CRITICA LETTERARIA
DE SANCTIS: LA CRITICA ESTETICA


 

Luigi De Bellis

 
 
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Benedetto Croce

La cultura italiana  della  prima  metà del Novecento fu dominata dalla grande personalità di Benedetto Croce, filosofo e storico oltre che critico letterario, fondatore della rivista bimestrale  La critica” (1903-1944).

Nato a Pescasseroli, in Abruzzo, nel 1866, si trasferì giovanis­simo a Napoli, ove visse fino alla morte, avvenuta nel 1952. Non conse­guì la laurea, ma ben presto si affermò come uno dei maggiori filosofi e letterati europei, tanto da diventare punto di riferimento e maestro di una innumerevole schiera di giovani studiosi destinati a ricoprire le cattedre universitarie più prestigiose del nostro Paese. Fu fondatore del neoidealismo ed  esplicitamente affermò  di dovere gran parte della sua formazione intellettuale, civile e morale a tre grandi Mae­stri: Hegel, Vico, De Sanctis.  Avversò apertamente il fascismo, ma il regime non osò perseguitarlo con i duri metodi repressivi riservati, ad esempio, ad un Gramsci e ad un Gobetti.

I suoi numerosissimi saggi  (raccolti in oltre ottanta consistenti volumi dall’editore Laterza di Bari) spaziano dalla filosofia dello spirito (“Logica come scienza del concetto puro”, “Filosofia della pratica. Economica ed etica”, ecc.) all’estetica (“Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale”, “Aesthetica in nuce”, “La poesia”, ecc.),  dalla storiografia (“Storia d’Europa nel secolo XIX”, “Storia d’Italia dal 1871 al 1915”, ecc.) alla critica letteraria (“Poesia popolare e poesia d’arte”, “Saggi sulla letteratura italiana del Seicento”, “La letteratura italiana del Settecento”, “La poesia di Dante”, “La letteratura della nuova Italia”, “Goethe”, “Ariosto, Shakespeare e Corneille”, ecc.)  alla politica-economia-morale (“Materialismo storico ed economia marxistica”, “Cultura e vita morale”, ecc.).

Come filosofo affrontò  il problema generale della poesia, defi­nendola in un primo tempo intuizione pura, cioè priva di ogni finalità pratica. In opposizione alla concezione positivistica (o, per meglio dire, per accentuare tale opposizione), preferì poi mutare la prima definizione in quella di intuizione lirica, volendo intendere che la poesia è espressione del sentimento individuale del genio poetico. Ma  poiché i decadenti fecero propria tale definizione della poesia, travisandola nel senso che  questa avesse il compito di scoprire, mediante l’intuizione, il nesso che lega l’individuo all’universo, in prati­ca però superando la sfera del sentimento e introducendosi in quella degli istinti primordiali rintracciabili nell’inconscio, il Croce, per prendere le dovute distanze da costoro, pervenne alla terza definizione della poesia, che intese come intuizione cosmica, volendo dire che la poesia, pur essendo espressione di un sentimento individuale, contiene però un riflesso della vita universale nel quale ciascun uomo può riconoscersi. E poiché i momenti  in cui si verifica tale felice intuizione cosmica sono rari e improvvisi, compito del critico è appunto quello di individuarli e, quindi, di distinguerli anche nel corpo della stessa opera, per mettere in evidenza la “poesia” dalla “non poesia”, cioè dalla struttura che è funzionale alla manifestazione della poesia, ma non è essa stessa poesia.

La teoria del Croce fu ben presto  messa in discussione dai suoi stessi discepoli, che affermarono la unitarietà dell’opera d’arte e contestarono il criterio secondo il quale un’opera d’arte  - come, ad esempio, la “Divina Commedia” -  potesse essere priva di un valore poetico globale e solo fonte di innumerevoli e preziosi squarci di poesia.  

Scuole post-crociane

Pur accettando le premesse teoriche del Maestro, secondo le quali liricità e cosmicità  sono le caratteristiche peculiari  della poesia, alcuni discepoli del Croce (Luigi Russo, Natalino Sapegno, Walter Binni, Mario Sansone, ecc.) affermarono la necessità di storicizzare l’indagine critica: essi, cioè, affermarono il principio che un critico può veramente intendere compiutamente un’opera di poesia solo se si cala nel mondo culturale e morale dell’autore: è assurdo pretendere di penetrare nello spirito della “Divina Commedia” alla luce della nostra mentalità moderna, prescindendo, cioè, dalla collocazione storica di Dante (critica storicistica).

Altri (Antonio Gramsci, Gaetano Trombatore, Carlo Salinari, ecc.), ispirandosi a Carlo Marx (critica marxista), affermarono che un’opera d’arte va, sì, studiata nella sua storicità, ma in rapporto non solo al mondo culturale e morale dell’autore, sì invece anche e soprattutto alla sua collocazione nell’ambito della struttura economica della società del suo tempo e del suo ambiente (evidentemente con l’intento di distinguere gli autori che hanno lottato per l’emancipazione delle masse da quelli che si son posti al servizio delle classi dominanti: essi, cioè, politicizzarono la propria attività di critici).

Di tutt’altro genere è la critica stilistica  (pur essa risalente all’insegnamento del Croce) che si esercita all’interno dell’opera per metterne in evidenza le più arcane bellezze: l’opera è considerata in se stessa, al di fuori del tempo e dello spazio in cui fu concepita e realizzata. Ne fu iniziatore Giuseppe De Robertis, per il quale - secondo  una felice definizione di G. Barberi-Squarotti -  «la lettura della poesia non è mai un atto razionale, ma un incontro quasi mistico col suo ritmo segreto, con la sua vita rarefatta».

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