Luigi
De Bellis

 


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Un bellissimo novembre

 
 

 

 
 

 

 
     
 

 

 

 





Ercole Patti



UN BELLISSIMO NOVEMBRE: Romanzo


La «storia era cominciata per caso un pomeriggio del mese di marzo in una casa di via Montesano a Catania nell'anno 1925». Così Ercole Patti, in apertura del romanzo, attribuisce alla vicenda una data precisa che le conferisce un sapore di "vissuto". In quel pomeriggio i due protagonisti, la zia Cettina di ventotto anni e suo nipote Nino di sedici, erano in un salotto piccolo-borghese di Catania, dove parenti e amici della padrona di casa si fermavano a chiacchierare «dopo di aver sbrigato le loro piccole commissioni nei negozi di via Etnea». Zia e nipote stavano addossati l'uno all'altro in un angolo dell'affollato salotto e la zia Cettina, presa in un'accesa conversazione, «aveva finito per sedersi senza accorgersene per metà sulla gamba del nipote», stabilendo un contatto inquietante con il giovane incredulo e sorpreso. L'evento di quel pomeriggio turbò profondamente il ragazzo che, da tempo, sentiva «di non avere più un punto pulito e sicuro nel quale rifugiarsi», da quando aveva scoperto la relazione tra la madre e lo «zio Concetto», un amico del padre defunto che usava frequentare la sua casa, prendendosi cura di lui.

La narrazione riprende sette mesi dopo in una villa nei pressi di Zafferana, nell'entroterra catanese. A Zafferana la famiglia di Nino suole riunirsi nella grande casa di campagna dello zio Alfio, durante la stagione della vendemmia fino all'inizio novembre, per godersi i giorni della lunghissima estate siciliana. Gli ospiti trascorrono il tempo a controllare i contadini che raccolgono e pigiano l'uva, a cercare funghi nel bosco di castagni e a cacciare le calandre. Sullo sfondo di una campagna ancora viva e palpitante di luce e di profumi, Patti descrive con ironico distacco le meschinità della piccola borghesia provinciale siciliana, le sue velleità di potere e di prestigio e gli atteggiamenti mafiosi di qualche goffo esemplare. Nella casa di campagna, Nino e la zia Cettina hanno occasione di incontrarsi nuovamente. È il caso a farli ritrovare, perché vengono assegnate loro due camere vicine, mentre il marito di Cettina è trattenuto per lavoro a Catania. La donna si mostra al nipote con disinibita naturalezza, eccitandone il desiderio; e una sera, dopo aver molto bevuto, gli si concede. Da quel momento Nino è dominato dal pensiero della zia, geloso del marito e di un altro frequentatore della villa, Sasà Santese, un ricco donnaiolo che corteggia scopertamente Cettina. Nino vive nell'attesa di un nuovo incontro con la zia che finalmente avviene una mattina, nella semioscurità del palmento fra tini odoranti di mosto fermentato. Il giovane, perdutamente attratto dalla donna, è tormentato dalla corte assidua fattale da Sasà Santese e dal pensiero che, finita la vacanza, non avrà più occasione di frequentarla. La sua morbosità si manifesta incontrollata durante un breve rientro a Catania con la madre, Cettina e il marito, per assistere a uno spettacolo d'opera al Teatro Massimo. Nell'oscurità del palco le sue mani tremanti stringono forte la gamba della zia, «mentre il marito seduto dietro le teneva una mano sulla spalla». Dopo quella sera, la donna decide di interrompere il rapporto con il nipote, perché «l'emotività e l'intemperanza del ragazzo cominciavano a farle paura». In uno degli ultimi giorni alla villa, Nino, scorgendo la zia e Sasà Santese dirigersi soli verso il castagneto, cerca di frenare la sua gelosia ma, sopraffatto dalla passione, si addentra nella boscaglia per spiarli. Dopo un'affannosa ricerca, li sorprende in «una casupola mezzo diroccata» mentre fanno l'amore. Un rumore tradisce la sua presenza e i due amanti si accorgono di essere spiati. Nino fugge con il cuore in gola, accecato dalla paura di essere riconosciuto e dalla disperazione di aver perso definitivamente Cettina. Correndo, sbatte la testa contro un tronco, riprende la corsa e cozza contro un altro albero, quasi perdendo i sensi. Stordito, in un impulso di annullamento, si getta in un vallone scosceso, dove aveva giocato tante volte con i cugini durante i soggiorni in campagna, e batte violentemente il capo contro un duro masso di lava: «Sul suo volto di adolescente dai capelli di un biondo scolorito dal sole e dal mare era spuntata sullo zigomo una chiazza rossa. Era il 15 novembre 1925».

Un bellissimo novembre è considerato dalla critica l'opera più felice di Ercole Patti. Nel romanzo Sarah Zappulla Muscarà ha riscontrato «un'aura di sensuale elegia», aggiungendo che in esso «mediante una progressiva decantazione, Patti trasfigura il reale, che talora dislaga verso aree surreali, anche come dato ambientale e paesaggistico, senza sottrargli i connotati anagrafici che lo fissano e lo datano». Nel 1969 Mauro Bolognini ne ha tratto liberamente un film omonimo interpretato da Gina Lollobrigida, Gabriele Ferzetti, Paolo Turco, Danielle Godet, Margherita Lonzano, Corrado Gaipa; sceneggiatura di Antonio Altoviti, Lucia Drudi Demby e Henry Waughan; musiche di Ennio Morricone.

 

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