LO STILNOVO E IL TRECENTO

  • LA CULTURA E L'ARTE DEL GUINIZELLI
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    Autore: Luigi Russo Tratto da: Storia della letteratura italiana

     
         

    Come poeta e uomo di cultura, Guido si innesta nella tradizione vivissima di studi che c'era a Bologna, città allora di architetti, di alluminatori, di giuristi e glossatori, e dettatori. Basta ricordare i nomi di Franco Bolognese, e di Taddeo e di Qstiense, illustri giuristi e medici; e poi c'erano stati gli architetti che costruirono (sul finire del z zoo) le torri degli Asinelli e dei Garisendi. Altri valenti maestri di filosofia vi richiamavano numerosa scolaresca, se Pier della Vigna, nella lettera con la quale inviava le opere di Aristotile in omaggio alle varie università, chiamava quei maestri di Bologna « i più illustri maestri di filosofia ». Dettatori celebri poi a Bologna furono Boncompagno di Firenze e Guido Faba.
    Guido avrebbe avuto dunque le prime suggestioni a poetare dalle tradizioni di gusto della sua stessa città, dove la poesia provenzale e provenzaleggiante non era ignota. Le sue più antiche rime difatti riecheggiano i soliti luoghi comuni della poesia trobadorica : la donna è ricca « di tutta piacenza », e « di pregio valente », e trova invece « orgoglianza e disdegno »; l'innamorato soffre e mostra « in parire Che sia gioia il tormento Contra sua opinione ». Pure, se non ci lasciamo ingannare da quei motivi un po' triti, troviamo già qualche novità di immagini : per esempio nella canzone Donna, l'amor mi sforza, il poeta ricorre al paragone della cave, per poter dare un'idea del suo stato di amante turbato dalla
    tempesta della passione

     

    Nave, ch'esce di porto - Con vento dolce e piano,
    Fra mar giunge in altura; - Po' vèn lo tempo torto,
    Tempesta e grande affano - Li adduce la ventura:
    Allor si sforza molto - Como possa scampare

    Che non perisca in mare: - Così l'amor m'ha colto,
    E di bon loco tolto - emesso al tempestare.


    Quando diciamo novità di immagini, intendiamo parlare della novità che c'è nella sua sintassi poetica, perché del resto l'immagine della nave è anch'essa tradizionale, frequentissima nei provenzali e nei siciliani. Quello che d'originale c'è nel Guinizelli è la distinzione dell'immagine tramandata dalla tradizione, col contrapposto fra la tempesta e il sereno all'inizio del viaggio.
    C'è nettezza di contorno in tutta la similitudine, e nei versi che seguono lo scrittore esprime più direttamente la propria tempesta, e riesce a dare la suggestione della sua stanchezza dolente d'innamorato.
    Vi sono altre similitudini nella stessa canzone: ho sentito dire - aggiunge il poeta - che per incontro di venti, nasce per l'aria un fuoco, il quale, se non si estingue nel discendere in luoghi nebbiosi, abbrucia sul momento ciò che si trovi davanti:

     

    Così le nostre voglie - A contraro s'accoglie,

    Unde mi nasce un foto - Lo qual s'estingue un poco
    In lagrime di doglie.


    Per quanto si rimanga nell'ambito del gusto della poesia trobadorica, per le similitudini e le varie acutezze, pure è degna di rilievo la puntualità scientifica con cui Guido vuole esprimere l'alleggerimento di pena di amore attraverso le lacrime e i sospiri. Questa attitudine scientifica nella precisione dei riscontri e nelle spiegazioni esatte, più che nelle espressioni vagamente poetiche, è una delle sue caratteristiche fondamentali, e le vedremo ritornare nella più celebre delle sue canzoni, Al cor gentil ripara sempre Amore.

    Tale attitudine scientifica può sforzare il poeta verso l'ingegnosità, ma può fare anche sprizzare, dalla fredda selce della scienza, qualche immagine energica e nuova. - Io mi son messo proprio a dipingere l'aria - conclude il poeta - me misero, che le fui dato in balia; l'amore m'ha ridotto a tal punto che io sono il più infelice di tutti. Signor mio Gesù Cristo sono io dunque nato unicamente per stare innamorato? Ma poiché Madonna se n'è accorta, è meglio che io muoia in tale condizione, così essa ne avrà forse quadre rimorso. -

    A proposito di tale attitudine logica e scientifica di Guido, va ricordata anche l'altra canzone, In quanto la natura, dove il poeta si propone una questione filosofica vera e propria. Egli si domanda: poiché la natura e il fino insegnamento procedono dall'infinita sapienza, io mi domando se non erra colui che dice che tutto viene da natura, poiché « nessuna scienza - Senza ammaestratura - Non saglie in grande altura - Per proprio sentimento ». Bisogna congiungere insieme la scienza, la cultura, la disciplina e la naturale disposizione dell'ingegno, ché l'ingegno e la cultura e il nutrimento della scienza sono una sola cosa. E qui con immagine felice, aggiunge che di questa unità tra ingegno e cultura noi possiamo trarre esempio dall'albero, al quale si attribuisce più di una denominazione, rami e tronco, e foglie; ma esso non cessa per questo di essere una cosa sola.
    Non si potrebbe negare adunque che questo atteggiamento raziocinante di Guido ci richiami alla scolastica allora trionfante; naturalmente noi neghiamo il travaso materiale della dottrina dei libri di Tommaso di Aquino e dei tomisti nei libri dei poeti, ma dobbiamo riconoscere che quel filosofare tomistico è pur venuto creando un gusto nuovo delle distinzioni analitiche e ha temprato nelle menti le attitudini speculative. Del resto oltre che Tommaso d'Aquino c'è anche Bonaventura da Bagnorea, e perduravano le correnti raziocinanti dell'averroismo. Ma qui sta il pregio del Guinizelli; egli passa fra le varie filosofie del tempo e di nessuna di esse s'impregna, come il sale che filtra nell'acqua senza dividerla e senza tramutarla in sale.

    La poesia che deve aver fatto impressione ai contemporanei, è la canzone Al cor gentil ripara sempre amore, se a quella si richiama l'Alighieri, e se a quella è probabile che si riferisca lo stesso Bonagiunta. Con essa in ogni modo si fa iniziare lo stilnovo, che poi diventa il dolce stile. È una canzone che ha una tesi da dimostrare: la legittimità e onestà dell'amore. In essa è innegabile l'influenza della filosofia tomistica non come contenuto ideologico ma come forma mentis, come attitudine raziocinante; quando Guido aveva trenta o trentacinque anni, Tommaso d'Aquino era a Bologna, e tra il 1265 e il 1269 pubblicava il suo capolavoro filosofico. Come i cieli sono retti da intelligenze celesti, che riflettono nei pianeti il lume e il velie di Dio, così al movimento dell'animo dell'uomo presidia
    un'Intelligenza, che è ministra e via a Dio : questa Intelligenza é la Donna. E tentativo di giustificare l'amore con ragioni morali e religiose non è nuovo, ma è nuovissima in Guido la maniera con cui egli innesta il problema nel sistema generale della filosofia. I tentativi degli altri poeti erano tentativi immaginosi e metaforici, ma non avevano il rigore speculativo che ora appare necessario. Questo eguagliare la donna alle intelligenze che muovono il cielo e le altre stelle è la novità per dir così tomisticheggiante del nuovo poeta. I poeti provenzali, anche della più tarda scuola, erano rimasti al di qua delle basi filosofiche escogitate da Guido: Guglielmo Montanhagol aveva detto: a Amore non è peccato, anzi è virtú, che rende buoni i malvagi e migliori i buoni, e insegna a far sempre il bene: e d'amore nasce castità, poiché chi mette in lui i suoi pensieri non può cedere all'impero del male ». Allo stesso Montanhagol la donna non pareva cosa terrena. Un altro poeta avvertiva nella donna il respiro dello Spirito Santo; un terzo vedeva gli angeli accoglierla con gioia e canti; un altro ancora pensava che senza di lei il paradiso non sarebbe stato perfetta bellezza.

    Un'eco di queste giustificazioni immaginose noi la troviamo anche nei guittoniani : quando il severo e arcigno maestro di Arezzo, in occasione della sua conversione religiosa sbandì l'amore come peccato, uno scolaro, Chiaro Davanzati, si provò a reagire alle tendenze troppo severe del maestro. Egli si appellava perfino al Nuovo Testamento per confermare l'origine divina dell'Amore: « A le vere Scritture omo dee ricorrere per avere le diffinite sentenze e le cose »; e secondo la Scrittura, « verace amore é Deo ».
    E poi in un'altra canzone, sempre appellandosi ai testi sacri, dice:

     

    Dice lo Vangelisto - che Dio fue primamente,
    ch'ello criò quanto sie - con gran disidero dell'amore.
    Dunque l'Amore è Cristo - e da Lui è vegnante,
    da che l'Amor non lie - a Lui dato per altro Criatore.


    Amore è dunque Dio, e viene da Dio, mala giustificazione di Chiaro Davanzati resta assai generica, e in ogni modo egli si appella scolasticamente ai testi sacri, ma senza che pensi di elaborarli e svilupparli. Guido, cresciuto nell'atmosfera filosofica di Bologna, porta il problema su un altro piano, mette d'accordo il problema dell'amore col sistema generale dei vari problemi ordinati dalla scolastica. Tommaso d'Aquino scriveva il re dei cieli e Signore questa legge ab aeterno istituì, che i doni della sua provvidenza pervenissero alle creature inferiori, sino alle infime per quelle di mezzo. La quale legge si trova, non solo nelle cose spirituali, ma anche nelle corporee, onde osserva Agostino come i corpi piú grossi e meno potenti sono secondo un certo ordine retti dai più sottili, agili e potenti, così tutti i corpi sono retti dallo spirito di vita razionale ».
    Per Guido la donna è una di queste creature di mezzo, che diffondono i doni della provvidenza nell'uomo, creatura inferiore: così prospettata, il simbolo della donna angelicata è un'assoluta novità, ché la donna si colloca fra le Intelligenze che fanno da intermediarie fra Dio e il creato.
    Motivo comune anche a Dante, specie nel Paradiso, dove parla delle varie Intelligenze che presiedono ai singoli cieli. Noi possiamo trovare qualche immagine che ci richiama alla donna angelicata, e nei poemi provenzali, e nei provenzaleggianti d'Italia; ma si tratta d'immagini vaganti e fugaci. Per Guinizelli c'è un punto fermo che é ormai strettamente scientifico. E possiamo aggiungere che l'equazione Donna-Intelligenza angelica è per Guinizelli una verità, se così si può dire, soltanto ottativa : « così dar dovria al vero », e diviene verità ontologica solo in Dante.
     

     
         
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    Letteratura italiana 2002 - Luigi De Bellis