Luigi
De Bellis

 


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Giani Stuparich



RITORNERANNO: Romanzo


Il romanzo - diviso in cinque parti articolate in capitoli - narra le vicende di una famiglia triestina tra il 1915 e il 1918. Marco, Sandro e Alberto Vidali sono volontari nell'esercito italiano e si trovano oltre il confine che hanno varcato prima della dichiarazione di guerra dell'Italia all'Austria. Domenico - il loro padre - è, invece, soldato austriaco e combatte sul fronte russo.
A casa restano Carolina, la madre, e Angela, la figlia, in attesa dei loro uomini che, purtroppo, non ritorneranno tutti: Marco e Alberto, infatti, moriranno in guerra, e così Guido, il fidanzato di Angela. Sandro, invece, ferito mentre cercava di salvare il fratello durante un'azione di guerra, resterà cieco. A casa farà ritorno anche Domenico, attorno al quale i familiari si stringeranno, nel tentativo di superare la tragedia che li ha colpiti.

Due i toni fondamentali: quello bellico e quello familiare. Il primo è risolto da Stuparich con vigoroso realismo e profonda pietas. Memorabili gli squarci sulla vita di trincea: «Giacevano, ora, stremati; le uniformi grigioverdi, ridotte a panni mostruosi, intrise di mota e impastate d'argilla. Pochi avevano le facce scoperte; ma quei pochi davano, per tutti, l'impressione delle sofferenze patite: sembravano morti che respirassero, con le occhiaie livide e ammaccate, le guance esangui sotto i peli della barba incolta e sudicia, le bocche aperte».
E le scene di battaglia, aspre e sanguinose: «La trincea era piena di cadaveri che bisognava scavalcare, italiani e austriaci mescolati insieme: nemici che intrecciavano le gambe fra di loro, che giacevano capo presso capo; mani gialle, rattrappite, che si afferravano a spalle avversarie, come per un ultimo disperato soccorso». Ma nella drammaticità di queste immagini non è mai la disperazione ad avere il sopravvento: le aperture alla speranza sono negli episodi di coraggio, negli atti di eroismo e anche in alcuni segnali che la natura vuole regalare all'umanità dolente in guerra. Hanno questa funzione, per esempio, il cespuglio d'erba che Marco scopre sul campo di battaglia e il canarino della famiglia Vidali che rallegra la casa con i suoi gorgheggi.

Il tema familiare ha al suo centro Carolina - la madre - donna di saldi principi morali e di grande coraggio: «In tutti i frangenti della vita ella aveva sempre interrogato il proprio cuore, ne aveva seguito il consiglio. Ma il suo non era uno di quei cuori che rispondono con facilità: troppe tempeste lo avevano agitato, troppe delusioni avvilito. Era un cuore esperto, un oracolo difficile. La fonte di verità che esso racchiudeva, si sentiva pulsare subito, ma soltanto con cautela e con arte si riusciva a scoprirla». È lei, infatti, a tenere unita la famiglia, quando Domenico, tornato dal fronte russo, sembra non riuscire a reintegrarsi nella vita di tutti i giorni e passa le sue giornate a giocare a carte con gli amici. L'altra donna di Ritorneranno è Angela, che dovrà dire addio ai suoi sogni dopo la morte del fidanzato Guido, ma che ritroviamo vibrante di rinnovata vitalità nella Trieste in festa per la liberazione: «Chiuse gli occhi. Dentro la fiamma del sangue che si ravvivava, tutti i ricordi dei sacrifizi e delle sofferenze, dei sussulti e dei terrori, dei pianti e delle speranze, erano belli, bruciavano chiari come materia secca a un fuoco vigoroso».

Ma è il personaggio di Sandro a dominare nelle ultime pagine del romanzo: la tragedia della guerra trova in lui il luogo del superamento, perché «bisogna salvare la coscienza viva del dolore. Dentro la vita, in relazione con qualcosa di più vasto della terra, pulsava un cuore che accoglieva a una a una tutte le sofferenze del mondo. Quel cuore era divino, quel cuore aveva battuto nel petto d'una creatura umana. No, non poteva accadere che un giorno, vicino o lontano, non si fossero ritrovati in Esso. L'orrore, la superbia umana potevano oscurare, ma non più cancellare il volto di Cristo nel mondo».

Giorgio Petrocchi ha definito Ritorneranno «il più bel libro che la letteratura italiana abbia consacrato alla guerra '15-18». Bruno Maier ha parlato di «un romanzo di elevata e intensa spiritualità, documento (e monumento) di un'epoca di forti entusiasmi ideali, contrapposti a un periodo [quello fascista] di "caduchi allori"», pur additandone i limiti nella struttura tardo-ottocentesca, nelle «cadute di carattere cronachistico» e in «certi indugi dottrinari e disquisitori».

 

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