LO STILNOVO E IL TRECENTO

  • L'AVERROISMO DEL CAVALCANTI
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    Autore: Luigi Russo Tratto da: Storia della letteratura italiana

     
         

    Guido fu soltanto uno spirito spregiudicato, di temperamento sdegnoso e sprezzante, e si intende come volesse distinguersi dalla volgare gente, la quale si vendicava di queste sue altere virtù, dandogli del miscredente e dell'eretico. Non si può negare che nel pensiero di Guido ci siano degli aspetti averroistici ed epicurei; ma questa è già la caratteristica dei poeti dello stil novo, che non sono iniziati a una determinata scuola filosofica, perché essi si valgono soltanto delle idee che sono nell'aria (come avviene di solito ai poeti), e le accolgono senza discriminazione alcuna e contaminandole insieme, e, se mai, si giovano di un formalismo logicizzante. Certo si può parlare della irreligiosità di Guido, ma in questo caso irreligiosità non significa ateismo, ma soltanto spregiudicato gusto di modernità. Dopo Dante, robustamente incentrato nella religione e nella filosofia tomistica, gli altri poeti cominciano a respirare in un cielo diverso : sono nominalmente cattolici, ma la loro religiosità non ha più nulla di strettamente confessionale; si tratta di una religiosità mondana, quale si trova sempre nel travaglio di ogni originale Creatore. E non manca l'influenza dell'averroismo, che portava nella filosofia cattolica almeno l'eresia della doppia verità. È certo che nella poesia di Cavalcanti manca ogni sentimento mistico dell'amore e della morte, nel senso medievale del termine, e le sue alate figure di angelelle si levano in un cielo razionale, dove non si avverte il respiro del vecchio
    Dio. Se è suo il sonetto Morte gentil, rimedio de' cattivi, bisognerebbe convenire che Guido era veramente un po' fuori dalla religione tradizionale; ma il desiderio e l'invocazione della morte, che nasce dal sentimento malinconico e doloroso proprio dell'amore, è un motivo diffuso nei poeti dello stilnovo. In Dante certamente il sentimento della morte ha un forte colorito mistico, ed ha qualcosa di soave, mentre in Guido la morte viene presentata con un accento di disperazione. Però in lui ci sono delle novità di ordine speculativo, che lo staccano da tutta l'altra compagnia di stilnovisti. Egli ha determinato le polemiche organiche del corpo, ha distinto tra la mente, il core e l'anima; il core sarebbe la sede degli affetti, l'anima la sede delle facoltà vitali, la mente la sede delle immaginazioni
    e delle visioni.

    Soltanto questa corporizzazione delle facoltà può dar l'impressione che egli materializzi la vita dello spirito (si ricordi Dante, nel Purgatorio, quello che dice delle anime, che si accendono dentro l'una dopo l'altra); ma a noi importa a questo punto rilevare che nella lirica di Guido tali materializzazioni danno luogo a una vis drammatica, che nasce per questo intervento o conflitto o concordia delle varie potenze, nel loro subire o nel loro agire alle operazioni dell'amore. Prendiamo per esempio il sonetto S'io prego questa donna che pietate Non sie nemica del su' cor gentile, noi vi rileviamo la personificazione e drammatizzazione dell'anima dei sospiri, del cuore e della mente: l'anima dolente e paurosa piange nei sospiri che essa trova nel cuore; questi sospiri escono bagnati di pianto,
    e la mente assiste a tutto questo mortorio. Ma nella nostra parafrasi, volutamente pedantesca, abbiamo trascurato di dar rilievo che tali simboli speculativi sono diventati i sentimenti stessi del poeta, e liricamente espressi in maniera originale

     

    Allor par che ne la mente piova
    una figura di donna pensosa
    che vegna per veder morir lo core.


    Per intendere tale movimento poetico, è pur necessario richiamarsi all'architettura, allo scheletro della filosofia iniziale del rimatore : tale ambizione speculativa di Guido fu reale, e quella sua filosofia parve a lui e ai suoi contemporanei la più vera novità.
    Per fortuna, autentico temperamento di poeta, egli riuscì a umanizzare e a drammatizzare queste sue astrazioni intellettuali; si prenda per esempio il sonetto Voi che per gli occhi mi passate al core, dove entrano in movimento tutte queste potenze organiche, la donna che è passata nel cuore (del poeta) attraverso gli occhi, e ha svegliato la mente che dormiva, l'amore che assale con sì gran valore da distruggere e mettere in rotta tutti i deboletti spiriti che van via. Partiti gli spiriti non resta in potere d'amore che l'aspetto del viso, con ciò volendo dire che per l'amore egli è interamente morto, e rimangono soltanto i segni esteriori della sua vita


     

    Riman figura sol'en segnoria
    e voce alquanta che parla dolore.



    Continua poi l'immagine del combattimento: l'amore, armato di freccia, getta un dardo dentro dal fianco; il cuore muore sotto il colpo, e l'anima tremando si riscuote e assiste alla morte del suo compagno

     

    Un dardo mi gettò dentro dal fianco
    Si giunse ritto 'l colpo al primo tratto,
    che l'anima tremando si riscosse,
    veggendo morto 'l cor nel lato manco.



    Noi abbiamo accennato di proposito al barocchismo di tali figurazioni, ma bisogna riconoscere che esse in Guido hanno un valore intenzionale, iniziale, che, invero, nel ritmo dolente del suo verso, si trasformano e si obliano quali figurazioni e simboli, per diventare immagini di sentimento.
    Questo lavorio cerebrale certo portò a una filtrazione del suo sentire poetico, e nulla di strano che ci sia in .lui qualche volta un abuso di tale attitudine: è certo che il rimatore si divertì un po' troppo, per esempio, nel sonetto Per gli occhi fere un spirito sottile, dove la parole spirito e spiritello è ripetuta quattordici volte, una volta per verso. Sono le bravure di Guido, analoghe a quelle dei poeti moderni, Mallarmé e Rimbaud, autori di alcune poesie ingegnosamente costruite che fanno oggi il giubilo dei loro ermetici interpreti.
     

     
         
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    Letteratura italiana 2002 - Luigi De Bellis