Luigi
De Bellis

 


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Opere riportate:

     
 

L'elefante verde

 
 

 

 
     
     
     

 





Giorgio e Nicola Pressburger



L'ELEFANTE VERDE: Romanzo


Uscì nella «Collana di narrativa» a nome dei gemelli Giorgio e Nicola Pressburger, a tre anni dalla morte del secondo.
In dodici brevi capitoli numerati, viene raccontata la storia di tre generazioni di una famiglia ebrea di Budapest, a partire dai primi del Novecento: un complesso susseguirsi di eventi e persone, le cui esistenze sono legate in modo indecifrabile, quasi confuse l'una nell'altra.
La vita di Jom Tow, un fabbricante di salsicce, e della moglie Ester, venditrice di oche, si svolge tranquilla all'interno del mercato di piazza Teleki, nell'Ottavo Distretto di Budapest, finché un sogno arriva a sconvolgerla. All'uomo appare un grosso elefante verde appoggiato alla ringhiera di casa, che, soffiando, produce un suono simile alla tromba dello shofar. Incapace di comprendere il senso di tale visione, Jom Tow si rivolge al rabbino che interpreta l'elefante come un messaggero venuto ad annunciare a quella casa un futuro di prodigi.

Dopo avere atteso per anni l'avverarsi della profezia, l'uomo è costretto ad ammettere che gli avvenimenti vanno in senso contrario: si convince, così, che sarà il figlio Isacco a «fare prodigi» al posto suo. Questi, abbandonate le perplessità iniziali, accetta il proprio destino e si impegna a costrùire un futuro di successo che, data la giovane età, immagina essere nei giochi: il calcio e gli scacchi. Lo scoppio della guerra, però, ostacola i propositi del ragazzo, costringendolo a conoscere la fame e la sofferenza: «ecco i prodigi, ecco le grandezze», si ribella, mentre il padre, con le poche forze rimastegli, ribadisce: «eppure i sogni non mentono».

Finita la guerra, il ragazzo riprende a ingegnarsi per realizzare prodigi, «propenso a credere che tutti gli avvenimenti della sua epoca fossero indirizzati unicamente alla sua persona, a fare sì che il prodigio annunciato dal sogno dell'elefante si realizzasse». Ma la speranza presto svanisce, perché i piccoli successi si tramutano subito in dolorose sconfitte.
Illuminato da un sogno - due bambini gli sorridono mentre uno di loro tiene per le briglie un elefante -, Isacco intuisce di dover trasmettere alla propria discendenza il compito ricevuto dal padre. Sposa, dunque, Rachele, una ragazza «modesta, taciturna, pia», che, l'anno seguente, dà alla luce Beniamino e Samuele, due gemelli. Anche a loro, però, la vita non risparmia difficoltà e sofferenze.
Con le leggi razziali, Isacco viene deportato in un campo di lavoro in Transilvania, da cui evade due anni dopo, appena in tempo per evitare il trasferimento e la morte nei campi di concentramento in Germania. La guerra ha segnato, insieme con lui, tutta la famiglia: i suoi genitori sono morti in un lager.

Cessato il conflitto, lsacco - dotato di eccezionale attitudine imprenditoriale - traffica con tanta abilità da raggiungere un benessere mai sperimentato: una bella casa, due automobili e una motocicletta. Ignaro di quale dei figli sia chiamato a «fare prodigi», li esorta a percorrere con impegno strade diverse: Beniamino dovrebbe emergere in campo culturale, e Samuele in quello economico. Ma il nuovo regime filo-sovietico colpisce Isacco, sequestrandogli ogni bene e chiudendolo in prigione con una falsa accusa. Scagionato, l'uomo si ammala ma, dopo quattro mesi a letto, immobile e muto -«poteva essere l'eternità, oppure la morte» - trova ancora la forza di sentenziare, come già suo padre, che «i sogni non mentono». Lo scoppio della guerra civile, infine, convince l'uomo a lasciar partire i figli, ormai nella certezza che nessun prodigio possa avverarsi per loro in quella terra.
Dopo tre anni, una lettera di Samuele rivela al padre l'impegno con cui lui a Roma e il fratello in America hanno sempre cercato di realizzare il destino di famiglia: questo ora appare meno lontano, dal momento che - così egli scrive - Beniamino si fa strada «nelle alte sfere della cultura», dedicandosi al teatro, mentre lui lavora con successo in una banca. Isacco è rincuorato, ma ancora lontano dall'«indovinare i disegni dell'Eterno».

Dalla seconda metà del capitolo decimo l'intreccio si complica ancora di più. La scena si sposta a New York, dove Isacco giunge, cinque anni più tardi, su invito di Beniamino, e dove si scopre la verità. I ragazzi hanno sempre mentito sul conto delle loro professioni, per non deludere le aspettative e i progetti paterni: ciascuno, in realtà, ha abbracciato il destino pensato dal padre per l'altro. Così Beniamino lavora in banca e Samuele recita: in quei giorni si trova a New York in occasione dl una rappresentazione straordinaria per gli emigrati italiani. Commosso fino alle lacrime, Isacco sentenzia: «Quante gioie ti dà questa lurida vita!» .
Il penultimo capitolo presenta, con un brusco scarto narrativo, una sorta di "autoritratto" scritto da Samuele: morto il padre, egli confessa di essersi sempre considerato il destinatario del sogno. A metà tra la lusinga del sentirsi eletto e il timore di disattendere le aspettative, ha cercato inutilmente di fuggire «l'Eterno», fino a Roma («un ebreo all'ombra del Vaticano! Che ci provino i sogni a raggiungermi, lì»). Si è dedicato al teatro, che gli ha permesso di nascondere la propria identità, studiando con passione la vita dei personaggi da interpretare, per scoprire se avessero realizzato o tradito il loro destino. Infine dichiara di attendere che «l'Eterno Regista» gli indichi la strada.
Ma l'ultimo capitolo rivela un altro "inganno". Le parole attribuite a Samuele sono in realtà scritte per lui da Beniamino che, contrariamente al fratello, è più sereno perché ha attribuito un senso alle proprie vicende e ai «prodigi»: «Essi non ci conoscono. Ci sfiorano e se ne vanno. I sogni popolano con noi la propria oscurità, fino al risveglio».

Solo la lettura completa del libro permette di comprendere le parole criptiche dell'«Introduzione», dove il narratore, che si firma allusivamente G.N., dichiara di aver ricevuto da due amici l'incarico di scrivere la loro storia, per aiutarli a «meglio orientarsi nella vita»; ma aggiunge di avere anche intuito, durante la stesura, una «soluzione sorprendente» ai problemi filosofici relativi all'io e all'esistenza individuale. La confusione d'identità e di numero tra autori, narratori e personaggi (Beniamino e Samuele sono un palese travestimento degli autori, rispettivamente Nicola e Giorgio, che, profughi in Italia nel 1956, divennero uno giomalista economico e l'altro regista teatrale e televisivo) sembra dunque risultare la vera chiave d'interpretazione del romanzo.
La critica ne ha sottolineato l'atmosfera mitteleuropea e la forte componente culturale ebraica che, secondo Giovanni Tesio, ha «l'estrosa vitalità di una parabola talmudica».

 

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