FRANZ KAFKA : IL CASTELLO

 

Luigi De Bellis

 
 
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Il problema del rapporto tra l'uomo e la realtà superiore viene approfondito da Kafka nel romanzo Il castello. L'atteggiamento psicologico del protagonista qui sembra tuttavia molto diverso. Ritenendosi vittima di una grave ingiustizia, Josef K. rifiuta con superbia e presunzione qualsiasi approccio col tribunale, certo quindi di trovarsi dalla parte del giusto. Attraverso le complesse vicende che caratterizzano il suo soggiorno nel villaggio, dall'arrivo misterioso ai colloqui con il funzionario Erlanger e la cameriera Pepi, l'unico obiettivo dell'agrimensore K. appare invece quello di stabilire una forma di contatto con l'autorità comitale. Comunque, al di là di tali differenze, l'agrimensore risulta ugualmente colpevole, e questo perché aspira a conoscere la verità rappresentata dal castello con le proprie prerogative razionali. Ma il vero non risulta assolutamente fruibile con gli strumenti della ragione e gli sforzi di K. sono destinati a rimanere vani. Ciò fa supporre che anche K. sia stato ingannato. In realtà nessuno ha inteso farlo venire al villaggio; la chiamata coincide in pratica col suo arrivo ed esprime appunto l'esigenza di un rapporto diretto con l'ordine supremo. Egli è quindi libero di scegliere se esercitare l'agrimensura (benché il suo incarico non venga mai definito con esattezza) e servirsi della mediazione di Barnabas, portavoce all'autorità del castello, oppure se svolgere un'altra professione (magari l'incarico di bidello propostogli) e radicarsi a tutti gli effetti all'interno del villaggio. Ma in tal caso dovrà come gli altri accettare l'ordine vigente e abbandonare la ricerca di un contatto con le autorità comitali. Posto di fronte all'alternativa, K. non sa scegliere e cerca anzi di sfruttare ambedue le opportunità; anche quando decide di vivere con Frieda, che sembrerebbe orientarlo verso la seconda ipotesi, lo fa in realtà per poter raggiungere il potente funzionario Klamtn e con lui la gerarchia che governa il maniero. Servirsi di .Barnabas significa inoltre dover avvicinare anche la sorella Amalia la quale, non avendo ceduto (forse a ragione) all'autorità, costituisce il simbolo evidente del peccato d'orgoglio ed è stata esclusa dal villaggio con tutta la famiglia. Senza aver optato per alcuna soluzione, l'agrimensore si trova dunque come sospeso nel vuoto e molto lontano dal suo obiettivo. Quel che resta certo, comunque, è che la verità non può mai essere afferrata razionalmente, non può mai essere conosciuta; essa risiede, al contrario, nel vivere quieto e privo di domande degli abitanti del villaggio, che nulla chiedono perché nulla ritengono di dover mettere in discussione. Eppure, a suo modo, anche l'agrimensore .può testimoniare la verità, in una forma diversa, senz'altro, dagli abitanti del villaggio, ma proprio per questo irrinunciabile e necessaria. Anche la testimonianza solitaria, quella che lo stesso Kafka propone con la sua arte, acquista così un significato fondamentale.

La storia

Giunto a tarda sera in un villaggio, un certo K. chiede di poter comunicare con le autorità del vicino castello, sostenendo di essere stato assunto come agrimensore. Quando, non senza aver insospettito i presenti, riesce a far telefonare al castello, riceve una risposta negativa; subito dopo, tuttavia, una seconda telefonata rettifica la precedente e sembra ammettere la veridicità della chiamata. A questo punto gli vengono inviati due aiutanti del tutto inesperti, Artur e Jeremias, e riceve inoltre da un giovane di nome Barnabas, messaggero del castello, una lettera firmata dal funzionario Klamm nella quale gli si promette pieno e incondizionato appoggio. Nell'albergo presso il quale soggiorna conosce Frieda, l'amante di Klamm, se ne innamora, decide di vivere con lei e spera in tal modo di poter contattare il funzionario. Ma ogni tentativo di raggiungere le autorità sembra destinato a cadere nel nulla; appreso dal sindaco del villaggio che non serve davvero alcun agrimensore, accetta quindi un incarico di bidello. Frattanto Barnabas gli narra la storia della sorella Amalia che, rifiutando la corte insistente di un funzionario, è stata bandita dal villaggio insieme a tutta la famiglia. infine, lasciato da Frieda, K. cerca di parlare con il segretario di Klamm, Erlanger, perché lo ponga in contatto con lui; perso tempo con un altro segretario, Bùrgel, si sente poi dire da Erlanger che non risulta più possibile fissare alcun colloquio. Infine K. ha un dialogo con Pepi, un'altra cameriera dell'albergo.

L'arrivo

È significativo notare che in quest'opera l'ambiguità tipica del rapporto che lega l'individuo alla realtà appare evidente fin dalle prime pagine. Infatti l'agrimensore K. giunge nei pressi del castello e tutto lascia presagire che egli sia stato qui convocato; ma una sua richiesta di ammissione nell'edificio viene respinta poiché nulla risulta ufficialmente al suo riguardo.

Sono della convinzione che, da una parte, sia praticamente impossibile isolare un episodio significativo dal contesto generale e che, d'altra parte, l'inizio dei romanzo Il castello sia rappresentativo del tipico rapporto tra uomo e realtà, tra uomo e verità, fondato sull'ambiguità. Per recuperare almeno i fili essenziali della vicenda e - speriamo - guidare a una lettura più ampia dell'opera.

L'ambiguità della vicenda globale e dei singoli episodi si spiega con la legge della logica stravolta per i canoni della mentalità usuale, per cui vale il principio della identità degli opposti. K. è convinto di essere stato assunto come agrimensore e gli indizi che raccoglie sulla legittimità della sua pretesa sono equamente divisi in positivi e negativi, di modo che è impossibile dedurne una conseguenza incontrovertibile; il suo amore per Frieda, e quello di Frieda per lui, è al tempo stesso sincero e interessato; Amalia è insieme innocente e colpevole; la diffidenza degli abitanti del villaggio giustificata e gratuita. Ma il paradosso si esalta e tocca il suo vertice dell'assurdo nei caratteri di Klamm e dei funzionari, delegati ad occuparsi per competenza del caso K., Búrgel e Erlanger, i quali sono gli eoni di un potere - non importa se umano o divino - del tutto degenerato che confonde intenzionalmente il rigore della giustizia con l'arbitrio più conclamato. Per questo non è possibile stabilire se Kafka intenda riferirsi a una sfera puramente terrena o metafisica-religiosa, o meglio ne ignora volutamente i limiti. Dato che K. si sente frustrato in quelli che ritiene i suoi diritti, perde ogni validità il quesito se il suo scacco sia dovuto a una burocrazia tirannica o a forze più occulte e misteriose di natura trascendente.

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2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it