Ho
intervistato mia nonna paterna, di nome Dina, che è nata il 2 marzo 1924, a
Lanuvio e mi ha parlato della Seconda guerra mondiale:
“
In quel periodo (anno 1944) le abitazioni erano semplici, non c’era né il
bagno, né l’acqua, che si doveva prendere alle fontane. Ricordo, però, che
avevamo una grande radio che riusciva a captare Radio Londra, dalla quale
ascoltavamo notizie della guerra.
La piazza di
Lanuvio era grande, selciata e c’era una grande chiesa vicino alla casa delle
suore. Le strade erano strette, ci passavano soltanto i muli e qualche
carrettino che trasportava l’uva dalla campagna alle cantine, per farne del
vino da vendere a Roma.
La periferia
non era abitata, né illuminata; la campagna era coltivata a vigneti e uliveti
e, tra i filari, venivano piantati fagioli, ceci, fave, patate, grano, aglio,
cipolle, e così via. Viveva discretamente chi aveva un terreno da coltivare,
chi, invece, era bracciante agricolo nei terreni altrui, viveva in povertà
specie in estate perché nelle vigne non c’era lavoro fino ad ottobre, quando
iniziava la vendemmia.
Noi ragazzi giocavamo fino all’età di quattordici anni circa; i giochi
con cui ci divertivamo erano: a campana, a battimuro, con i bottoni, a palla, a
“tingolo” (nascondino) e, i maschi, anche a “salta montone”.
Io sono andata a scuola fino all’età di dieci anni, ossia fino alla
classe quinta.
L’avvenimento,
di quel periodo, che ricordo maggiormente è lo “Sbarco di Anzio”. Era il 22
gennaio del 1944, la notte si erano sentiti degli spari provenire dal mare. Mio
padre, quella mattina, si doveva recare a Genzano a pagare le tasse, mentre io e
mia sorella Angelina dovevamo andare dalla sarta, sempre a Genzano, per misurare
l’abito da sposa perché mi sarei dovuta sposare il 20 febbraio (matrimonio
che fu poi rimandato di dieci anni).
Mio fratello e il mio fidanzato, quel giorno, andarono alla nostra vigna
che si trovava vicino alla ferrovia di Campoleone; il tutto contro il parere di
mia madre, che la notte precedente aveva sentito molti spari e riteneva fosse
pericoloso andarci. Mentre stavano andando in campagna, incontrarono per strada
persone che,
con delle pecore, scappavano verso Lanuvio e dicevano che, ad Anzio, erano
sbarcati gli Americani (cosa che, poi, risultò vera). Poco dopo gli Americani
bombardarono la linea ferroviaria sulla quale c’era un treno fermo. Forse
credevano che sul quel treno fermo ci fossero i Tedeschi.
Mio fratello ed il mio fidanzato, per poco non vennero colpiti dai
bombardamenti; mentre scappavano rimasero impigliati al filo di ferro dei
filari, a causa di un attrezzo che portavano alla cintola per appendere la
sterra (spatola per togliere il fango dagli stivali). Fu una vera fortuna per
loro perché, poco più avanti,caddero delle schegge di ferro che li avrebbero
colpiti, se
non si fossero impigliati al filare. Tornarono a Lanuvio con il mulo perché il
carretto era stato ricoperto dalla terra, a seguito dello scoppio.
Il sindaco dette ordine di sfollare ma noi non ce ne andammo perché
avevamo le vigne, il vino, le nostre case, e non le volevamo lasciare. Ma il 20
febbraio, a causa di un altro bombardamento, durante il quale morirono circa
duecento persone che si erano rifugiate nelle grotte di Lanuvio, decidemmo di
abbandonare il paese e andammo a Roma, a casa di una mia sorella sposata.
Portammo con noi grano, olio, fagioli, vestiti, biancheria e quanto più
potevamo portare.
Mio padre faceva la spola tra Roma e Lanuvio per prendere il vino che poi
rivendeva ad un magazzino di Roma. In uno dei suoi viaggi, a Lanuvio, incontrò,
nelle vicinanze della sua cantina, un gruppo di Tedeschi che cercava qualcosa da
bere e, precisamente il “punch”. Mio padre, impaurito, non capiva il
significato di questa parola e offrì loro del vino caldo, sperando che fosse la
bevanda da loro richiesta. Il vino fu di loro gradimento anche perché mio padre
era un maestro nel vinificare. Gli aveva offerto un vino di ottima qualità, il
moscato.
Forse quei ragazzi, infreddoliti, bevvero più del dovuto perché, quando
uscirono dalla cantina, barcollavano ed uno di loro dimenticò un cannocchiale
che io custodisco ancora gelosamente.
Restammo per cinque anni a Roma perché mio padre aprì una rivendita di
vino ed olio.
Tornammo a Lanuvio nel 1950, quando già Lanuvio era in parte
ricostruita.”
(Testimonianza
raccolta da Giorgia)