Il Dopoguerra

Sono andato al Centro anziani di Lanuvio a cercare testimonianze sul Dopoguerra.

        Questo è quello che ho raccolto……

         Ho intervistato la signora Agnese, nata il 21 gennaio del 1938.

        Ricorda che Lanuvio era completamente distrutta; si viveva in povertà e si mangiava soprattutto la crusca.

        Si lavorava da contadini e i bambini andavano a scuola fino alla quinta elementare.

        La signora ricorda bene gli Americani quando scendevano dagli aerei e regalavano caramelle.

 

        La signora Emilia, nata l’8 gennaio del 1940, ricorda invece, che durante il periodo del dopoguerra viveva nelle campagne di Aprilia, che era una palude non bonificata.

        Si viveva molto male, gli abitanti erano poverissimi e si moriva di fame. Le uniche cose che si mangiavano erano il pane e le patate (quando c’erano).

        Il mestiere più praticato era quello della coltivazione della frutta.

        Si andava a scuola fino alla classe quinta elementare, anche se molti bambini non finivano di frequentare neanche  quella.

(Testimonianze raccolte da Niccolò)

 

         Ho chiesto a mio padre cosa ricordava del periodo del dopoguerra.

        “In quel periodo vivevo a Lanuvio, in un quartiere di case popolari ricostruite dallo Stato, per i senzatetto. La casa era composta da due stanze, un bagno e una cucina. Il quartiere si trovava nella periferia di Lanuvio.

        La situazione era di estrema povertà, con il paese completamente distrutto dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Proprio perché la gente era molto povera, c’era molta solidarietà nel paese.

        Lanuvio aveva un’economia prevalentemente contadina e pochissime persone lavoravano a Roma, nell’edilizia. 

        Ci divertivamo a giocare con le biglie, a cow boy e indiani, con la fionda; quasi sempre costruivamo i giocattoli da soli.

        La maggior parte dei bambini frequentava la scuola fino alla quinta elementare e poi andava a lavorare per aiutare la famiglia. Pochi finivano la terza media e solo qualcuno finiva le scuole superiori.

        L’avvenimento che ricordo maggiormente è quello delle prime trasmissioni televisive. A Lanuvio nessuno conosceva la televisione; ricordo che la prima volta che ho visto la televisione è stata quando fu messa in un bar. Tutta la gente del paese, la sera, andava a vedere i programmi famosi del tempo come “Lascia e raddoppia”, “Giardino d’inverno” e “Campanile sera”.

        Per vedere la televisione nel bar era necessario fare una consumazione”.

(Testimonianza raccolta da Jacopo)

 

         E’ stato interessante chiedere a mio padre con quali giochi si divertiva nel periodo del dopoguerra.

“Di giochi ne facevamo molti, tra questi i più divertenti erano: soffietto, sottomuro, mazza e pirolo, campana, corda, girotondo, nascondino, acchiapparella, mani rosse e cerchio.

Erano tutti bellissimi, ma il mio preferito era sottomuro e si giocava in questo modo: si sceglieva un muro abbastanza alto e ci si tiravano i soldi sotto, vinceva chi li mandava più vicino al muro. La vincita erano tutti i soldi in gioco. Io vincevo spesso e con quei soldi mi compravo le caramelle”.

(Testimonianza raccolta da Marika)

 

        Lanuvio sembrava una città fantasma, i morti erano sparsi in ogni angolo del paese e della campagna.

        Per sopravvivere andavamo nelle campagne a cercare residui di cibo lasciati dagli accampamenti americani (scatolette, tavolette di cioccolata, biscotti, sigarette, ecc.), trovavamo anche coperte, scarpe, cappotti.

        I vigneti erano distrutti e da bonificare, perché c’erano delle bombe inesplose. Ricordo che trovammo un carro armato, nella nostra vigna, che poi fu tolto da qualcuno e venduto come ferro vecchio, per racimolare qualche soldo.

        Ricominciammo a piantare le vigne e a ricostruire la nostra casa. Vennero a Lanuvio molti muratori a ricostruire le case distrutte dalla guerra; mancavano però le materie prime per ricostruire le case, perché le fabbriche erano state distrutte. Quelle ancora funzionanti erano molto lontane dal paese.

        I muratori allora, compravano mattoni usati, recuperati dalle abitazioni distrutte. Anche io, con le mie sorelle, raccoglievamo i mattoni interi dalle macerie e li rivendevamo ai muratori, racimolando soldi per vivere.

        La vita era dura perché c’era la razionalizzazione di ogni genere alimentare e non. Ogni cittadino aveva una tessera con la quale poteva acquistare la pasta, il pane, lo zucchero, i detersivi; in una determinata quantità al giorno e non di più. Ricordo che la quantità di pane che mi spettava ogni giorno era 100 grammi, che per la mia fame era sempre poco.

        Questa tessera restò in vigore per qualche mese.

(Testimonianza raccolta da Giorgia)

 

        Mio nonno mi ha raccontato del dopoguerra; in quel periodo viveva a Genzano, la città era piccola con poche case. Si viveva di agricoltura e c’era povertà.

        I bambini, nonostante la guerra fosse finita, non pensavano a giocare. La scuola, che per la guerra era stata sospesa, finiva in quinta elementare.

        Mio nonno ricorda il giorno in cui l’Italia è diventata una repubblica.

        “Quella mattina”, racconta ” Un ragazzo arrivò per comunicarcelo, mentre la gente correva per le strade con i giornali che ne riportavano la notizia”. 

 (Testimonianza raccolta da Federica)

 

      Mia nonna Apollonia ci racconterà del periodo del dopoguerra.

         “Finita la guerra tornammo a Lanuvio, dopo molto tempo passato a Roma, perché più sicura.        

In quel periodo ricominciammo a vivere, anche se in modo molto arrangiato; io con la mia famiglia vivevamo presso l’Istituto Salesiano, in un grande salone dove ogni famiglia aveva uno spazio separato dagli altri con una tenda. Quello che restava di Lanuvio era un paese distrutto.

Lentamente si ricominciava a vivere, mano a mano le case, le strade, il centro e la periferia vennero ricostruiti.

        Gli uomini tornarono a lavorare nei campi, i bambini si incontravano più spesso a giocare con la corda, con la palla, a nascondino e così via.

        Anche quel periodo è stato duro, ma eravamo contenti perché la guerra era finalmente finita.”

(Testimonianza raccolta da Giordano)

 

        E’ sempre mio nonno che mi parla del Dopoguerra:

“Piano piano, quasi tutti i Lanuvini sono rientrati in paese, o meglio quello che restava del paese: un cumulo di macerie. Ognuno si arrangiava come poteva, sfruttando le poche costruzioni rimaste in piedi.

        Io, con la mia famiglia, siamo andati nella nostra cantina che, fortunatamente, era ancora in piedi.

        Nella campagna bombardata di Lanuvio si trovavano armi abbandonate, carri armati, proiettili  e tanti morti.

        I Lanuvini si sono dati da fare a ricostruire case e a ricoltivare la campagna e, con enormi sacrifici, hanno ricominciato a vivere”

(Testimonianza raccolta da Noemi)

 

         Ho chiesto a mio padre, nato a Giovinazzo il 17 agosto del 1954, di raccontarmi come i suoi nonni hanno vissuto il periodo del Dopoguerra.

        “In quel periodo vivevano a Giovinazzo, in provincia di Bari, in via De Tuscolis. Le abitazioni erano molto semplici e non avevano tutti i comfort di oggi. Molte case non avevano neppure l’impianto dell’acqua e le fogne. I rifiuti delle fogne venivano, così, raccolti da un mezzo appropriato trainato da cavalli, chiamato “l’ucaratidde” .

        La piazza del paese non era pavimentata perché vi erano gli accampamenti dell’esercito alleato, cioè gli Americani. Anche la villa comunale era occupata dai mezzi di trasporto degli Alleati.

        Le strade non erano asfaltate e poche erano illuminate; c’erano le fontane dalle quali la gente prendeva l’acqua.

        La periferia non era tanto diversa dal centro del paese. Nel centro storico si svolgeva la vita del paese, con le persone che vivevano in povertà. Le campagne erano coltivate, per poter mantenere le proprie famiglie e non per la vendita dei prodotti al mercato.

        Giovinazzo, essendo un paese di mare, aveva molti pescatori; una parte del pesce serviva per la sussistenza del paese, un’altra parte veniva venduto a basso prezzo.

        Gli uomini presenti in famiglia erano pochi, perché la maggior parte di loro era morta in guerra, altri erano rimasti invalidi, il lavoro scarseggiava per gli uomini rimasti.

        A Giovinazzo vi era un’acciaieria che, durante la guerra, forniva manufatti per le industrie belliche, invece nel  Dopoguerra produceva binari per le ferrovie e materiale di acciaio, per l’agricoltura e l’edilizia.

        Si lavorava come contadini, pescatori, operai edili, nelle acciaierie; pochissimi erano i dipendenti pubblici, gli artigiani e i commercianti.

        Mio nonno Donato era tappezziere ma, a quel tempo, nessuno si faceva tappezzare un salotto, quindi anche lui viveva in povertà, come tutti gli artigiani.

        I bambini giocavano con palle e bambole di pezza, costruivano i monopattini con il legno, cuscinetti derivati da residuati bellici e ruote di bicicletta.

        Non tutti andavano a scuola, pochi arrivavano alla quinta elementare, pochissimi proseguivano fino alle scuole superiori, solo qualche figlio di benestante  si laureava o entrava in seminario.

        Un avvenimento storico che mi è stato spesso raccontato dai miei nonni è stato il referendum del 2 giugno 1946, per la scelta tra la monarchia e la repubblica. Qui, per la prima volta, anche le donne poterono votare.” 

(Testimonianza raccolta da Federica)

 

         Camminando per Lanuvio ho intervistato la mia catechista che si chiama Dina la quale mi ha raccontato fatti interessanti sul Dopoguerra.

        “Ero molto piccola, avevo solo sette anni, vivevo a Lanuvio e la mia famiglia, al contrario delle altre, non ha voluto sfollare a Roma perché volevamo rimanere nel nostro paese e lottare fino all’ultimo.

        Lanuvio era quasi completamente rasa al suolo dai bombardamenti; non esistevano né vie, né case, solo grotte dove ci si riparava.

        Proprio per questo motivo tutti vivevamo in povertà, non avevamo nemmeno un misero pezzo di pane.

        Per avere il cibo ci era stata data una tessera e i bambini che non se la potevano permettere, raccoglievano le briciole da terra, quando la mamma tagliava il pane.

        I lavori erano molto modesti , si lavorava da contadini, muratori, allevatori e i più fortunati erano gli ingegneri e gli architetti che progettavano la ricostruzione di Lanuvio, per farlo tornare un paese modesto e presentabile.

        Anche mio padre faceva l’architetto e, quindi, ce la passavamo abbastanza bene, almeno per quei tempi!

        A Lanuvio tutti conoscevano mio padre ed io me ne vanto perché gli voglio molto bene.

        Ho avuto la fortuna di non lavorare e di avere giocattoli che i miei amici non avevano. Ho sempre prestato le mie bambole e la mia bicicletta, anche perché era più bello giocare in compagnia.

        Ho frequentato la scuola fino alla fine, infatti fino a qualche anno fa ho insegnato proprio nella scuola elementare di Lanuvio”.

(Testimonianza raccolta da Marika)

 

        Ho intervistato mia nonna che si chiama Annunziata. E’ nata il 30 marzo del 1939 e che, pur essendo piccola negli anni del Dopoguerra, ricorda molti particolari riguardanti quel periodo.

        In quegli anni viveva a Lanuvio che, a quei tempi, era in una situazione difficile. Descrive le piazze e le strade distrutte e piene di macerie; i Lanuvini, dopo l’abbandono delle campagne nel periodo della guerra, tornarono a lavorare.

        Gli abitanti di Lanuvio vivevano in povertà e con il “sussidio” per i poveri, una tessera che permetteva di farsi consegnare del pane al forno o dei viveri in un altro negozio.

        Alcuni non avevano né indumenti né scarpe; il pasto era costituito da pane e legumi.     

        Dopo la fine della guerra, l’agricoltura era tornata a essere uno dei mestieri più praticati. Guadagnava, però, soprattutto chi lavorava alla ricostruzione della città e chi raccoglieva ferro vecchio nelle campagne per rivenderlo.

        Per le strade i bambini giocavano a tana, a corda, a mazza e pirolo e a nascondino; frequentavano la scuola fino alla classe quinta.

        Queste le sue parole relative all’avvenimento che ricorda maggiormente:

“Siccome la mia casa non era stata distrutta al contrario di quelle dei miei parenti, offrimmo loro la nostra ospitalità. Dentro la nostra casa c’erano cinque famiglie, con un solo camino per cucinare e un solo bagno. Eravamo costretti a fare dei turni. All’inizio per la necessità e la gioia di stare insieme, tutto è andato bene, poi sono cominciate a nascere incomprensioni.

        Per fortuna le case sono state ricostruite e i nostri parenti sono tornati alle loro case”.

(Testimonianza raccolta da Niccolò)

 

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