotto, hai la figura del Perugino; non hai più il terzetto nel suo raccoglimento, hai l'ottava rima nella sua espansione. Ci è quel sentimento idillico e sensuale che ispirò il Boccaccio, e di cui senti la fragranza nella Lepidina e nel Rul sticus: l'anima sta come rilassata in dolce riposo, non fantasticando ma figurando parte a parte e disegnando, quasi voglia assaporare goccia a goccia i suoi piaceri. E non è la descrizione minuta, anatomica, spesso ottusa, del Boccaccio; ché mentre la natura ti si offre distinta come un bel paesaggio, non sai onde o come ti giungano mormorii, concenti, note, come la voce di una divinità nascosta nel suo grembo. La sensualità filtrata fra tanta dolcezza di note lascia in fondo la sua parte grossolana ed esce fuori purificata; e non è la musa civettuola del Boccaccio, è la casta musa del Parnaso, che copre la sua nudità e vi gitta sopra il suo manto verginale. Nel Boccaccio è la carne che accende l'immaginazione; nel Poliziano l'immaginazione è come un crogiuolo, dove l'oro si affina. La sensuale e volgare Griseida si spoglia in quel crogiuolo la sua parte terrena, e diviene la gentila Simonetta, bellezza nuda, sviluppata da ogni velo allegorico dantesco e petrarchesco, a contorni precisi e finiti, pur divina nella sua realtà:

     

    Nell'atto regalmente è mansueta,
    E pur col ciglio le tempeste acqueta.


    Tra il poeta e il suo mondo non ci è comunione diretta; ci stanno di mezzo Virgilio, Teocrito, Orazio, Stazio, Ovidio, che gli prestano le loro immagini e i loro colori. Ma egli ha un gusto così fine e un sentimento della forma così squisito che ciò che riceve esce con la sua stampa come una nuova creazione. Ci è nel suo spirito una grazia che ingentilisce il volgare naturalismo del suo tempo, e una delicatezza che gli fa cogliere del suo mondo il più bel fiore. L'insignificante, il rozzo, il plebeo non entra nella sua immaginazione : ciò che sta lì dentro è tutto elegante e profumato, e non cessa che non l'abbia reso con l'ultima finitezza e perfezione. Le sue reminiscenze mitologiche e classiche sono semplici mezzi di colorito e di rilievo: gli sta innanzi Venere, Diana, e la tale e tale frase di Ovidio e di Virgilio; ma il suo spirito va al di là della frase, attinge le cose nella loro vita, e le rende con evidenza e naturalezza. Perciò, raro connubio, l'eleganza in lui non è mai rettorica e si accompagna con la naturalezza, perché ha delle cose una impressione propria e schietta. La mammola, la rosa, l'ellera, la vite, il montone, la capra, gli uccelli, le aurette, l'erba e il fiore, tutto si anima e si configura e prende le più vaghe e gentili attitudini innanzi a questa immaginazione idillica. Ciò che prova non è sensualità, è voluttà, sensazione alzata a sentimento, che fonde il plastico e te ne fa sentire la musica interiore. Ottiene potentissimi effetti con la massima semplicità de' mezzi, spesso col solo allogar egli oggetti, ora aggruppando, ora distinguendo, e tutto animando, come persone vive. Tale è la mammoletta verginella con gli occhi bassi e vergognosa, e l'ellera che va carpone co' piedi storti, o l'erba che si maraviglia della sua bellezza, bianca, cilestre, pallida e vermiglia. Il sentimento che n'esce non ha virtù di tirarti dalle cose e lanciarti in infiniti spazi; anzi ti chiude nella tua contemplazione e vi ti tiene appagato, come fosse quella tutto il mondo, e non pensi di uscirne, e la guardi parte a parte nella grazia della sua varietà. Perché il motivo dell'ispirazione non è lo spirito nella sua natura trascendente e musicale, quale si mostra in Dante, ma il corpo, e non come un bel velo, una bella apparenza, ma terminato e tranquillo in se stesso, quale si mostra nel periodo e nell'ottava, le due forme analitiche e descrittive del Boccaccio, divenute la base della nuova letteratura. L'ottava del Boccaccio, diffusa, pedestre, insignificante, qui si fissa, prende una fisonomia. Ciascuna stanza è un piccolo mondo, dove la cosa non lampeggia a guisa di rapida apparizione, ma ti sta riposata innanzi come un modello e ti mostra le sue bellezze. Non è un periodo congegnato a modo di un quadro, dove il protagonista emerga tra miIiori figure; ma è come una serie dove ti vedi sfilare avanti le parti ad una ad una di quel piccolo mondo. Diresti che in questa bella natura tutto è interessante, e non ci è principale ed accessorio, maniera di ottava accomodata al genio di un uomo che non ammette l'insignificante e l'indifferente, e tutto vuole sia oro e porpora. Perciò non hai fusione ma successione, che è la cosa come ti si spiega innanzi, prima che il tuo spirito la scruti e la trasformi. La stanza non ti dà l'insieme, ma le parti; non ti dà la profondità, ma la superficie, quello che si vede. Pure le parti sono così bene scelte e la serie è ordita con una gradazione così intelligente, che all'ultimo te ne viene l'insieme, prodotto non dalla descrizione, ma dal sentimento. Vuol descrivere la primavera dà una serie di fenomeni:

     

    Zefiro già di bei fioretti adorno
    Avea ai monti tolta ogni pruina:
    Avea fatto al suo nido già ritorno
    La stanca rondinella peregrina;
    Risonava la selva intorno intorno
    Soavemente all'ora mattutina;
    E la ingegnosa pecchia al primo albore
    Giva predando or uno or altro fiore.


    Questi fenomeni sono così bene scelti, legati con tanto accordo di pause e di tono, armonizzati con suoni così freschi e soavi, che sembrano le voci di un solo motivo, e te ne viene non all'occhio ma all'anima l'insieme, ed è quel senso di intima soddisfazione, che ti dà la primavera, la voluttà della natura. In Dante non ci è voluttà, ma ebbrezza: così è trascendente. Nel Boccaccio non ci è voluttà, ma sensualità. La voluttà è la musa della nuova letteratura, è l'ideale della carne o del senso, è il senso trasportato nell'immaginazione e raffinato, divenuto sentimento. Qui è una voluttà tutta idillica, un godimento della natura senz'altro fine che il godimento, con perfetta obblivione di tutto l'altro; senti le prime e fresche aure di questo mondo della natura assaporato da un'anima, il cui universo era la villetta di Fiesole illuminata e abbellita da Teocrito e da Virgilio. Da questa doppia ispirazione, un intimo godimento della natura accompagnato con un sentimento puro e delicato della forma e della bellezza, sviluppato ed educato da classici, è uscito il nuovo ideale della letteratura, l'ideale delle Stanze, una tranquillità e soddisfazione interiore piena di grazia e di delicatezza nella maggior pulitezza ed eleganza della forma; ciò che possiamo chiamare in due parole: voluttà idillica. Il contenuto di questo ideale è l'età dell'oro e la vita campestre, con tutto il corteggio della mitologia, ninfe, pastori, fauni, satiri, driadi, divinità celesti e campestri, in una scala che dal più puro e più delicato va sino al lascivo e al licenzioso.
     

     
         
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    Letteratura italiana 2002 - Luigi De Bellis