LETTERATURA ITALIANA: PETRARCA

 

Luigi De Bellis

 


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Francesco Petrarca


Francesco Petrarca

Francesco Petrarca nacque ad Arezzo nel 1304 da Eletta Canigiani e da ser Petracco, notaio fiorentino che due anni prima era stato esiliato dalla sua città perché appartenente alla fazione dei Bianchi. A sette anni seguì, con la famiglia, il padre prima a Pisa e poi ad Avignone, in Francia, allora sede del Papato. Il padre fu assunto presso la curia, ma per mancanza di case la famiglia dovette sistemarsi nella cittadina di Carpentras, dove il Poeta compì i suoi primi studi sotto la guida del dotto maestro Convenevole da Prato. Fu poi avviato agli studi giuridici, prima a Montpellier e poi a Bologna, ma con scarso profitto perché attratto dagli studi classici e distratto dalla vita mondana. Alla morte della madre, nel 1326, tornò ad Avignone e intraprese la carriera ecclesiastica negli ordini minori, mentre il fratello Gherardo divenne sacerdote per abbracciare poi la vita monastica. Il venerdì santo dell'anno dopo Francesco vide per la prima volta, nella chiesa di S. Chiara, la donna destinata a divenire l'ispiratrice del "Canzoniere", Laura (forse Laura de Noves andata sposa ad Ugo de Sade). Nel 1330, assunto al servizio dell'amico cardinale Giacomo di Stefano Colonna, seguì il suo signore in Guascogna. Ritornato ad Avignone nel 1333 fu al servizio del cardinale Giovanni Colonna, che gli consentì di effettuare numerosi viaggi in Europa. Nel 1336, durante un'ascensione sul monte Ventoso, in compagnia del fratello Gherardo, lesse una pagina di S. Agostino che lo turbò profondamente e segnò l'origine di una crisi morale e religiosa, che lo accompagnò per tutta la vita. Nel 1340 fu invitato sia dall'Università di Parigi che dal Senato di Roma per essere incoronato poeta: preferì Roma, ove l'anno dopo fu incoronato sul Campidoglio, dopo aver sostenuto un severo esame, durato tre giorni, da parte del dotto re Roberto d'Angiò. Sempre irrequieto, viaggiò ancora a lungo in Italia ed all'estero, finché si fermò ad Arquà, sui Colli Euganei, ove visse gli ultimi anni in compagnia della figlia Francesca (aveva anche un figlio di nome Giovanni). Morì il 19 luglio 1374, il giorno prima del suo settantesimo compleanno.

Come abbiamo già detto, Francesco Petrarca nacque ad Arezzo da esuli fiorentini: questo vuol dire che si sentiva ed era estraneo al suo stesso luogo natio. A ciò si aggiunga che viaggiò molto per l'Italia e l'Europa e così facilmente ci spieghiamo perché non partecipasse attivamente alla politica di nessuna città italiana e non avesse sogni universalistici come Dante: egli molto più concretamente vedeva realizzabile in Italia una federazione di Stati che, pur conservando ciascuno la propria autonomia interna, fossero però uniti nella difesa del suolo italiano dalle invasioni barbariche. Egli perciò fu uno dei primi a vagheggiare idee nazionalistiche ed a considerare l'Italia, e non altri, l'erede della romanità. Ecco perché egli asserì pure che l'eventuale federazione di Stati italiani dovesse avere come sua capitale e guida una Roma repubblicana (quindi non papale) che si ispirasse ai valori dell'antica Roma repubblicana, quella che aveva gettato le basi della futura Roma imperiale, dando alle genti un grande esempio di operosità, di saggezza politica, di coraggio, di genialità.

Naturalmente questa passione per la più autentica romanità egli l'aveva maturata attraverso gli studi dei classici antichi, dei quali fu solerte ricercatore, accurato restauratore, profondo interprete e grande ammiratore. A tal riguardo bisogna sottolineare che il Petrarca fu l'iniziatore della nuova filologia, che rese giustizia ai classici antichi delle tante false interpretazioni che ne avevano, lungo tutto il Medioevo, fortemente manipolata l'autentica fisionomia.

Il Petrarca fu dunque un uomo moderno per i suoi tempi non solo dal punto di vista politico, ma anche dal punto di vista culturale. Egli fu il primo animatore di quel vasto movimento di idee che contribuì ad accelerare il crollo definitivo degli ideali medievali e ad avviare una nuova concezione di vita, che verrà poi definita "umanesimo" perché largamente attinta dal pensiero degli antichi autori delle "Humanae litterae".

Il Petrarca ha ancora il grande merito di aver intuito che non ci può essere vera cultura, non ci può essere progresso scientifico senza la possibilità di condurre i propri studi liberamente, senza la disposizione a cercare nuove avventure del pensiero e dell'azione: la lezione degli antichi è preziosa per chi sa attingervi la capacita di andare avanti; può invece divenire opprimente e negatrice di ogni progresso se la si vuole considerare definitiva e perfetta. Sotto questo aspetto il Petrarca ci appare più moderno anche di molti umanisti che vennero dopo di lui!

Il Petrarca, però, non comprese compiutamente il grande contributo che stava dando al cammino della civiltà e più volte tentennò, si mostrò insicuro, incerto: tutto questo non è dovuto alla fragilità dell'intelletto, ma piuttosto alla fragilità della coscienza, che forse non seppe affrontare con determinazione il rapporto tra fede e scienza. I turbamenti che ne derivarono non valsero, però, ad inficiare l'apporto positivo che il suo pensiero diede al progresso della cultura e furono invece una fonte preziosa di ispirazione per la sua poesia: senza quel tormento interiore, senza quello che i critici chiamano il suo "dissidio interiore" forse non avremmo avuto quelle pagine meravigliose del "Canzoniere".

 
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