Luigi
De Bellis

 


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  Contributo alla critica di me stesso  
  Storia d'Europa nel sec. XIX  
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Benedetto Croce



ESTETICA COME SCIENZA DELL'ESPRESSIONE... : Trattao filosofico


Il trattato fu composto da Croce a partire «dal novembre 1898 con pochi intervalli e con lunghi periodi di attività continua nell'inverno '98-99, dall'autunno 1899 fino all'estate del 1900, e poi di nuovo dal giugno 1901 al dicembre dello stesso anno» (Memorie della mia vita. Appunti che sono stati adoprati e sostituiti dal «Contributo alla critica di me stesso», dopo una lunga gestazione di cui abbiamo testimonianza attraverso l'intenso scambio epistolare con Giovanni Gentile. Come si ricava dall'«Avvertenza» dell'autore alla prima edizione, il libro era stato anticipato dalle Tesi fondamentali di un'Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale, lette all'Accademia Pontaniana di Napoli e pubblicate nel vol. XXX degli «Atti dell'Accademia Pontaniana», che, sebbene rimaneggiate, ne espongono il nucleo teorico. I primi cinque capitoli della parte storica furono invece pubblicati come saggio sulla rivista «Flegrea» di Napoli con il titolo Giambattista Vico primo scopritore della scienza estetica e «ricompaiono anch'essi ampliati e raccordati col resto».

La seconda edizione del 1904 presenta una nuova «Avvertenza» dell'autore, mentre la terza (1908) usci «dopo un'accurata revisione letteraria», con modifiche soprattutto nei capitoli X e XII della prima parte (come dichiara lo stesso Croce nella ulteriore «Avvertenza»). Inoltre questa sezione venne a costituire, dalla terza edizione in poi, la prima parte del «sistema» filosofico crociano («Filosofia come scienza dello Spirito») che si completerà con la Logica come scienza del concetto puro, con la Filosofia della pratica. Economia ed etica e con la Teoria e storia della storiografia. Nella quinta edizione del 1922 Croce aggiunse un'altra «Avvertenza», nella quale faceva riferimento ad altre trattazioni di Estetica, e cioè ai Problemi di Estetica e contributi alla storia dell'Estetica italiana («Saggi filosofici» 1910) e ai Nuovi saggi di Estetica («Saggi filosofici» 1920). Questa raccolta comprende anche il Breviario di Estetica. Quattro lezioni (già pubblicate nel 1913), che «contengono la forma ultima e più matura del mio pensiero [...] e rischiarano o rettificano i punti che nel presente libro rimangono ancora incerti o non sviluppati o errati; i Nuovi saggi non cancellano e annullano questa prima trattazione, ché anzi la presuppongono [...] e la compiono». Nell'«Avvertenza» alla settima edizione del 1941, infine, compare un ulteriore riferimento ai quattro scritti inclusi negli Ultimi saggi, ossia Aesthetica in nuce (composta per la quattrodicesima edizione della Encyclopaedia Britannica.

L'Estetica si divide in due parti, una teoretica e una storica. Nella prima Croce formula e trae le conseguenze del principio-cardine della sua filosofia dell'arte, e cioè che l'arte è intuizione e intuire non è niente altro che esprimere; nella seconda mostra che nel corso della storia emerge e, a tratti, si obnubila una concezione dell'Estetica come vera scienza filosofica. La prima parte si divide in diciotto capitoli e si apre con la trattazione dell'identità tra intuizione ed espressione, per concludersi, nel XVIII capitolo, con l'identificazione tra Linguistica ed Estetica: infatti «perché la Linguistica fosse scienza diversa dall'Estetica, essa non dovrebbe avere per oggetto l'espressione, ch'è per l'appunto il fatto estetico».
La vita dello Spirito si articola e si differenzia in quattro sfere, due teoretiche (l'Estetica che è conoscenza dell'individuale, e la Logica, che è conoscenza dell'universale) e due pratiche (l'Economia, che è volizione del particolare, e l'Etica, che è volizione dell'universale). Ogni sfera ha la sua dignità e autonomia e tra di esse non c'è subordinazione ma relazione.

La filosofia dello Spirito studia i caratteri di ciascuna torma dell'attività spirituale, distinguendosi in Estetica, Logica, Economia ed Etica. L'Estetica si occupa della conoscenza intuitiva, ma non si riduce alla sensazione, che ne è solo la materia. Sua forma è invece l'intuizione, che è espressione. L'arte è l'atto con il quale si realizza l'intuizione in quanto espressione e tale atto appartiene, in senso lato, a tutti gli uomini, quando esprimono il proprio mondo immaginario. Tale mondo è prodotto di un sentimento che non è esclusivo degli artisti, ma è di tutti e di ciascuno, anche se nel genio si manifesta con una chiarezza e una ricchezza molto superiori. L'arte è, perciò, costituzionalmente determinata da un momento formale e teorico: nella creazione artistica si riflette un modo di intendere la realtà, un sentimento che non separa forma e contenuto. Dove non si realizza questa perfetta unione non c'è il «bello».
Non bisogna però confondere il momento espressivo con il momento comunicativo, attraverso cui quel sentimento viene conservato e divulgato: «E che cosa altro sono se non stimoli fisici della riproduzione [...] quelle combinazioni di parole che si dicono poesie, prose, poemi [...] e quelle di toni che si dicono opere, sinfonie, sonate, e quelle combinazioni di linee e colori che si dicono quadri, statue, architetture?». Tuttavia «il bello non è un fatto fisico, e non appartiene alle cose, ma all'attività dell'uomo, all'energia spirituale». Lo slancio lirico che dà forma alle immagini artistiche non va confuso, insomma, con le opere d'arte che hanno la funzione di conservare e riprodurre le intuizioni estetiche.
Chi giudica un'opera d'arte cerca di identíficarsi con chi l'ha prodotta, ripercorre il processo di elaborazione dell'immagine artistica e dell'opera d'arte che la fissa, e così ricostruisce la storia dell'opera. Si può fare storia dell'arte solo in questo senso, limitatamente, cioè, alla genesi di quel momento creativo individuale che ha dato origine all'opera d'arte: «La storia artistica e letteraria ha per oggetto principale le opere d'arte stesse». Non è possibile, dunque, parlare di progresso in campo artistico, se non si vuol cadere nell'ingenuità di chi «propone di rappresentare l'infanzia dell'arte italiana in Giotto, e la maturità di essa in Raffaello o Tiziano». Ogni individuo, conclude Croce, «ha il suo mondo artistico; e quei mondi sono tutti, artisticamente, incomparabili tra loro».

Nella seconda parte del trattato il filosofo elabora, in diciannove capitoli, una storia dell'Estetica dall'antichità greco-romana all'età contemporanea, illustrando, con esempi concreti, i fondamenti di natura teoretica posti nella prima parte. Così egli afferma che nell'antichítà non fu elaborata una vera e propria filosofia dell'arte, poiché la filosofia era essenzialmente fisica e metafisica. Il cristianesimo superò la natura oggettivistica e naturalistica del pensiero, ma fu incline a interpretare tutti i problemi in chiave etica: l'arte fu sottoposta allora all'allegoria morale e religiosa. Al Rinascimento mancò, nell'ambito dell'Estetica, un pensatore come Machiavelli, che definì e unificò la natura e l'autonomia della politica. Solo nel Seicento si cominciò a parlare di una facoltà dell'«ingegno» accanto all'«intelletto» e di una facoltà diversa da quella giudicante detta «gusto». Vico fu il primo vero teorizzatore di un pensiero estetico nella Scienza nuova, parlando di una «Logica poetica», ma egli precorse troppo i tempi, tanto che solo nella seconda metà del Settecento, Baumgarten, il sistematore dell'Estetica leibniziana, resusciterà questa visione del problema estetico. L'autonomia dell'attività estetica fu sancita da Kant con la Critica del giudizio del 1790, superando definitivamente ogni interpretazione edonistica e utilitaria dell'arte. In Hegel Croce critica la concezione dell'arte come filosofia inferiore e imperfetta, perché incapace di superare la contraddizione tra contenuto e forma. Ma le obiezioni al filosofo tedesco giungeranno a completa maturazione solo nel saggio scritto nel 1905, Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel (anticipato su «La Critica», e poi pubblicato nel 1907: nell'Estetica, infatti, rimane non chiarito il rapporto tra Spirito e Natura. Solo dopo la lettura diretta dei testi hegeliani, Croce scopre la dialettica come principio capace di spiegare il divenire dello Spirito. In Hegel - attraverso l'opposizione del per sé e dell'in sé - la dialettica si risolve in una forma più perfetta; mentre in Croce essa si dà solo all'interno delle regioni dello Spirito (nell'Estetica tra brutto e bello, nella Logica tra vero e falso, nell'Etica tra bene e male, nell'Economia tra utile e inutile), e ciascuna "regione", rispetto alle altre, mantiene la propria distinzione e autonomia, senza superarsi (come teorizza Hegel) in una presunta realtà superiore. Ciò non inficia, tuttavia, l'unità della filosofia: «quando si tratta di Estetica o di Logica o di Etica si tratta sempre di tutta la filosofia, pure lumeggiando per convenienza didascalica un singolo lato di quell'unità inscindibile». Croce afferma, quindi, nell'«Avvertenza» alla prima edizione, che la connessione tra tutti e tre gli ambiti filosofici comporta di necessità la chiarificazione del problema estetico, in quanto primo gradino della filosofia dello Spirito. Infatti, se esso non viene analizzato rigorosamente, errori e incertezze rimbalzano nelle altre sfere del sapere.

Il dibattito che il trattato suscitò al suo apparire fu originato dalla temperie culturale in cui andava a inserirsi: vacillava, infatti, in quegli anni, il dominio culturale esercitato dal positivismo, che si era affermato in Italia nella seconda metà inoltrata dell'Ottocento, soprattutto con gli scritti dì Roberto Ardigò.

 

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