Luigi
De Bellis

 


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Filippo Tommaso Marinetti



L'ALCOVA D'ACCIAIO: Romanzo


Terzo libro ispirato alla guerra (con il sottotitolo «romanzo vissuto»), dopo La battaglia di Tripoli (1912) e Zang Tumb Tumb (1914), fu scritto da Marinetti sulla base degli appunti presi durante gli ultimi mesi del primo conflitto mondiale, e fu terminato nel settembre 1920.
A metà tra autobiografia e mito, racconta in ventinove capitoli le avventure del tenente Marinetti, uno degli animatori della riscossa del fronte italiano contro gli austriaci.
La vicenda inizia nel giugno 1918, in un quadro notturno di festa e ottimismo. Fin dalle prime pagine emergono temi che ritorneranno in tutto il romanzo, in modo particolare il dinamismo e l'audacia dei soldati italiani, contrapposti al carattere «passatista» della rigida milizia austro-ungarica. In nome del vitalismo, la prima avventura di Marinetti e dei suoi soldati è quella del bordello, che viene rappresentato all'insegna del gioco e del divertimento. Una delle ragazze, che quasi per spirito patriottico si dà ai soldati, si rivela infatti un'appassionata conoscitrice del movimento futurista e afferma di essere una lettrice di «Lacerba», la rivista diretta da Ardengo Soffici e Giovanni Papini.
Nel secondo capitolo si entra nel vivo della battaglia; la descrizione dei rumori delle bombe e delle mitragliatrici, delle esplosioni e dei riverberi rossi e verdi nel fumo, sembra la conferma delle "sinestesie" teorizzate nei manifesti del Futurismo. Le forme si umanizzano, i rumori riecheggiano le grida dei soldati in un turbinio di onomatopee e di giochi fonolinguistici, come quelli delle mitragliatrici che ripetono beffarde al nemico «idiota-ta-ta-ta», o delle potenti «spraaangranate» che esplodono sul campo.
Con il terzo capitolo la descrizione degli effetti delle armi chimiche sull'ambiente, sui colori del paesaggio, ricrea la plasticità di un quadro di Boccioni. La battaglia, esaltando i sensi e la normale capacità razionale, riesce a dare risposte a tutte le grandi questioni filosofiche: «Ben lontano dai Bergson seduti nelle cretine poltrone universitarie trovo nel momento più pericoloso di una battaglia la soluzione di molti problemi che i filosofi non potranno mai scoprire nei libri, poiché la vita non si svela che alla vita». È su questo concetto che si fonda tutta la narrazione successiva. La cronaca delle azioni eroiche, delle manifestazioni di virilità e di umanità, continua puntellata da slanci lirici e divinazioni mistiche. L'alchimia delle parole, delle onomatopee, si mescola al gusto orientaleggiante per il mistero e per il mito, gusto che risale all'infanzia egiziana dell'autore. Marinetti esalta il suo ruolo civile, il dovere morale che lo lega all'amata Italia: «Sapete cosa significa avere 40 anni, del genio, molto fascino, una potente irradiazione di idee personali nuovissime e sane, regalate al mondo, dei poemi potenti creati, altri da scrivere». Il premio per la sua azione è naturalmente una donna, l'appagamento supremo dei sensi, la voluttà che ripaga il maschio-soldato. Tutto diventa metafora in questo libro multicolore, compresa la descrizione del «pazzo», nudo e «preistorico», che riesce a dare con il suo rifiuto della sterile saggezza, della normalità mediocre, un esempio di vero spirito futurista.
Nel settimo capitolo si affaccia l'alcova d'acciaio che dà il titolo al romanzo. L'amante è la rappresentazione della donna-macchina da dominare, musa o dea che permette all'uomo di mostrarsi tale: un'autoblindata che accompagnerà il tenente Marinetti fino alla vittoria finale. Prima di raccontare quest'ultima fase - l'Italia liberata e futurista, concepita, appunto, metaforicamente dalla simbiosi di Marinetti con la propria macchina - l'autore indugia nella rappresentazione della vita del «Movimento», anche al di là della guerra, «questa miracolosa trasformatrice dei valori umani». L'occasione è data da una lunga licenza, durante la quale compaiono personaggi mondani come la marchesa Casati («faccia da tigre sbiancata da un chiaro di luna intrepido»), il pittore Giacomo Balla, Fortunato Depero con i suoi balletti, e si raccontano i viaggi fatti a Roma, dove è più vivo il contrasto tra passatisti e futuristi, e a Napoli, dove il tenente incontra la donna amata. La passione impetuosa dell'autore si dispiega pienamente in questa circostanza: una sorta di prova per il suo spirito che, cedendo all'amore romantico, si sarebbe perduto. È il rifiuto di lei a salvarlo dal sentimentalismo passatista e a farlo ritornare alla vita, alla purezza dei sensi: «Cuore gualcito, ma lavato, pulitissimo. Cuore fresco di bucato». Finalmente di ritorno al fronte, Marinetti può esprimere tutta la sua esaltazione per la nuova tecnologia bellica, soprattutto per le autoblindate come la sua «74». Le parole del tenente Marinetti agli altri militari, nel momento delle decisioni, sono più che mai l'eco di uno stregone ispirato, il quale annuncia baldanzosamente la prossima vittoria. L'impeto narrativo esplode nella descrizione della battaglia del Piave, dove l'autore ripercorre minuziosamente ogni attimo, ogni emozione, provata durante l'avanzata italiana, su cui dominano «le forze della gioia, della pietà e della vendetta».
Un «delirante amore» guida Marinetti e la sua vettura attraverso i paesi liberati dopo Caporetto. Con la «74» («alcova d'acciaio veloce, creata per ricevere il corpo nudo della mia Italia nuda») il tenente riconquista l'Italia in un tripudio di sensazioni.
Nel poliedrico romanzo si svolge anche una sorta di apologo morale: la divertente storia del colombo viaggiatore Paggiolin, incaricato di trasmettere agli alti comandi la notizia della vittoria. Questo capitolo, più di altri, offre materia per una scrittura straniata, costruita sulle pure sensazioni dell'uccello in volo tra le correnti d'aria, il quale cerca, con il solo aiuto dell'istinto, di trovare il percorso migliore, e riesce, nel contempo - grazie a uno slancio di intelligenza pura -, a salvare un aereo italiano perso tra le nuvole e la pioggia.
Da questo momento il rapporto con gli austriaci - fin qui nemici invisibili, ora inesorabilmente sconfitti - si fa più stretto. La descrizione dei soldati avversari fatti prigionieri è l'occasione per rompere la tensione emotiva della battaglia in una risata liberatrice. La lingua dell'autore si fa tagliente, impietosa nei confronti di un nemico tratteggiato con la cura del vignettista satirico, del caricaturista senza scrupoli. All'immagine luminosa e sorridente degli italiani si contrappone quella della sfilata funeraria dei cappottoni grigi e sporchi degli austriaci in ritirata. Con gli uomini del campo avverso, ormai definitivamente schiacciati, si può riprendere un dialogo civile, umano. L'incontro, nell'ultima pagina, con il colonnello austriaco offre lo spunto per celebrare lo spirito improvvisatore italiano nella tattica militare.

Barocco nel lessico, affollato di aggettivi e mobilissimo nei diversi registri di scrittura, «di tutti i libri eroici di Marínetti» questo «è sicuramente il più leggibile, godibile e vario» (Alfredo Giuliani). Vi si possono trovare influssi leopardiani - nelle descrizioni delle solitudini notturne illuminate dalla luna -, insieme con gli echi dell'epica araba. A dominare è la poetica futurista, ma in nuce c'è anche il tentativo di scendere nell'inconscio, un procedimento che sarà poi del surrealismo.

 

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