Nella Giostra l'anima del
Poliziano è leggera, nuova e fragrante; la malinconia dolce delle cose
troppo belle vela, tenuissimamente, il suo splendore e le infonde il
sentimento vago della fine.
L'esortazione a cogliere l'ora che passa, motivo giovanile e malinconico
della classicità umanistica, suona nelle ballate ma è presupposta da tutta
la grande lirica del poeta delle Stanze. L'incanto del suo mondo è troppo
irreale, perché la coscienza non ne avverta indefinitamente la fugacità
inevitabile; il pensiero:
Cosa bella e mortal passa e non dura |
non gli si forma mai nella mente; ma nel cuore c'è una trepidazione non
più che accennata, che non affiora mai, e dà alla visione la levità delle
cose che non sono di questa terra. Simonetta è l'immagine di quella
poesia: Simonetta che appare come una forma venuta da un regno fatato, e
in un attimo conquide il giovine Iulio, e, pur parlandogli di questa
terra, ha già nella voce come la risonanza di una musica che s'allontana.
Scomparsa, ritorna in sogno già staccata dal mondo; c gli occhi innamorati
quasi non la possono più raffigurare:
Vedeasi tolto il suo dolce tesauro;
Vedea sua ninfa in trista nube avvolta
Dagli occhi crudelmente essergli tolta. |
Simonetta è l'immagine di quella poesia e l'anima della prima e pura
giovinezza, che vive con le forme di un sopramondo calate per breve ora
quaggiù. Con quanta finitezza e semplicità di contorni è resa quella
stagione breve dello spirito, in cui gli avvertimenti della realtà non si
manifestano se non nel troppo stesso di quella beatitudine, e le più
leggiadre apparenze del mondo si rispecchiano sole nell'acqua calma della
fantasia! È un momento che il Poliziano ha espresso quasi istintivamente,
in pure immagini, senza quasi residui di sentimento. Siamo noi che
leggendo il poema vi sentiamo dentro la fantasia della prima giovinezza
candida e felice, con sul volto il velo, non più che adombrato, d'un
destino fugace. Le Stanze nascono da un'incoscienza beata, resa più dolce
e più fine da quel senso appena avvertito di soavità che soverchia: sono,
in lineazioni fantastiche e mitologiche, in persone e paesaggi, la
rappresentazione della giovinezza nella sua idealità più tersa, nella sua
piena capacità di trasfondersi nelle apparenze delle cose.
Si comprende che in questo stato dell'anima confluiscano rare movenze
dello stil nuovo e frequenti atteggiamenti della classicità più definita e
più sobria. Mala poesia di quella scuola poteva solo di quando in quando
coincidere con la fantasia del Poliziano, perché, nella comunanza del
sogno, subito le distaccava la fonte stessa di questo sogno, che nel poeta
delle Stanze è quella concordia idillica con la fragranza della natura,
quell'immergersi naturale dell'anima nelle cose, mentre nell'antica scuola
è l'estraniarsi assoluto da queste dietro un sentimento nato più da una
parvenza che da una forma salda. Perciò la poesia della Giostra è ben più
giovanile che quella del Cavalcatiti, piena com'è del senso che prova
l'anima quando si affaccia sopra questa:
Bella d'erbe famiglia e d'animali, |
fisa com'è sopra lo spettacolo nuovo del mondo; ed è ben più vicina alla
grande poesia classica dell'antichità, nella quale le linee esteriori del
mondo si disegnano colla purezza immobile della contemplazione senza
pensiero.
In questo sfondo di cristallina serenità tutte le parvenze dell'umanità e
della terra si dipingono fresche e schiette e rendono l'immagine della
vita nelle ore più limpide della giovinezza. Di qui quella grazia del
nucleo immortale delle Stanze, quei contorni chiari e appena segnati che
si fondono con la temperata luminosità del quadro, e sono la
caratteristica superiore della lirica del Poliziano. Di qui quel nitore
che non è più astrattismo e non è nemmeno concretezza, quel senso di vita
fluente e felice che è uguale dovunque e non culmina in nessun luogo, quel
trasvolare della fantasia di cosa in cosa delibandole appena, come se
dovunque fosse la medesima pace e la medesima bellezza:
E
la ingegnosa pecchia al primo albore
Giva predando or uno or altro fiore. |
L'attività di quella fantasia è proprio l'operosità idillica dell'ape che
trova il miele saporoso in ogni calice: una mobilità tranquilla e uguale,
da cui nascono naturalmente certe mosse dominanti che ne tradiscono il
ritmo caratteristico, e si ripetono talvolta con una leggera monotonia: il
lento mormorio delle fronde, delle acque, dei canti; il venticello che
appena spira; i capelli e le vesti all'aura sparsi; i campi che si coprono
di fiori. Anche i movimenti rapidi non hanno nulla di brusco e non
scompongono la fisonomia di quell'arte, dove il mondo assume l'apparenza
facile d'uno spettacolo che lega l'anima e i sensi: la corsa ha
l'agevolezza e l'agilità delle membra giovani che godono di esercitarsi; e
Iulio va attraverso la foresta, con il cavallo che ha Pale ai piedi:
Con verde ramo intorno al capo avvolto, |
come con un segno della sua giovinezza intatta e fiorita. Tutto intorno il
mondo è mosso e dipinto, ed ha la lucentezza molle, sana, irreale che
nell'erba appena nata dura pochi giorni e poi si fa più rigogliosa e quasi
sensuale: e la terra perde, direi, il suo candore. La poesia più alta del
Poliziano, quella più sua, nasce in quest'atmosfera spirituale, in questo
breve giorno della vita, al di là del quale il sogno si gonfia e freme, e
vi fermenta già dentro la sensualità in cui troppo spesso si esaurisce e
muore.
Vi corre dentro una melodia d'acqua vellutata e smorzata dall'erba, che
scene nell'anima come un lavacro. Il verso trapassa di cosa in cosa,
sempre mutevole e uguale, come l'onda:
E
vanne e vien, come alla riva l'onde. |
La passione non la turba, perché l'anima è ancora soltanto capace di
contemplazione e di abbandono.
Quanto è più dolce, quanto è più sicuro
Seguir le fere fuggitive in caccia
Fra boschi antichi fuor di fossa o muro,
E spiar lor covil per lunga traccia!
Veder la valle e '1 colle e l'aer puro,
L'erbe e' fior, l'acqua viva chiara e ghiaccia!
Udir gli augei svernar, rimbombar l'onde,
E dolce al vento mormorar le fronde!
Quanto giova a mirar... |
Voi sentite la foga leggera dell'età che ha ancora il cuore sgombro,
vedete il giovane silvano che è trascinato dalla natura come da una
musica; e sentite che Julio è tutt'uno con le cose, che quelle piagge,
quella foresta, quelle onde mormoranti; quel canto di uccelli nascosti tra
le fronde, quelle immagini e quei suoni sono la stessa anima del
protagonista fisa su quel dono di Dio che è il mondo a vent'anni per le
creature privilegiate. E istintivamente separate dal poema le adulazioni,
i toni epici, i luoghi comuni, e conservate nella fantasia la maliosa
storia di Julio, quella fiaba e realtà insieme, dove è rimasta dipinta nei
secoli quella divina stagione dell'anima in cui essa vaga per il mondo
come per un giardino incantato, fatto perché essa vi spazi sfogandovi la
sua giovane forza.
|