IL TRECENTO MINORE

  • PERSONAGGI E NOVELLE DEL SACCHETTI
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    Autore: Lanfranco Caretti Tratto da: Saggio sul Sacchetti

     
         

    La maggior parte delle novelle sacchettiane, per la loro stessa natura, rifiutano la presenza di personaggi psicologicamente complessi. Collocate, infatti, le ragioni segrete e profonde della « commedia umana » in una regione assolutamente remota e impraticabile, se non per atto di fede tuttora teocratica, rimaneva necessariamente esclusa, dagli interessi narrativi del Sacchetti, l'intenzione di penetrare nel profondo del cuore umano (là donde, per intricata via, si generano le passioni, i gesti, le parole), e s'apriva invece del tutto disponibile, come s'è veduto, la via per una rappresentazione essenzialmente dinamica e realistica della vita. Il « ritratto », inteso come studio intirnistico del carattere, nel suo svolgersi più sottile e segreto, era pertanto inibito al Sacchetti dalla sua stessa disposizione a cogliere esclusivamente lo svolgimento fluido e bizzarro delle vicende umane. Placato infatti, dalla matura remissività di una fede sicuramente provvidenziale, l'ansia dello sguardo volto a frugare la coscienza e a interrogarne ansiosamente i battiti (spogliatasi, cioè, della sua drammaticità più acuta la vita, ed immessasi quindi nel racconto lietamente fuggevole), l'occhio del Sacchetti si spalancava, ormai limpido e curioso, sul romanzesco mondo dei fatti quotidiani, sul loro strano dispiegarsi eccitante e prestigioso. Entro questo ritmo concitato, entro questo incrocio sempre nuovo di azioni concorrenti o contrastanti, è naturale che le figure umane non si accampassero mai in una loro solitaria e immobile evidenza, ma entrassero, direi anzi si presentassero (« Uno contadino di Francia mi si fa innanzi a volere che io lo descriva in un suo sottile accorgimento... », nov. CXCV), per lo più appena di scorcio o, ad ogni modo, per segni o cenni rapidissimi. Figure come quelle sacchettiane, non collocate mai idealmente in una ferma aria rarefatta (l'aria assorta e senza tempo della lirica o della prosa poetica), ma piuttosto liberamente sfrenate nell'impeto di un vento fluido e veloce, malamente sopportavano, da parte del loro stesso inventore, indugi troppo compiaciuti o soste troppo tenere e sentimentali. Perché la loro sorte era segnata sin dal loro apparire e il loro destino era proprio quello di bruciarsi festevolmente, senza interno « romanzo », nel ritmo serrato e incalzante delle loro stesse avventure.
    Perciò queste figure non possono né pretendono restare nella nostra memoria come cospicui personaggi autonomi, creature esemplari (anime, coscienze, caratteri). Incorporate saldamente nel tessuto vivo del racconto esse ne costituiscono semplicemente uno dei tanti elementi: quello più essenziale, forse, ma non per questo meno « funzionale » degli altri. Per questo, a lettura ultimata non tendono a riaffiorare in noi con profilo indipendente e staccato, ma sempre ci appaiono, nella fantasia, entro la cornice del luogo in cui operarono, sotto le spoglie misere o estrose che indossarono, avvinte indissolubilmente al nodo romanzesco che le strinse e che per un attimo le trasse dalla loro cronaca anonima e le proiettò entro l'agile movimento di un imprevedibile accidente, di una azione irresistibile e soverchiante. Ciò che dobbiamo, dunque, mettere in luce in questi personaggi non è già quella complessità psicologica che ad essi era costituzionalmente negata, ma piuttosto la pura forza rappresentativa della loro « comparsa » nel racconto ossia del loro inserirsi e manifestarsi in esso.
    Sotto questo punto di vista, entro questi termini precisi e ben definiti, le figure del Trecentonovelle appaiono quasi sempre realizzate con occhio attento e obbiettivo, con piglio sicuro, con tratti rapidi e icastici, sia che si presentino nel racconto quasi di soppiatto, sia invece che vi appaiano ampiamente rincalzate di particolari descrittivi o caratterizzate con gustoso umore e felicissimo estro. Queste variazioni tra opposti casi limite (tra una fugace sottolineatura, cioè, di certe « costanti » esteriori e una tipizzazione all'opposto, minuta, risentita e oltremodo sapida) può essere testualmente illustrata partendo da taluni esempi minimi, oscillanti tra l'esigua nota fisica e quella di costume (acconciatura e foggia), per giungere poi addirittura a certi « ritratti », più ricchi ed impegnati, nei quali vediamo entrare in gioco non soltanto il consueto spirito d'osservazione disinteressata e di definizione aneddotica del Sacchetti, ma anche il suo genio divertito della deformazione inventiva o quello polemico della caricatura felicemente immaginosa...

    La ragione di questa variazione va soprattutto ricercata, secondo me, nella particolare parte che assumono di volta in volta nel racconto i personaggi sacchettiani, giusto in rapporto al diverso carattere delle novelle a cui essi appartengono. Tralasciando, infatti, i racconti più brevi e schematici, dove è evidente che il personaggio è deliberatamente ridotto a una funzione esigua e quasi irrilevante (fondandosi l'autore, in questi casi, unicamente sul brio e sull'arguzia dei motti o sulla modesta animazione di una « scenetta »), occorre per altro fare una distinzione preventiva anche fra le novelle maggiori del Sacchetti, identificando tra esse quelle più propriamente narrative e quelle, invece, essenzialmente rappresentative e dialogate. Si tratta naturalmente di una distinzione non assoluta né, tanto meno, decisiva, essendo le stesse novelle narrative ricche, a loro volta, di scene e di battute dirette, così come quelle rappresentative non mancano mai di frammenti discorsivi, anche ampi, quali elementi di raccordo e di sostegno. Si tratta, caso mai, di prevalenza saltuaria di un elemento sull'altro e di diversa impostazione e avvio iniziale. In alcune novelle sacchettiane, comunque, l'intreccio dei casi ha senza dubbio la prevalenza sul movimento puro dell'azione, sì che il racconto disteso vi spesseggia rispetto ai modi rappresentativi e scenici, alla frequenza delle voci. Qui il gioco gratuito e gustoso dell'imprevisto non è governato dal semplice caso fortuito, dall'accidente occasionale; qui i personaggi conservano ancora, ben definito, il carattere di protagonisti attivi della vicenda, la quale appare così determinata da un loro calcolo ben predisposto e quindi controllato dalla loro discrezione e dalla loro intelligenza. In queste novelle i personaggi ci appaiono segnati generalmente da una descrizione preventiva quanto mai veloce ed esterna, mentre la loro vera caratterizzazione resta affidata allo sviluppo della novella stessa e al modo tutto particolare con cui essi creano, a ragion veduta, la situazione e quindi vi entrano nel bel mezzo, vi agiscono, e infine, ne escono, con libera decisione. In questo caso i dati preliminari non sono per nulla « incidenti » rispetto all'azione vera del racconto; e sono, invece, del tutto estranei, o almeno marginali, come una semplice didascalia « storica », un elemento aggiuntivo di colore. Penso, fra l'altro, a quel Basso della Penna, di cui sappiamo appena che « era vecchio e piccolo di persona e sempre pettinato andava in zazzera e in cuffia », e la cui immagine tuttavia sopravvive in noi, davvero memorabile, in virtù di quella sua straordinaria loica piacevolezza, dimostrata apertamente « insino nell'ultimo della sua morte ».
     

     
         
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    Letteratura italiana 2002 - Luigi De Bellis