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Il
suo primo nucleo deve ritenersi la Chiesa di S. Bartolomeo, fatta
erigere nel 1300 da
Giovanni Pipino da Barletta, per sciogliere, si dice, un voto
fatto durante la strage dei Saraceni, in un momento di grave
pericolo. Questa chiesa, però, non sarebbe quella che si vede
oggi, perchè l'attuale chiesa, o meglio cappella, a sinistra
dell'atrio del collegio R. Bonghi, anticamente era parlatorio o
casa del custode, che verso la fine del XVIII sec. fu trasformata
in luogo sacro. L'antica cappella
invece si trovava in fondo a sinistra dell'ampio cortile con porta
orientata su Via Cassitto. Per varie ragioni i PP. Celestini
decisero di demolirla, sostituendola con quella esistente, nella
quale, "ornata di drappi e damaschi di regia munificenza si
celebrava il Compleanno dei Sovrani" borbonici, col concorso
di autorità civili e militari con le loro insegne. Con
pietre, provenienti forse dal Tempio di Cerere, lo stesso Pipino
fece erigere l'annesso Convento "per i fratelli dello Spirito
Santo, detti anche Celestini, perchè vivevano secondo la regola
di
Papa Celestino V che rinunziò al Papato". Questi vi rimasero
fino al 1807, allorchè il re Giuseppe Napoleone, soppressi gli
ordini religiosi, vi istitui il Collegio di Lucera, accresciuto
successivamente con cattedre universitarie. Nel 1854 Ferdinando II
lo affidò ai Gesuiti, che ne modificarono i locali. Nel 1861 il
Real Collegio fu trasformato in Convitto Nazionale, intitolato a
Carlo Antonio Broggia
(1865), illuminato e perseguitato economista meridionale del
settecento; nel 1897 fu ampliato e prese il nome di Ruggero Bonghi.
Del
restauro eseguito in stile barocco nel 600 restano tracce nel
chiostro interno. L'attuale
prospetto dell'edificio non è quello originario; l'atrio che si
trova all'ingresso, infatti, in origine mancava; tra la
porta della Cappella e il fabbricato successivo vi era un'ansa
che, tutt'una con l'area prospiciente, costituiva il Largo Real
Collegio, nel quale si aprivano sia la porta della Chiesa che
quella di accesso al Collegio. Con la costruzione dell'atrio e
della soprastante Sala Dante, il prospetto, di stile
classicheggiante, divenne più ampio e austero, e le porte
rimasero all'interno. L'orologio
che arricchisce e adorna il Convitto fu installato nel
1873, Esternamente,
ai Iati dell'ingresso, si ammirano due lapidi di bronzo: una in
ricordo degli ex-alunni caduti nella grande guerra. Altre lapidi
marmoree sono collocate nell'atrio per commemorare gli statisti R,
Bonghi e A. Salandra e gli artefici del Risorgimento; il testo di
quest'ultima è di Carlo Pascal, mentre i busti bronzei
rappresentano Vittorio Emanuele II, Cavour, Mazzini e Garibaldi
21.
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Classicheggiante
è, invece l'aspetto del Palazzo Cavalli, per l'esito del
magnifico portale, sorretto da quattro colonne scanalate e
abbinate, e per la bella corte dotata di loggia a tre archi,
sorretti da colonne, sul cui frontone, in grossi caratteri, si
leggono scolpite due frasi, che si completano nell'intento
ammonitore: più in basso la prima (PRINCIPIUM PLUS EST QUAM
DIMIDIUM, L 'inizio è più della metà, e più in alto la seconda
(DIMlDIUM NON NUMQUAM PLUS EST
QUAM TOTUM, Talvolta la metà è più del tutto). Sono iscrizioni
esortative, che non vanno scambiate per motti nobiliari delle
famiglie che abitarono la splendida magione. Della loro incisione
non si conosce l'epoca, che, comunque, deve essere anteriore ai
vasti lavori di ampliamento compiuti nel 1873, durante i quali fu
realizzato l'attuale prospetto, adorno di fregi (metope e
triglifi). Altre espressioni augurali si trovano incise sugli
architravi delle porte di accesso agli appartamenti: HOMO HOMlNI
DEUS; NON SOLUM NOBIS; HONESTIS GAUDE. Il
maestoso palazzo, dotato di ampi servizi (cantina, rimessa, pozzo,
cappella, ecc.), appartenne quasi per intero all'antichissima
famiglia patrizia Spatafora, le cui ascendenze si facevano risalire
addirittura al greco Basilio Spataforius, inviato come esarca
nella Sicilia dall'imperatore bizantino Isacco Comneno (1058).
Ampliato e ristrutturato, il palazzo si è conservato integro
nelle sue strutture e decorazioni litiche, fino agli attuali
discendenti. Alla
volta dell'atrio è visibile ancora uno stemma sbiadito (degli
Spatafora o dei Giordano?); nello studio-biblioteca, allocato in
alcu-
ni ambienti del piano terra, si trovano i busti di Cicerone e di
Dante e le grandi fotografie degli antenati.
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