ANALISI TESTUALE: JACOPONE DA TODI

 

Luigi De Bellis

 
 

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La penitenza attuata nella malattia






Nella società medievale la malattia era comunemente interpretata come un castigo divino e appariva, soprattutto quando produceva visibili deformazioni fisiche, come segno di colpa. Se la malattia è punizione per i peccati commessi, la buona salute può essere considerata un premio per chi abbia tenuto un comportamento conforme a quanto da lui ci si aspetta: il mercante chiedeva profitto, salute dell'anima e salute del corpo; Giovanni Morelli fu sconvolto dalla malattia e dalla morte del figlio perché gli pareva di non averle meritate.
Il cittadino agiato desiderava essere ricordato come uomo devoto e si preoccupava perciò di impiegare una parte del suo denaro nella costruzione di edifici sacri che perpetuassero la sua memoria.
Tutti questi parametri sono rovesciati da Jacopone.

Con le formule del linguaggio cortese, che assumono nel contesto significato ironico, la malattia è invocata quasi fosse una manifestazione del favore di Dio: la colpa che l'uomo deve espiare è quella dell'uccisione di Cristo ed è tale perciò che nessuno sforzo individuale di buona condotta può cancellarla. I morbi siano i più ripugnanti, accompagnati da quel fetor fetente che induce tutti a fuggire e provoca l'abbandono del malato; la morte sia dolorosa; la tomba, un ventre di lupo; gli ultimi resti diventino sterco d'animale. In cambio di queste sofferenze Jacopone chiede non la santità, ma di diventare incubo e visione terribile per altri uomini. Egli respinge così, accomunandoli in una condanna totale, tutti i modi in cui suoi contemporanei tentavano di conciliare l'attaccamento alla vita e il timore di Dio e di allontanare da sé con la devozione le paure della morte e dell'inferno. Elenca malattie e di ciascuna coglie i particolari più sgradevoli, dando della corporalità esclusivamente un'immagine di disfacimento.

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it