Luigi
De Bellis

 


 HOME PAGE 
  
Opere riportate:

     
 

La bufera e altro

 
 

Le occasioni

 
 

Ossi di seppia

 
 

Satura

 
     

 





Eugenio Montale



LE OCCASIONI: Raccolta di poesie


Nella seconda edizione, del 1940, vennero aggiunte quattro poesie. La maggior parte dei componimenti, comunque, era già stata pubblicata in rivista e nel 1932 era uscita la piccola raccolta intitolata La casa dei doganieri e altri versi, che conteneva cinque dei suoi testi. L'edizione definitiva è quella datata 1960.

Intenzione di Montale fu quella di ottenere, con Le occasioni, una «lirica pura» che contenesse «i suoi motivi senza rivelarli». Il risultato fu la creazione di una poesia ambigua e oscura di grande suggestione, che nacque dal tentativo di cercare indizi di una realtà più profonda direttamente negli oggetti (le «occasioni», appunto), nei quali starebbe «il segno smarrito», la «speranza» di un "oltre" agognato. Parlano, insomma, le cose, viste qui in una dimensione altamente simbolica e legata alla sfera privata, indicando il passaggio da una visione di tragicità universale a una più ristretta vissuta nell'ambito di un dramma individuale. L'ossessione conoscitiva degli Ossi si riversò nelle Occasioni privandosi del suo carattere meditativo e problematico e, in una forma più dissimulata e di massima concentrazione espressiva, il poeta sciolse il suo canto di lucida e disincantata tristezza.
Dopo la poesia Il balcone, che introduce la poetica dei «barlumi»

(«La vita che dà barlumi / è quella che sola tu scorgi»),

ha propriamente inizio il libro, diviso in quattro sezioni. Nella prima, a dominare è la memoria di episodi del passato rivissuti spesso attraverso personaggi precisi che rispecchiano un drammatico faccia a faccia con l'esistenza, portando i segni della realtà storica di quegli anni. Si sta parlando dei componimenti dedicati a figure di donne reali, conosciute dal poeta in brevissimi incontri che, nelle loro trasfigurazioni poetiche, divengono volta a volta la misteriosa esule di carnevale da Gerti, l'amica in fuga di A Liuba che parte, l'ebrea chiusa nella propria indifferenza di Dora Markus, figure che starebbero a confermare, con il loro destino, l'impossibilità di un qualsiasi cambiamento nella condizione esistenziale:

«Non so come stremata tu resisti
in questo lago
d'indifferenza ch'è il tuo cuore; forse
ti salva un amuleto che tu tieni
vicino alla matita delle labbra,
al piumino, alla lima: un topo bianco,
d'avorio; e così esisti!».

Ogni commento è escluso da questa poesia essenziale che riduce l'operare poetico a catene di presenze oggettive. Nei «Mottetti» (insieme unitario di venti brevi componimenti, composti tra il 1934 e il 1939, che formano la seconda sezione del libro), frammenti di un rapporto affettivo vissuto «in assenza» rendono la misura di un distacco ormai irrimediabile. Alla solennità e ampiezza delle poesie precedenti si sostituisce qui la rapidità di motivi appena sfiorati nel colloquio con una donna che non c'è, e la suggestione simbolica presente negli oggetti - qui oggetti di un discorso soprattutto mentale-ha un riscontro evidente in quella poetica del «correlativo oggettivo» elaborata con chiarezza da Eliot e sviluppata originalmente da Montale attraverso l'assoluta concentrazione delle immagini.
A poesie di separazione si alternano poesie di riavvicinamento, dove la presenza femminile appare come portatrice di salvezza in grado di conoscere la verità e trasmetterla agli altri:

«Cerco il segno
smarrito, il pegno solo ch'ebbi in grazia
da te»;

«La speranza di pure rivederti
m'abbandonava;
e mi chiesi se questo che mi chiude
ogni senso di te, schermo d'immagini,
ha i segni della morte o dal passato
è in esso, ma distorto e fatto labile,
un tuo barbaglio».

I ricordi si susseguono in questo sfavillare di «barlumi», creando lo spazio di un'intesa con l'altro:

«Ecco il segno; s'innerva
sul muro che s'indora:
un frastaglio di palma
bruciato dai barbagli dell'aurora.

Il passo che proviene
dalla serra sì lieve,
non è felpato dalla neve, è ancora
tua vita, sangue tuo nelle mie vene».

Oppure la memoria di un legame passato torna sotto forma di immagini di apparente quotidianità:

«Il fiore che ripete
dall'orlo del burrato i non scordarti di me,
non ha tinte più liete né più chiare
dello spazio gettato tra me e te».

La presenza del poeta, a volte, resta laterale nell'osservazione muta di una realtà incomprensibile, sospesa tra partecipazione e assenza:

«S'agita laggiù
uno smorto groviglio che m'avviva
a stratti e mi fa eguale a quell'assorto
pescatore d'anguille dalla riva».

La riflessione e l'appello ispirato cercano sempre di risolversi nell'immagine oggettiva di una realtà circoscritta anche se piano metaforico e piano reale sembrano confondersi continuamente:

«Non recidere, forbice, quel volto,
solo nella memoria che si sfolla,
non far del grande suo viso in ascolto
la mia nebbia di sempre.

Un freddo cala... Duro il colpo svetta.
E l'acacia ferita da sé scrolla
il guscio di cicala
nella prima belletta di Novembre».

In Tempi di Bellosguardo (tre componimenti omogenei che occupano la terza parte delle Occasiona) è il paesaggio toscano a essere osservato e a rivelare un mondo di verità nascoste; ma è con l'ultima sezione che si avvia inevitabilmente la meditazione sulla fine nel presentimento della catastrofe. Qui alle brevi illuminazioni dei «Mottetti» subentrano costruzioni più complesse nel segno della labilità e della fragilità personali. L'instabilità dei rapporti di coppia conferma una instabilità più generale e la poesia si sviluppa nell'analisi dell'incessante tormento umano. La memoria ha un ruolo predominante nello svelare un passato destinato a esaurirsi senza lasciare tracce nel coerente sviluppo di un pensiero negativo:

«Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta

La dannazione
è forse questa vaneggiante amara
oscurità che scende su chi resta» (La casa dei doganieri).

Nell'impossibilità più radicale di certezze, la realtà è come distanziata dal poeta che si distacca dal presente per affidarsi alla sua interlocutrice immaginaria, la donna salvatrice e quasi angelicata chiamata adesso con il nome di Clizia, che, sola, potrà portarlo fuori dalla mediocrità di un mondo volgare. Il nichilismo del finale di Palco segna, tuttavia, l'accettazione di un'esistenza destinata alla consunzione in ogni senso, cui alla fine neanche la donna-luce riuscirà a opporsi:

«Così, alzati,
finché spunti la trottola il suo perno
ma il solco resti inciso. Poi, nient'altro».

La coscienza di non poter modificare il presente è adesso più che mai presentimento di guerra e di morte imminente, e in Notizie dall'Amiata - una serie di lettere in versi alla sua donna - la chiusura in se stesso del poeta diventa forza nel sostenere il peso dell'esistenza, unica possibile difesa di fronte al «male di vivere».
Una parte della critica preferì Le occasioni all' "arido" Montale degli Ossi, per la presenza in esse di figure e personaggi altamente simbolici. L'oscurità della raccolta, tuttavia, disorientò i suoi primi lettori, nel momento di passaggio alla seconda fase della poesia montaliana che andava inserendosi in una nuova prospettiva europea. Particolarmente apprezzati furono sempre i fulminanti «Mottetti», fulcro di quest'opera dove la presenza salvifica del fantasma femminile informa di sé i momenti di più alta ispirazione.

 

HOME PAGE


Copyright ¿ 2002 Luigi De Bellis.
Webmaster: letteratura@tin.it