Luigi
De Bellis

 


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Fiamme a Monteluce

 
 

 

 
 

 

 
     
     

 





Bino Sanminiatelli



FIAMME A MONTELUCE: Romanzo


Si compone di due parti, complessivamente di nove capitoli, e di un epilogo.
Al centro della vicenda - che ha inizio negli «anni congestionati» del primo dopoguerra - sta la villa di Monteluce, nei pressi di Siena, abitata dalla contessa Taube, vedova di un colonnello, insieme con le figlie Violetta e Roberta, due ragazze «ribelli» per «un bisogno istintivo di reazione» all'aria vetusta della casa. Nel primo capitolo, attraverso un largo ricorso al flashback, si delinea la solitudine che avvolge le tre donne chiuse nel «mondo morto di Monteluce»: la contessa vive di ricordi, nel culto del passato; Roberta ha un'«aria ridevole e assente», che sembra tenerla lontana dalla realtà; mentre Violetta, la maggiore, pur di giovane età, è stata profondamente segnata da alcune esperienze amorose. In particolare, ha avuto una relazione, ormai interrotta, con il marchese Giulio Ardighi - della cui moglie americana, Dorothy, è amica -, un uomo assai colto e raffinato molto più anziano di lei. In seguito, è passata tra le braccia di molti uomini e, provando «la voluttà di distruggere e di distruggersi», è arrivata persino a giocare se stessa ai dadi. Ha così incontrato il figlio di un ricco diplomatico argentino, di nome Pablo Feraldo, «viziato dal troppo denaro», che ha deciso di sposare (il romanzo si apre con la festa per le prossime nozze), sia per tentare di migliorare le disagiate condizioni economiche della famiglia, sia, soprattutto, per nascondere una gravidanza indesiderata (il padre è «un maschio quasi sconosciuto»). Il matrimonio fallisce presto perché Pablo si rivela un «bruto» dedito all'alcol; Violetta torna così nell'«immobilità sconcertante» di Monteluce, con la figlia Ilaria e una bambinaia inglese, e si chiude sempre più in se stessa, abbandonandosi al fluire del proprio tempo interiore, «indipendente da quello esteriore». Questa opposizione le si rende chiara allorché a una festa incontra nuovamente Giulio, il quale non si rende conto del tempo trascorso e la implora di riprendere la vecchia relazione, guastando irrimediabilmente l'immagine che di lui si è fatta la donna. Intanto, Ilaria cresce, secondo il volere della madre, estranea ai ricordi e ai «dolori di casa»; con il passare delle stagioni, che si succedono «senza variazione», Violetta si allontana «giorno per giorno dalla vita». Anche Roberta, ormai «meccanizzata», vive nella monotonia della propria amicizia con Tom, il figlio di Giulio Ardighi, suo coetaneo. Monteluce, per le tre donne, si identifica sempre più con «un inconscio difendersi dal mondo»: è luogo dal quale ogni imprevisto appare bandito.

Con l'inizio della seconda parte, l'attenzione del narratore si concentra quasi esclusivamente su Tom. Rispetto all'immobilità che lo circonda all'interno del secolare palazzo di famiglia, ricco di storia e di opere d'arte, il giovane Ardighi, che ha ora venticinque anni ed è divenuto architetto, cerca una vita più attiva, che lo distingua da quella contemplativa del padre. Il suo «carattere combattivo» lo ha così indotto a far parte «delle prime squadre d'azione contro il comunismo». Per le stesse ragioni accetta, quasi per sfida, l'amministrazione della tenuta di Pian d'Albola, affidatagli dal padre. Progressivamente, Tom si appassiona ai problemi della terra e, con il suo ingegno, si schiera, a fascismo iniziato, «all'avanguardia del rinnovamento rurale del paese». Il contrasto con il padre, il quale si sente invaso dal «presentimento angoscioso» della morte, si fa sempre più aperto. Intanto la villa di Monteluce è stata venduta a un vecchio amico di famiglia, ma le tre donne hanno avuto la possibilità di restarvi fino alla morte della contessa. Tom rappresenta il legame pressoché esclusivo tra il mondo esterno e Monteluce; alla famiglia Taube lo lega «un senso di pietà», ma soprattutto un «oscuro e insopportabile sentimento di colpa» scaturito dalle responsabilità del padre, delle quali è a conoscenza. Lo stesso giorno in cui Tom e Ilaria fanno una gita a Pian d'Albola - durante la quale i due, che hanno diciassette anni di differenza, scoprono di amarsi - Violetta riceve la temuta visita della signora Feraldo, che reclama la nipote. La soluzione si profila nel matrimonio con Tom, il quale frattanto è divenuto il «sostegno di Monteluce». Mentre questi è in viaggio in Libia, il padre prende una dose eccessiva di sonnifero e muore dopo una lunga agonia. Violetta, che per certi versi è la vera vedova, come comprende la stessa Dorothy, lo rivede un'ultima volta e ne rimane sconvolta. Comincia a essere ossessionata dall'incubo di un incendio di Monteluce, che percepisce comunque come «la fine della nostra famiglia e delle nostre sofferenze». La donna, in procinto di separarsi dalla figlia, sente che non può distaccarsi da Monteluce, perché la casa è l'unica cosa che le resti della propria esistenza.
Sono ormai trascorsi diciotto anni dall'inizio della narrazione: Tom e Ilaria si sono sposati e sono andati a vivere a Pian d'Albola, dove hanno costruito una nuova casa. Roberta, a causa di un banale incidente, è rimasta sfigurata nel volto, mentre Violetta è sprofondata sempre più nella solitudine, in attesa di abbandonare definitivamente la casa per andare ad abitare in città. Una sera, approfittando dell'assenza della madre e della sorella, dà fuoco alla villa, perché convinta che «Monteluce doveva sparire, non avrebbe mai dovuto essere di altri». Contemplando da un campo le fiamme che avvolgono la villa, si sente finalmente «libera» e felice e si abbatte infine «con un terribile urlo muto».

L'epilogo ha un forte significato ideologico. Toni si è dedicato totalmente «alle bonifiche e alle costruzioni rurali» e, alla ricerca di un rapporto elementare con le cose, ha abbracciato con entusiasmo la «religione della terra» propugnata dal fascismo. Per questo, ancora ignaro, come la ritoglie, della fine di Monteluce, rifiuta in modo risoluto l'idea di una vita dentro le mura della villa o del palazzo avito, le «due potenze misteriose che avevano dominato il dramma delle due famiglie».

Fiamme a Monteluce mostra alcuni caratteri specifici della narrativa degli anni Trenta, a cominciare dalla considerevole componente ideologica, espressa in alcuni lunghi dialoghi e sintetizzata nella figura di Tom, campione di un energico fascismo agrario, diametralmente opposto ai guasti della vita cittadina, troppo votata all'inerzia. Il paesaggio, cui l'autore concede ampio spazio, non è relegato al semplice rango di sfondo alle vicende del romanzo: al contrario, esso viene pienamente integrato nel quadro della narrazione, fino a divenire quasi un personaggio esso stesso. Ma l'interesse principale di Sanminiatelli è senza dubbio rivolto allo scavo psicologico dei personaggi, in relazione all'intrecciarsi delle problematiche del tempo e della memoria. Più di ogni altra figura del romanzo, è Violetta a porsi quale simbolo della differenza tra il «movimento interiore» proprio di ogni essere e il «tempo astratto, impersonale» degli eventi.

 

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