Mia nonna è nata a Lanuvio il 5 dicembre del 1916.
“In tempo di guerra abitavo in una casa che aveva quattro anni, con mio
marito e due figli. Nel gennaio del 1942 mio marito fu chiamato alle armi e
mandato in Sardegna. Mi ritrovai sola con due figli.
Quando bombardavano, una famiglia, che mi abitava vicino, correva sempre
in mio aiuto, portando i miei due figli nelle grotte.
Un giorno mio figlio si ammalò e così mio marito fu mandato in licenza
per cinque giorni. Finita la licenza lo accompagnai a Civitavecchia, poiché da
lì ci si doveva imbarcare per la Sardegna. Proprio quel giorno fu firmato
l’armistizio e così non partì
più. Si vestì da borghese e si mise in cammino verso casa, passando per boschi
e vigne, per paura che lo prendessero i Tedeschi. A mezzogiorno era ritornato a
casa.
Durante i bombardamenti ci eravamo rifugiati in una grotta con un’altra
famiglia. Dopo qualche giorno che stavamo lì, una bomba colpì la grotta dove
ci eravamo rifugiati. Noi ci salvammo, ma
la famiglia che stava con noi fu colpita in pieno e rimase sotto le macerie.
Solo la madre di famiglia aveva la testa fuori e teneva ancora per mano la
figlia. Gridava perché sentiva che la sua mano diventava sempre più gelata.
Riuscimmo a tirar fuori la madre ma per la bambina e il padre non ci fu niente
da fare.
Dopo pochi giorni, esattamente il 17 febbraio 1944, Lanuvio fu colpita da
un bombardamento ancora più forte. Morirono moltissime persone e tra questi
anche mio fratello, mia cognata e due nipotini di 10 e 7 anni.
Noi nel frattempo, eravamo andati a Roma e vivevamo in una camera e cucina
affittate da una signora che viveva con noi. La signora aveva il marito militare
e due figli della stessa età dei miei bambini.
Tutti i giorni, all’ora di pranzo, ci mettevamo seduti e la figlia
della signora correva sempre in braccio a mio marito, Forse perché vedeva in
lui la figura del padre.
Un giorno mio marito uscì ma fu preso dai Tedeschi che lo misero su un
camion dove c’erano già altri dieci uomini. I Tedeschi scesero dal camion per
prendere altri due uomini che, però appena li videro, scapparono.
Qualche giorno dopo a Roma arrivarono gli Americani e i Tedeschi
fuggirono. Mio marito era libero e ricorda che vide in una villa
un bel cavallo che alcuni Tedeschi cercavano di prendere. Alla loro
vista, il cavallo si gettò per terra e non ci fu modo per i Tedeschi di farlo
rialzare. Quando si arresero e se ne andarono, il cavallo si rialzò.
Finita la guerra mio marito tornò a lavorare nei campi, c’era da
mietere il grano ma non si potevano usare le macchine perché c’era il
pericolo delle mine. Mentre passava per i campi vedeva spesso gli Americani
morti distesi a terra, senza
scarpe e senza orologio.
In quel periodo si viveva in povertà, non c’erano case, i campi erano
abbandonati, la gente era senza lavoro.
Dove prima c’era la nostra casa, ora c’erano solo macerie, così
fummo costretti ad andare a vivere dalla madre di mio marito, una casa con una
camera e una cucina. Ci siamo stati per circa tre mesi, poi abbiamo preso una
casa in affitto, anche questa abbastanza diroccata. Ma c’era gente che stava
peggio di noi, viveva in capanne o in baracche.
Le strade di campagna erano strette e con molte buche, invece nel centro
storico c’erano strade con dei selci molto grandi. La strada di Santa Maria
della Pace, che oggi è asfaltata, a quei tempi era selciata.
I bambini frequentavano la scuola fino alla quinta elementare e
utilizzavano giochi molto semplici tra cui: la corda, bambole di pezza, ecc.
(Testimonianza
raccolta da Ilaria)