ANALISI TESTUALE: FRANCESCO PETRARCA

 

Luigi De Bellis

 
 

HOME PAGE


Lettere familiari   IV-1 da Le familiari






- La lettera dovrebbe essere stata pensata o scritta (come dice Petrarca alle righe 205-06 nelle quali probabilmente indulge a una finzione letteraria) subito dopo l'ascensione (nel 1336), ma fu in realtà, come è stato dimostrato da G. Billanovich e da H. Baron, stesa o rielaborata verso il 1352-53. Anche questa, come altre lettere dei primi libri delle Familiari (soprattutto lettere consolatorie o esortatorie) nasce da circostanze esterne o da rapporti intrattenuti negli anni giovanili (per questo le lettere sono datate a quegli anni e collocate in quel punto della raccolta), ma esprime pensieri e concezioni di vita di Petrarca maturo (il Petrarca del Secretum, della Vita solitaria, ecc.): egli vi si presenta come un saggio, di formazione stoica e cristiana a un tempo, che ormai non è più dolorosamente colpito dall'esilio, o dalla perdita di cose care o di amici diletti; un saggio che può anche non desiderare di essere nato in questo mondo tormentato, ma che non vuol dare importanza alla Fortuna né lamentarsi dei suoi rovesci, e che non vuole più soccombere alle passioni.

- La lettera è una confessione, ma è anche un exemplum, cioè la narrazione di un episodio (una storia) dalla quale si può ricavare un insegnamento morale. Il significato della storia è qua e là indicato esplicitamente; più spesso è implicito, da cercare allegoricamente sotto la narrazione dei fatti (si tratta, comunque, di un'allegoria molto trasparente). La situazione, come spesso nelle allegorie, si presenta come conflitto e alternativa morale, scelta fra due poli di un dilemma. Due sono i motivi principali di questa situazione (e sono tutt'e due ben noti, risalendo alla tradizione di pensiero sia classica che cristiano-medievale):

a. l'aspirazione dell'uomo ad ascendere, a toccare la vetta (della gloria, della perfezione, della felicità), contrapposta alla necessità invece di sprofondarsi in se stesso, di cercare nel profondo della propria anima la vera beatitudine;

b. la tendenza dell'uomo, posto di fronte a un bivio, a scegliere la strada più agevole e a scartare quella più ardua, senza accorgersi che quella più ardua porta al raggiungimento dei suoi fini più nobili (la virtù, il bene) e l'altra porta invece alla perdizione.

La vera scoperta di cui parla la lettera, quindi, non è quella del mondo esteriore, ma quella del mondo interiore. Risulta perciò non del tutto giustificato l'entusiasmo con cui il grande storico del Rinascimento Jakob Burckhardt, in una pagina del suo La civiltà del Rinascimento in Italia, parla di questa «escursione» su un monte come di uno dei primi esempi di «scoperta del mondo esteriore», e giustifica la mancanza di una vera e ampia descrizione del paesaggio visto da Petrarca dalla vetta del monte con una ragione psicologica di tipo romantico (il panorama era sublime e ineffabile): «Egli è vero, bensì, che noi, giunti a questo punto, ci attendiamo invano una descrizione della vista che si apre loro innanzi; ma ciò non accade già perché il poeta sia rimasto insensibile, bensì invece, perché l'impressione fu troppo forte per lui».

- Si deve inoltre osservare, a proposito di questa lettera, che Petrarca indica due motivazioni che lo spinsero a tentare l'impresa:

a. aver avuto per tanti anni davanti agli occhi il monte (motivazione psicologica e naturalistica, curiosità di conoscere e godere della bellezza del mondo: motivazione per tanti anni presente in lui ma mai attuata);

b. aver letto il passo di Livio su un'ascesa «classica» di un monte (motivazione filologica e umanistica: volontà di gareggiare con gli antichi e di controllare la veridicità dei loro racconti; motivazione immediata, direttamente collegata con la decisione presa).

È evidente l'importanza della seconda motivazione, che non va dimenticata, per abbracciare entusiasticamente l'immagine di un Petrarca scopritore del mondo della natura, della sublimità delle montagne, ecc. La lettera, del resto, è tutta intessuta di motivi umanistici, e vi hanno grande importanza le citazioni classiche, ben collocate in vari punti di essa. Questa motivazione letteraria si attua pienamente nell'episodio centrale della lettura del passo di Agostino, fatta in cima alla montagna (la presenza del libro è giustificata, con abile artificio narrativo, dal fatto che il libro era piccolo, era dono del corrispondente e Petrarca, che pure si era sbarazzato di vesti e altri oggetti inutili, l'aveva portato, come faceva sempre, con sé).

Si tratta di una lettura a caso, ad apertura di libro: la voce dell'antico maestro parla quasi per sua decisione, si inserisce con misterioso tempismo nella vicenda e ne determina un nuovo orientamento: dalla ascesa del monte all'interrogazione della memoria e dell'anima, dalla narrazione di un fatto alla confessione dei sentimenti e dei pensieri.

- L'episodio ha un modello preciso nelle Confessioni di Agostino, là dove (libro VIII) egli racconta che, durante una profonda crisi spirituale, senti una voce che diceva: «Prendi e leggi!». Aperse il Vangelo e un passo dell'Epistola ai Romani di san Paolo gli rivelò la verità; corse allora dalla madre Monica, e iniziò il processo mistico della conversione.

Accanto alle citazioni dichiarate ci sono nella lettera anche molte citazioni non dichiarate; fra queste ha un posto centrale nella meditazione sulla vetta («niente è da ammirare tranne l'anima, di fronte alla cui grandezza non c'è nulla di grande») una citazione dell'amato filosofo stoico Seneca, dalle lettere Ad Lucilium, 8, 5.

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it