Luigi
De Bellis

 


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Giovanni Pascoli



CARMINA: Raccolta di poesie


L'edizione postuma del 1914 in due volumi, a cura di Ermenegildo Pistelli, reca in epigrafe Carmina recognoscenda curavit Maria soror, e raccoglie la produzione latina di Pascoli, non tutta; le edizioni successive includeranno, fra l'altro, Veianus (1891), con cui il poeta vinse il suo primo concorso di poesia latina dell'Accademia di Amsterdam, e Thallusa (1912), il poemetto con cui vinse l'ultimo concorso poco prima di morire.
Pascoli vinse in tutto tredici medaglie d'oro ai Certamina hoeufftiana di Amsterdam con le seguenti composizioni ciascuna pubblicata la prima volta a cura dell'Accademia: Veianus (1891), Phidyle (1894), Myrmedon (1895), Cena in Caudiano Nervae (1896), Reditus Augusti (1897), Sosii frates bibliopolae, (1900), Centurio (1902), Paedagogium (1904), Fanum Apollinis (1905), Rufius Crispinus (1907), Pomponia Graecina (1910), Fanum Yacunae (1911), Thallusa (1912).

L'opera si divide in sezioni, raggruppando componimenti affini per tematiche, senza alcuna intenzione di ordine cronologico: «Liber de poetis», «Res romanae» «Poemata Christiana», «Hymni», «Ruralia», «Poematia et Epigrammata». Un tratto comune dell'intera raccolta è la capacità di esprimere, con rare eccezioni, argomenti che appartengono al mondo latino, in versi latini, ricreando sensazioni e atmosfere che pure quasi mai derivano da una semplice volontà di restauro archeologico. La distinzione lingue morte / lingue vive ha del resto in Pascoli un fiero avversario, in forza della constatazione che tutte le lingue sono «morenti». Un secondo elemento è dato dalla versatilità metrica, che si esprime sia nell'uso di metri latini diversi, sia nella personalizzazione degli stessi, come nel caso dell'esametro, di ascendenza oraziana ma con evidenti tracce di un ripensamento originale. Il lessico, molto sorvegliato nell'introdurre neologismi, ricorre spesso a diminutivi e vezzeggiativi, e non rinuncia, come nelle poesie in italiano, alla riproduzione onomatopeutica (il verso del gallo in Fanum Vacunae: «Hic hic, heri qui»). Anche là dove, come in Catullocalvos, il pretesto di una gara poetica potrebbe risolversi in uno sfoggio di bravura mimetica, può affiorare un delicato paesaggio invaso dai profumi, che pure si avvale di una citazione erudita (Plinio): «Ut violae circa ripas et flumina, cum ver / incipit et clari vicerunt frigora soles, / permulcent auras, procul et via fragrat odore / et procul aeria fruitur novitate viator".

Uno spunto testuale dalla letteratura classica, spesso riferito in epigrafe al testo, può dar vita a un episodio che vede un grande del passato preso, per così dire, a testimone di fatti minimi e simbolici. Così il Virgilio di Ecloga XI sive ovis peculiaris, che ascolta il racconto di uno schiavo, ritratto con una sensibilità tutta cristiana: «Nullum caput hic habet. Est res». Altrove (Phidyle) il verso si carica di un'intensa, e tutta moderna, forza metaforica: «Albentis summo Lucretile lunae / cornua, uri caelum tenuis si incideret unguis». La scarsa presenza di temi mitologici classici rende possibile la reinvenzione di una mitologia romantica, come in Laureolus, dove l'apparizione di una misteriosa figura cela le sembianze di un dio inseguito dalla morte.

Forse il meglio della raccolta si esprime nella sezione «Poemata Christiana», quando l'ambientazione di una romanità decadente permette di inserire a pieno titolo la nuova morale cristiana, arricchendo di tensione il racconto. Thallusa, capolavoro del genere, narra l'allontanamento da una famiglia romana di una schiava che accudisce i figli più piccoli. Più in profondità evoca il tremendo distacco del figlio dalla madre, tema ricorrente in Pascoli, modulato in emulazione con il modello virgiliano, qui apertamente citato («Coepisti tandem risu cognoscere matrem») e genialmente rifatto con un'inversione di prospettiva: «cum risum riso tentabam premere primum». La vocazione al racconto delle poesie italiane diventa in queste latine ancora più evidente, come se non avvertisse più remore davanti a una tradizione principalmente lirica. È il caso dello splendido poemetto Pomponia Grecina, in cui il segreto sentimento cristiano di una matrona romana viene scambiato per malefizio e posto sotto processo dallo stesso sposo. Il finale, che ancora una volta richiama il rapporto madre-figlio, inscena una visione profetica di cupo martirio. Ma è in Fanum Apollinis che il sincretismo pascoliano raggiunge il suo vertice. Su uno sfondo di rovine («Iamdudum priscis aberant sua numina templis, / templaque corruerant: terra caeloque repulsi / daemones errabant, ventis et nubibus acti»), con una forte tensione drammatica, i sacerdoti del vecchio dio (Apollo) e di quello nuovo (Gesù) si incontrano. La nostalgia e il rammarico per ciò che è stato sembrano essere più forti della fede recente, e comunque, dopo Hólderlin, mai la poesia europea si era interrogata in modo così alto sul convergere epocale di antichità pagana e cristianesimo.

Per la sua natura episodica, la produzione pascoliana in latino fu scarsamente recensita. Un giudizio di Pistelli (1912), come altri coevi e successivi, sottolineava la complementarità in Pascoli tra poesia italiana e poesia latina: «La poesia latina del Pascoli è sua come l'italiana: non sa di crudizione, o di vocabolario, o di muffa, o di "Regia Parnassi" e neppure d'umanesimo letterario».

 

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