I GRANDI LIBRI DELLA LETTERATURA
MORAVIA: GLI INDIFFERENTI


 

Luigi De Bellis

 


 

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CENNI SULL'AUTORE

AGOSTINO

GLI INDIFFERENTI

INVERNO DI MALATO

LA DISUBBIDIENZA








GLI INDIFFERENTI

Trama

Nel 1929 esce il romanzo Gli indifferenti destinato ad essere una importante tappa nella sperimentazione del romanzo italiano del '900. L'azione, che si svolge nell'arco di appena 48 ore, è ambientata all'interno di un'elegante villa romana dei Parioli, circondata da un altrettanto lussuoso parco. I protagonisti appartengono tutti all'alta borghesia, l'unica classe sociale che l'autore, allora appena ventenne, conosceva profondamente. Moravia dunque, all'inizio della sua opera narrativa pone perentoriamente la riflessione sulla propria classe sociale al centro della sua esperienza di scrittore. Moravia è il giudice, ma anche la vittima consapevole, e in certa misura anche complice, di una condizione borghese che egli rappresenta così impietosamente nel romanzo. E' Moravia a dichiarare in un'intervista: C'è la Roma pretenziosa del quartiere Coppedè, dei gerarchi che credono di sprovincializzarsi frequentando la Casina Valadier, 11 Golf e domandano di essere ammessi al Circolo della Caccia . All'alienato, indifferente eroe moraviano il fascismo trionfante in quegli anni non appare attraverso le sue componenti storiche e sociali, ma solo attraverso la coscienza distorta dei protagonisti del romanzo. Moravia è inoltre il primo scrittore italiano capace di rappresentare in termini razionali, oggettivi, una crisi che molti suoi contemporanei (Alvaro e Pavese ad esempio) avevano vissuto in termini solo esistenziali. A questa crisi concorrono due fenomeni storici: il crollo dei valori umanistici, su cui si erano formati Pirandello e Svevo, e la consapevolezza del disfacimento di quella classe borghese che era stata fino ad allora la portatrice di tali valori. Gli indifferenti ebbero un'enorme risonanza in Italia e all'estero: attorno al tema dell'indifferenza ve ne erano altri che la letteratura del Decadentismo aveva messo in luce come l'incomunicabilità, il senso di inettitudine, la coscienza dello scacco. Sul piano della struttura narrativa va detto però che tali temi sono calati in un impianto di tipo naturalistico, con una osservazione minuziosa, quasi maniacale, della realtà sociale e psicologica, in uno stile neutro, quasi fotografico, privo di qualunque concessione all'elemento lirico. Questo realismo è affine a quello degli scrittori libertini del '700 inglese (Defoe, autore del Robinson Crusoe, o Fielding, autore di Tom Jones), che descrivono la realtà senza tentare di modificarla; è lontano invece da quello dei naturalisti francesi, quali Zola e Maupassant, che, pur critici e consapevoli dei limiti della borghesia, aspiravano a liberare la società da ingiustizie e pregiudizi che condannavano nei loro romanzi. In Italia Gli indifferenti rompono bruscamente un'atmosfera letteraria rarefatta, dominata, a parte la grande eccezione di Pirandello e l'ancora sconosciuta opera di Svevo, da D'Annunzio e da una cultura elitaria quale quella propugnata da riviste come Solaria o La Ronda . Inoltre la crisi morale della borghesia era in aperto contrasto con l'ottimismo culturale del regime fascista. Moravia ha sempre negato che nel suo romanzo fossero presenti istanze sociali o politiche: tuttavia è evidente che l'indifferenza si carica nel romanzo di connotazioni storiche precise: si tratta del conflitto dell'individuo con la vita, ma anche del conflitto dell'individuo con una determinata società, come dimostra Moravia, che, in tutto l'arco della sua produzione narrativa, colpirà successivamente con la sua polemica ironica e fredda la società conformista del ventennio fascista (Il conformista), quella violenta del dopoguerra (La Romana, La Ciociara), e quella alienata del neocapitalismo industriale (La noia, La vita interiore). Moravia dunque verifica la sua concezione esistenziale attraverso le varie fasi storiche di cui egli è stato spettatore attento, dal fascismo ai nostri giorni: di queste fasi egli registra caratteristiche e ambienti, miti, costumi, modi di dire, avvalendosi dei più vari strumenti d'indagine critica: sociologia, marxismo, psicanalisi. I temi de Gli indifferenti' si ripeteranno poi nei romanzi successivi, i personaggi chiave presenteranno le stesse caratteristiche esistenziali, anche se di volta in volta sono calati in ambienti e situazioni storiche diverse. Queste caratteristiche comuni permettono di raggruppare i personaggi moraviani in due schiere opposte: vinti e vincitori. Alla schiera dei vinti appartengono quelli che sono destinati allo scacco, che tentano in modo spesso velleitario di ribellarsi al destino: di questo gruppo Michele, protagonista de Gli indifferenti", è il capostipite, ma anche Luca de La disubbidienza e Mino de La Romana hanno le stesse caratteristiche. All'altro gruppo appartengono invece i personaggi che accettano la vita senza farle il processo e che proprio per questo risultano alla fine vincitori o per lo meno non del tutto sconfitti: sono personaggi che non possono fallire, perché manca loro un impegno, un progetto di vita: caratteristica di questa schiera è Mariagrazia, la madre de Gli indifferenti . Ma soffermiamoci ora su questo concetto di indifferenza, così caratteristico della narrativa moraviana: per lo scrittore indifferenza non è una stoica forma di saggezza di fronte alla vita, ma è la degradazione dell'uomo che rassegnato e sconfitto, rinuncia a vivere. Indifferenza è dunque inerzia morale, incapacità di vivere, superficialità con cui la società borghese si pone nei confronti dei problemi dell'esistenza, dei valori più veri e profondi insiti nell'uomo. Nel primo capitolo del romanzo Moravia ci propone subito un esercizio di stile che mostra le caratteristiche del suo modo di raccontare: egli ci descrive minuziosamente, in modo quasi pedantesco, l'interno borghese della villa ai Parioli in cui si svolge quasi interamente la storia; ci familiarizziamo così con le luci e le ombre, gli oggetti, i gingilli e tutto ciò che capita sotto gli occhi della protagonista, Carla, che è la prima dei cinque personaggi del romanzo in cui ci imbattiamo; immediatamente dopo avviene la scena dell’approccio di Leo con Carla, figlia della sua amante Mariagrazia, la padrona di casa. Già dal concitato dialogo che avviene in un punto buio del salotto fra Leo e Carla siamo informati del dramma della ragazza: essa detesta la sua vita e vorrebbe cambiarla. Leo le propone dunque un cambio radicale, invitandola ad andare da lui: Carla lo respinge apparentemente, ma l'autore ci informa dei pensieri di Carla, attraverso il suo monologo interiore: Perché rifiutare Leo? Non è peggio né meglio degli altri". La scena è bruscamente interrotta da un tintinnio della porta a vetri che introduce la madre: essa avanza con passo malsicuro: Nell'ombra la faccia immobile dai tratti indecisi e dai colori vivaci pareva una maschera stupida e patetica": questa è la prima descrizione che M. dà del personaggio, ed è subito chiaro quale ruolo gli attribuisce nel romanzo. Comincia a questo punto una banale conversazione fra i tre in cui si progetta cosa fare della serata; la madre esclude la commedia di Pirandello, 'I sei personaggi in cerca d'autore, perché la recita è popolare e quindi non adatta al loro ceto. Carla ascolta la madre, la insulsa superficialità della sua conversazione fatta solo di pettegolezzi su comuni amici, di commenti sulla loro situazione finanziaria, sul loro aspetto fisico, sulla serietà o meno dei costumi delle donne dell'ambiente. Leo partecipa distrattamente alla banale conversazione, e Carla avverte dolorosamente ciò che ha sempre intuito ma che ora le si manifesta con drammatica evidenza: Quell'ombra,quella lampada, quelle facce immobili e stupide...La vita non cambia - pensò - non vuol cambiare. Avrebbe voluto gridare'. Siamo ormai alla fine del capitolo e M. introduce finalmente Michele, il fratello di Carla, che entrando nel salotto suggerisce l'argomento economico che è alla base della storia. Ho saputo che siamo rovinati....Dovremo cedere la villa in pagamento dell'ipoteca e andarcene senza un soldo, andarcene altrove". Con queste poche parole Moravia ci dice molto sul personaggio di Michele, sulla cui bocca le parole chiave del romanzo, indifferenza e disgusto, ritorneranno quasi ossessivamente. Il secondo capitolo è uno dei più celebri del libro e si apre con la descrizione di una cena in famiglia, una delle tante del romanzo. Tutte le descrizioni di pranzi o cene rispondono ad una esigenza di teatro che costituì l'originario interesse di Moravia. La descrizione minuziosa della tavola, la puntualizzazione dei colori, degli odori, risponde, sul piano stilistico, oltre che all'amore per il teatro, all'esigenza di rimanere all'interno, di non uscire dalla propria classe sociale, di non cercare fuori, magari nella dimensione popolare, quello che in questa famiglia borghese è già stato vissuto. Moravia è dunque l'intellettuale borghese che vuol fare i conti con la sua classe di appartenenza: i personaggi sono tutti chiusi nelle loro case, isolati, perché misurarsi con l'esterno significherebbe per loro fallire irrimediabilmente. Questa presa di coscienza della condizione della propria classe trova sul piano narrativo l'equivalente linguistico nella frequentissima descrizione di interni, di ambienti materialmente chiusi. Tutto quello che Moravia vuole raccontare è dentro quelle case, tutto quello che è fuori, compreso il fascismo, non è che una sorta di sovrastruttura (cap. VIII, pag.175) Una ventata impetuosa si rovesciò nella stanza....Chiudi, chiudi - gridava la madre attaccandosi con ambo le mani alla porta e ridicolmente chinandosi in avanti su due piedi giunti per non bagnarsi - Fuori ci sono il vento e la pioggia, pericoli lievi ma sconosciuti, dentro ci sono l'angoscia e l'infedeltà, l'indifferenza e il disgusto, pericoli noti e ai quali si è abituati. Nel terzo capitolo i personaggi si sono riuniti in salotto: la madre appare angosciata alla notizia della imminente rovina economica annunciata; per lei la povertà non pub esistere, essa è meschina ed arrogante ed ora si vede minacciata negli unici valori in cui si riconosce: l'oscurità completa la sovrasta. Michele comprende che ci si attende da lui una reazione indignata, ma egli deve fare violenza a se stesso, deve rompere la prigione dell'indifferenza, ma non ci riesce. Arriva infine Lisa, amica di famiglia e vecchia amante di Leo. Essa è una figura grottesca, la descrizione che Moravia ne fa è patetica e ridicola. Tuttavia il grottesco non è qui come in Pirandello una analisi che l'uomo fa della propria personalità contrapponendola alle forme , alle maschere che ad essa danno gli altri uomini e che è dunque venato di tragedia, ma il grottesco puro e semplice: Lisa è ridicola e rivela anche nel fisico quella dimensione doppia nella quale si può leggere l'ambiguità della sua anima e quella dell'ambiente che la circonda. A questo punto tutti i personaggi sono in scena: la commedia abbozzata nei primi capitoli si ripeterà monotonamente nei due giorni successivi: Moravia ha scelto consapevolmente il modulo classico, l'unità aristotelica di tempo e di luogo. Le conversazioni da salotto, le offese, le punzecchiature, i pranzi (tipico quello dei ventiquattro anni di Carla), si susseguono con identica ritualità. Quello stesso giorno Carla accetta di appartarsi con Leo in una dépendance del parco ma il tentativo di seduzione fallisce: il vomito isterico di Carla è il sintomo spia del rifiuto inconscio della propria degradazione che poi di fatto Carla accetterà e vivrà dolorosamente nelle ore successive, con un inesorabile senso di fatalità. La pioggia intanto batte incessantemente, i protagonisti sono avvolti in una tetra atmosfera, disgusto, angoscia e indifferenza sono i sentimenti tra i quali si dibattono come fantocci inerti. Alla fine del pranzo di compleanno Moravia sottolinea: "Mariagrazia vedeva la miseria, Carla la distruzione della vecchia vita, Michele non vedeva nulla ed era il più disperato dei tre. Il capitolo VIII vede la famiglia Ardengo riunita attorno al pianoforte su cui Carla annuncia che suonerà Bach: questo permette agli altri personaggi di isolarsi, ciascuno solo con i propri pensieri. Michele sogna una donna vera, pura, trovare la quale sarebbe per lui la possibilità di rimettere a posto ogni cosa. Leo vuol trovare una scusa per allontanarsi dalla casa e portarsi via Carla. Le parole disgusto ed indifferenza sono ripetute di nuovo per tutto il capitolo. Finalmente finita la serata, dopo che la notte è cominciata nella villa ormai silenziosa, Carla decide di dar seguito al suo progetto: Leo l'aspetta fuori, alla pioggia, nella macchina scura (pag.183): l'addio di Carla alla propria casa, alla propria purezza, alla propria gioventù, è una citazione del celebre "addio ai monti" di Lucia: dopo, Carla non avrà più tempo di pensare. I capitoli XIII e XIV vedono protagonista Michele: l'indifferenza è la sua più insidiosa nemica, ma il suo innato snobismo e il disprezzo per la vita della massa gli mostrano il pericolo di ridursi ad un fantoccio, simile al ridicolo manichino che vede riflesso nella vetrina di un profumiere (pag.278). Il tema del malinteso, della falsità, del soffocamento, del disgusto, del disagio ritornano ossessivamente nel monologo di Michele. Pensare è vivere dice Michele, che non riesce ad odiare Leo, ad amare Lisa, a provare disgusto e compassione per la madre né affetto per Carla. Annoiato e triste Michele si abbandona passivamente agli avvenimenti. Da Lisa apprende la storia di Carla e Leo ma si accorge di rimanere ancora una volta insensibile. In uno sforzo estremo di vivere e di non vedersi vivere progetta di uccidere Leo: il paesaggio intorno fa da testimone alla sua mancanza di emozioni o di rimorsi. Ma quando finalmente spara, la rivoltella si rivela scarica: nel linguaggio della psicanalisi questo è un atto mancato, il sintomo di un conflitto inconscio. Michele ha barato con se stesso, quella che doveva essere una tragedia si è ridotta alla consueta squallida commedia. Leo è un personaggio vincente nella vita proprio perché l'accetta per quello che è, adeguandovisi con astuzia e violenza, senza illusioni e quindi senza sofferenza: Michele e Carla restano succubi, sono destinati a rimanere estranei alla vita perché mancano di fede. Leo offre la situazione riparatoria del matrimonio per non lasciarsi sfuggire l'affare della villa, e Carla acconsente: Michele è consapevole che lui e la sorella hanno perso. A1 ritorno a casa troveranno la madre e Lisa che li attendono per recarsi insieme ad un ballo in maschera: con la scena della mascherata, che è l'amplificazione del tema della maschera già accennato nel primo cap. (pag.9) si conclude il romanzo: "Carla, travestita da Pierrot, aveva il volto nascosto da una mascherina di raso nero, portava un enorme collare intorno al collo.......sorrideva misteriosamente . Il processo di alienazione all'interno della coscienza dei personaggi si è ormai definitivamente esplicitato. Michele, nella sua autocommiserazione, è diventato anche egli una maschera; Carla, per sopravvivere, ha bisogno della mascherina di raso che la separi dal resto del mondo. La dissoluzione dei valori della borghesia raggiunge nelle ultime pagine del romanzo la sua celebrazione nelle parole di Mariagrazia che ne testimoniano la totale cecità. Anche i personaggi degli Indifferenti', Michele, Mariagrazia, Carla, sono eroi negativi, vicini, se pure diversi, dai protagonisti dei romanzi di Svevo, Pirandello, che Moravia aveva conosciuto profondamente negli anni solitari della malattia attraverso la lettura dei grandi romanzi: ma egli, pur facendo tesoro della lezione di Joyce e Proust, oltre ai già citati Pirandello e Svevo, con grande consapevolezza traccia la nuova strada del romanzo italiano, che dovrà essere leggibile, adattandosi al confronto con i nuovi linguaggi del cinema, della radio e della stampa che sempre più prepotentemente si andavano imponendo. La scrittura e lo stile sono dunque asciutti, senza preziosismi ma anche privi di cadute di tono. Concludendo, vale la pena di ricordare che nel 1929 escono anche romanzi importanti come 'A farewell to arms di Hemingway e "The sound and the fury' di Faulkner. 

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