LETTERATURA ITALIANA: IL CINQUECENTO

 

Luigi De Bellis

 


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Il Cinquecento

Ludovico Ariosto
Niccolò Macchiavelli Francesco Guicciardini Torquato Tasso Rapporto Macchiavelli/Guicciardini

Il Cinquecento


 

Il Cinquecento


Ludovico Ariosto: analisi testuale dell'Orlando furioso

Il movimento narrativo

La protagonista del canto è Angelica, anzi protagonista è la sua fuga. In realtà la donna non è "attiva" (nel senso che non prende iniziative che muovano l’azione) ma muove l’azione in quanto - fatta oggetto di desiderio - subisce l’iniziativa (ricerca) degli altri. Fin dall’inizio appare chiaramente come il personaggio ariostesco viva soprattutto per un’intensa vita di relazione con gli altri, non ha un’identità fissa e immutabile. Perciò non spiccano individualità nette nel poema ma complicate trame di relazioni.

Le trasformazioni

E’ un’altra legge interna all’opera, che si delinea chiara fin dall’inizio:
** muta la protagonista, che non ha, come s’è detto, un suo profilo inequivocabile, ma "diventa" secondo le circostanze, ora "donzella spaventata", tenera e fragile, ora astuta e calcolatrice; ora dea della natura, bellissima, serena e placida.
** mutano gli oggetti della ricerca. Rinaldo il cavallo, Ferraù l’elmo. Poi tutti e due la donna. Poi di nuovo cavallo ed elmo. Diversità, dunque, e calcolate simmetrie.
Quello che appare disordine - e lo era nell’Innamorato del Boiardo - qui è ordine nascosto, equilibrio, armonia.
** muta la scenografia. La foresta è orrida e selvaggia prima, poi è oasi di pace.
Vengono qui riutilizzati due "luoghi" (=tropi) classici della tradizione letteraria: il locus amoenus (idillico) e la selva orrida (dantesca). La donna che fa tutt’uno con la natura è luogo letterario molto ripetuto, dagli stilnovisti in poi. E’ un esempio del dissimulato (però intensissimo) classicismo del Furioso.
** mutano le convinzioni, i comportamenti dei personaggi. Esempio lampante è Sacripante: ora delicato cantore della verginità femminile, ora spregiudicato seduttore. Un altro esempio è Angelica stessa: inorridita e senza fiato, astuta e fredda, ipocrita e civetta, bella placida e serena.

L'attesa delusa

Il meccanismo che governa il mutamento non è, però, casuale, ma risponde ad un principio, quello dell’attesa delusa. Le cose cambiano sì, ma nel modo meno aspettato, deludono le attese, le speranze e i progetti e le intenzioni sortiscono effetti contrari a quelli voluti. Infatti i cavalieri non trovano quello che cercano e trovano quello che non hanno cercato.
Ma questo meccanismo apre, svela, un tema cruciale: i parziali e isolati smacchi preludono all’attesa delusa centrale e dominante, da cui scaturisce la follia di Orlando e, a livello non tragico, alludono alla magia del castello di Atlante, luogo delle vanità come la Luna indagata da Astolfo.

La figura retorica dominante

Naturalmente questa trama ideologica e questo sentimento della vita incidono sullo stile: domina nel canto un segno retorico che, in senso lato, può dirsi OSSIMORO. Cominciando dal titolo, proseguendo nella seconda ottava (furore/matto - saggio). Tutto il poema sembra fondarsi sull’ironica, sorridente, giustapposizione di episodi e personaggi fra loro contrastanti, sull’allineamento di situazioni che si smentiscono a vicenda. E’ però anche vero che l’ossimoro non distrugge con il suo pluralismo l’autonomia dei singoli elementi. Cioè Angelica "è" l’agnello incalzato dai lupi, ma "è" - anche - utilitaristica femmina che sfrutta la passione di Sacripante ecc.

L'intervento ironico

Proprio nel mezzo di questi "ossimori" scatta più incisiva la reazione personale, il commento del poeta alla vicenda narrata, sempre improntato a ironico distacco, a contemplazione saggia, divertita e amara di quello che è la vita, ma tuttavia, come standosene un po’ "al di fuori".
** Ecco il giudicio uman come spesso erra…: ed entra in campo la lunga metafora dell’errare, verbo tipico dei luoghi cruciali del poema, verbo della follia d’amore e della ricerca della felicità, sempre però delusa.
** Oh gran bontà dei cavallieri...: ed è qui liquidata, senza clamori, la contrapposizione medievale in nome della fede. Qui vige il codice cavalleresco dell’onore, del rispetto che, umanisticamente, scarta ogni "razzismo" ideologico.
** Forse era ver, ma non però credibile...: qui Ariosto s’insinua per gettare un seme di dubbio e per dirci che, in fondo, Angelica è donna, non dea sovrumana (e la riconduce, perciò, all’umanità e spezza col realismo il pericoloso incanto della favola). Ma c’è di più: "l’azione distruttiva di questo commento si proietta oltre: essa vuole creare fin dall’inizio i presupposti concreti della visione molteplice del poema, un controcanto realistico e demistificante "rispetto all’idealismo un po’ medievale di Orlando."

Insomma realismo e verosomiglianza come relativismo umanistico

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BORSELLINO
LIL, Ariosto, p.105 e ss.)
Il segreto vitale dell’esistenza è proprio la ricchezza di desideri, la ricerca di felicità. Angelica appagata da Medoro è cancellata... persino derisa... La condizione dominante dei personaggi del Furioso è quella di essere erranti intellettualmente e fisicamente, di agire e sentire entro un mondo illusorio...
Ariosto sa (p.109) con Erasmo che "eum errorem tollere, est fabulam omnem per turbare " (Encomium Moriae XXIX), "significa interrompere lo spettacolo della vita". Anche il Furioso è un elogio della pazzia... La pazzia che Erasmo esalta è il "iucundus quidam mentis error" che libera l’animo dalle ansiose preoccupazioni e lo colma di vario piacere, quella stessa pazzia o errore (parola tematica) che, come dice Ariosto, fa vedere a occhi chiusi il bene e a occhi aperti il male. Questo piacevole errore non va curato...
[Nell’episodio di Astolfo] è evidente la concordanza con le proposte antidogmatiche del razionalismo erasmiano, volto a un recupero integralmente umanistico del mondo, anche negli aspetti irrazionali.
[Astolfo dalla luna non porta - diversamente da Dante - alcun messaggio]. La vita sarà quello che sarà e lo spettacolo del mondo non sarà interrotto. Ma come ogni spettacolo, anche questo del mondo ha bisogno di una regìa, che sappia distribuire le parti e armonizzarle. Solo i poeti sanno organizzarlo, il mondo; perciò S. Giovanni pronuncia un’orazione in difesa della poesia: la poesia non è verità [anzi è favola, invenzione e ribaltamento del vero. E’ così sconsacrata l’antica identificazione di poesia e verità e sapienza e celebrato umanisticamente il poeta come creatore d’un macrocosmo alternativo a quello reale.]

 
2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it