I GRANDI LIBRI DELLA LETTERATURA
CALVINO: IL BARONE RAMPANTE


 

Luigi De Bellis

 

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Il barone rampante (Prima parte)

Il barone rampante (sec. parte)

Il visconte dimezzato

Il cavaliere inesistente

Il sentiero dei nidi di ragno
 






IL BARONE RAMPANTE (seconda scheda)

Trama

Secondo romanzo di una trilogia che comprende anche "Il visconte dimezzato" ed "Il cavaliere inesistente", "Il barone rampante" di Calvino segue lo stesso filone storico e fantastico degli altri due libri, ambientando in un passato appena evocato vicende surreali dal tono morale: in questo caso particolare si tratta della vita di Cosimo Rondò, un nobilotto ligure che un giorno decide di salire sugli alberi e di non scenderne più.
Tale gesto ha il valore metaforico di un allontanamento e di un distacco dalla società degli uomini e della possibilità di guardarli dall'alto, ovvero da una posizione oggettiva, ed il protagonista assume quindi le caratteristiche necessarie al raggiungimento di questa elevata quanto ideale condizione.
Innanzitutto, egli ci appare, o meglio viene esplicitamente definito un "ribelle", qualità questa che si delinea soprattutto nel conflitto coi genitori e che ha l'aspetto non di irriverente sceneggiata, ma del consapevole rifiuto del loro mondo decadente, padre e madre, infatti sono entrambi ignari dell'irreversibile fine cui l'Ancien Règime è stato condannato in quegli anni dalla rivoluzione in Francia, ed esprimono una sorta di insofferenza ed indifferenza nei confronti del loro presente, il primo ostentando una passione viscerale per l'albero genealogico della propria famiglia e per i propri diritti feudali sui terreni che da secoli non sono più sotto il giogo della nobiltà, la seconda interessandosi a guerre e battaglie, soprattutto se di vecchia data.
Se il coraggio a non accettare tutte le imposizioni attuate da un'autorità o dalla società, che si manifesta in Cosimo quando, durante il pranzo, rifiuta una portata a suo giudizio disgustosa, portano il protagonista a salire sugli alberi con un vero e proprio atto di ribellione, sono l'ingenuità e la caparbietà a indurlo al completo distacco da un mondo malizioso e volubile; egli decide infatti di non scendere più dai rami in seguito all'incontro con la ragazza della tenuta vicina, Violante d'Ondariva e d'Ombrosa (che incarna appunto malizia e voluttà), la quale gli cede per gioco il "regno" arboricolo tenendo per sé quello meno puro e certo non incontaminato della terra.
Lo stile di vita spartano e precario sono la prima occasione per mettere in luce alcuni dei migliori aspetti della personalità del protagonista, quali il coraggio (non più solo quello a ribellarsi) ed il senso pratico: quest'ultimo in particolare si rivela molto utile, in quanto, oltre che ad aiutarlo nel rendere più confortevole la propria esistenza, lo spinge ad occuparsi della comunità del villaggio e a salvarla da pericoli quali un enorme e distruttivo incendio o lo sbarco dei pirati saraceni, pericoli questi che gli uomini non potrebbero fronteggiare a dovere sotto il mero controllo autoritario di un qualunque "terrestre".
La parte centrale del libro è, inoltre, dedicata ad una serie d'incontri con personaggi, nuovi o già presentati all'interno del romanzo, con cui mai il barone avrebbe avuto a che fare o di cui non avrebbe scoperto i segreti rimanendo a terra. E', infatti, spiandone le mosse dall'alto che comprende la vera natura del misterioso e riservato zio, fratellastro del barone, il quale fu prigioniero dei mussulmani, dai quali imparò la tecnica idraulica e l'arte dell'apicoltura, ed il quale, mascherandosi con la timidezza, cela un'indifferenza nei confronti degli occidentali che lo spingerà a favorire i pirati saraceni. Le circostanze della sua morte, note solo a Cosimo, ed il modo in cui queste possono essere interpretate dalla gente mostrano nuovamente la simbolica condizione di oggettività raggiunta dal barone.
Sempre dall'alto degli alberi, il protagonista fa la conoscenza di un altro personaggio, ovvero il capo dei briganti Gian dei Brughi, il quale, oltre a non corrispondere alla propria fama di ladro temerario, contro ogni aspettativa si appassiona di letture al punto da preferirle alla sua solita occupazione; persino sul patibolo (al quale sarà condannato per esser stato maldestro proprio per aver perso la dimestichezza nelle rapine) il suo primo pensiero sarà il finale di un romanzo, a dimostrare come le persone celino in se stesse un carattere o una personalità ignota ai più.
Molti altri incontri di Cosimo avvengono con ragazzi poveri, contadini o boscaioli, il che dimostra, nuovamente, la totale oggettività della sua situazione, che gli ha fatto dimenticare d'essere un barone e gli ha permesso di andare oltre le regole tra le classi sociali. Questo si delinea anche, seppur in senso inverso, dall'incontro con i nobili spagnoli i quali, col loro snobbismo e mancanza di senso pratico, mostrano tutta la distanza che ormai v'è tra loro ed il protagonista.
La vicenda è narrata in prima persona dal fratello di Cosimo, il che permette all'autore di illustrare vari punti di vista, quale, oltre a quello dello stesso personaggio, anche quello della comunità paesana, sempre pronta a sentenziare sulle strane abitudini del barone; tale espediente, mescolando affetti a giudizi, smorza di poco il tono farsesco di taluni episodi. Ma, nonostante ciò e, soprattutto, nonostante i diversi spunti morali, il romanzo si presta ad una lettura anche di solo intrattenimento, venendo a collocarsi a metà strada fra "Il visconte dimezzato", estremamente pedante, ed "Il cavaliere inesistente", forse troppo burlesco, e risultando essere certamente il più memorabile della trilogia.. 

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it