Balbo Italo, nato a Ferrara il 6
giugno 1896. Giornalista, laureato in scienze sociali, capitano degli alpini
(grado conseguito per meriti di guerra), due medaglie d'argento e una di bronzo
nella Grande Guerra. Quadrunviro nella Marcia su Roma, a soli ventisette anni è
nominato comandante generale della Milizia Volontaria per la Sicurezza
Nazionale, due anni dopo sottosegretario all'economia nazionale. Nel novembre
del 1926 diviene sottosegretario per l'aeronautica e da allora si dedica, con
frenetico attivismo, allo sviluppo dell'arma aerea. Protagonista dal 1928 al
1933 di spettacolari crociere aeree che lo rendono famoso e ammirato nel mondo,
è nominato in quegli anni generale di squadra aerea, poi ministro
dell'aeronautica, Maresciallo dell'Aria e viene insignito di medaglia
d'oro.
Balbo, ambizioso, grande
organizzatore, coraggioso, intelligente, fu senza dubbio il più brillante tra i
giovani brillanti di cui il Duce si era circondato. La sua nomina, il 26
novembre del 1933, a Governatore della Libia, fu la conseguenza proprio della
sua popolarità, divenuta eccessiva. Il Duce non amava avere vicino personaggi
dotati di personalità troppo spiccata e la Quarta Sponda era il luogo ideale in
cui relegare, peraltro con onore, un uomo che rischiava di far ombra al
Capo. Non intendiamo proporre ai nostri
lettori un'approfondita biografia del Ras di Ferrara. Ma non si può non
conoscerne, almeno a grandi linee, la figura se si vuole studiare quel fenomeno
che avrebbe preso il nome di balbismo e che avrebbe determinato, nel bene come
nel male, le vicende della nostra aeronautica, non solo negli anni in cui l'Arma
Azzurra fu ai diretti comandi di Balbo, ma anche negli anni successivi e
soprattutto nelle due prove più drammatiche: la guerra di Spagna e la seconda
guerra mondiale. La guerra è una sporca faccenda, e la
cosa migliore sarebbe non farla mai. Ma poiché esiste, e fa purtroppo parte
della storia degli uomini, è senza dubbio dovere di chi la decide, la guida, la
organizza, cercare di farla nel più efficace dei modi, per farla durare il meno
possibile, per ottenere i maggiori risultati possibili e per non mandare al
massacro inutilmente i propri uomini. Il velivolo da caccia Fiat C.R. 42
Falco, era un ottimo apparecchio, dotato di manovrabilità e capacità acrobatiche
non comuni. Potenziato da un motore Fiat a 14 cilindri radiali da 840 HP,
sviluppava una velocità massima di 430 km/h alla quota di 5.000 metri; aveva una
tangenza (quota massima operativa) di 10.500 metri, ed era armato con due
mitragliatrici Breda cal. 12,7. Aveva però alcuni difetti: era un biplano nel
quale il pilota viaggiava ancora allo scoperto; di conseguenza, la tangenza di
10.500 metri era puramente teorica, perché è un po' difficile respirare a quelle
quote; era totalmente privo di corazzature; era inferiore per velocità agli
altri caccia che le nazioni più tecnicamente progredite stavano producendo. Ma
con tutti questi difetti, i nostri piloti impegnati nei cieli di Spagna durante
la guerra civile, non potevano neanche lamentarsi troppo quando ricevettero,
nell'estate del 1938, i primi C.R. 42, perché questo aereo rappresentava un
miglioramento rispetto al Fiat C.R. 32, che sviluppava una velocità massima di
soli 375 km/h. Né l'uno né l'altro aereo erano dotati di apparecchiature
ricetrasmittenti e le comunicazioni tra il comandante della formazione in volo e
gli altri piloti avvenivano a vista, secondo codici di segnalazione. Senza radio a bordo, senza
corazzature, senza una cabina chiusa, con scarso armamento, i nostri piloti
combattevano in Spagna in condizioni di poco dissimili da quelle della Grande
Guerra. Proprio la mancanza di difese passive sull'apparecchio fu la causa del
grave incidente occorso al capitano Ernesto Botto che il 12 ottobre del 1937, ai
comandi di un C.R. 32 sui cieli di Saragozza, ebbe uno scontro con un caccia
sovietico: un proiettile sparato da quest'ultimo perforò la carlinga dell'aereo
italiano e spappolò la gamba destra del capitano, che tuttavia riuscì ad
abbattere l'apparecchio avversario, rientrando poi alla base semi svenuto per il
dolore e per la copiosa emorragia. Al capitano Botto, che per questa azione fu
decorato di medaglia d'oro, fu necessario amputare la gamba destra; in suo onore
la 32° Squadriglia Caccia prese il nome di Gamba di Ferro. Questo episodio non è che uno tra i
molti che videro i nostri piloti gettati allo sbaraglio nei cieli di Spagna. Ma
quella guerra civile fu per altri paesi il banco di prova per rammodernare i
propri armamenti: i tedeschi, ad esempio, entrati nel conflitto con gli
antiquati biplani He 51, già nel 1937 esordirono nei cieli spagnoli con le prime
versioni del Messerschmitt BF 109, monoplano ad abitacolo chiuso e carrello
retrattile, dotato di motore lineare che permetteva velocità superiori ai 500
km/h, armato con quattro mitragliatrici (contro le due dei nostri apparecchi).
Gli insegnamenti della guerra di Spagna non giovarono invece alla nostra
aeronautica, che di lì a poco, come vedremo, avrebbe affrontato anche il secondo
conflitto mondiale avendo come armamento principale il coraggio dei
piloti. Ma eravamo partiti parlando di Italo
Balbo e della sua spettacolosa carriera ai vertici dell'aeronautica (il grado di
Maresciallo dell'aria fu creato per lui da Mussolini). Una carriera immeritata?
Come si conciliano tanti onori con il quadro di impreparazione che fu
drammaticamente svelato dai successivi eventi militari? Ma come si spiega anche
la popolarità conquistata all'estero da Balbo? Probabilmente la risposta sta in
quel fenomeno di cui accennavamo in apertura e che chiamavamo balbismo, un
fenomeno che fu profondamente fascista e italiano e del quale sarebbe ingiusto
voler vedere solo il male, anche se i risultati del balbismo furono peraltro,
sulla lunga distanza, disastrosi. Il 24 gennaio 1923 Mussolini crea il
Commissariato per l'Aeronautica, attribuendosene la direzione ed affidandolo, de
facto, al vicecommissario Aldo Finzi, sottosegretario agli Interni, un fascista
della prima ora fedelissimo e dinamico. Finzi brucia le tappe e il 28 marzo di
quell'anno nasce il corpo della Regia Aeronautica, arma indipendente, con
propria divisa, gradi e ruoli. La decisione provoca qualche brontolio tra gli
alti papaveri di Esercito e Marina, che consideravano l'aeroplano un semplice
supporto dei rispettivi domini, terrestre e navale. Ma si tratta di piccole
beghe corporative; ammiragli e generali facevano già quadrato col Duce, e poi
questa nuova arma non poteva davvero costituire un pericolo per le loro fette di
potere, disponendo solo di una settantina di apparecchi. Mussolini e Finzi avevano però dei
piani di sviluppo ben precisi, molto graditi anche all'industria che, dopo la
stasi conseguente alla fine della guerra, vedeva risorgere il business delle
commesse militari. E infatti quando il Duce, il 4 novembre 1923, consegna alla
neonata forza la sua bandiera, sul campo di Centocelle si trovano schierati ben
trecento apparecchi. La veloce crescita dell'Aeronautica, che potrebbe ridare
fiato ai mugugni degli alti ufficiali di Esercito e Marina, ha però come
contraltare una scelta felice: la nomina a capo di stato maggiore del generale
dell'esercito Pier Ruggiero Piccio, medaglia d'oro, asso della prima guerra
mondiale, che aveva diviso col grande Baracca il titolo di miglior cacciatore
dei cieli italiani. Insomma, l'Aeronautica è un'Arma autonoma, ma il suo
collegamento con uno dei miti dell'esercito è uno dei molti esempi della
politica mussoliniana, fatta di mille equilibri e compromessi. Del resto il Duce
non poteva permettersi di alienarsi la simpatia delle Forze Armate, perché
l'appoggio di queste voleva dire anche l'appoggio del Re e della complessa casta
di potere che faceva capo a Casa Savoia. E proprio Finzi, troppo dinamico e
intraprendente per la mentalità burocratica degli alti gradi delle Forze Armate,
sarà la vittima sacrificale in questo gioco di equilibri. La crisi susseguente
al delitto Matteotti è l'occasione per Mussolini per disfarsi del fedelissimo
vicecommissario, implicato, nella sua qualità di sottosegretario all'interno,
nell'omicidio del deputato socialista. Nuovo vicecommissario viene nominato
il generale di artiglieria Alberto Bonzani, un piemontese metodico che non
indosserà mai la nuova divisa azzurra e che presto entrerà in conflitto con i
molti piloti, provenienti dall'esercito e da lui stesso richiamati in servizio
in Aeronautica. E si trattava di un conflitto insanabile perché i piloti, in
particolare la medaglia d'oro Antonio Locatelli, copilota con D'Annunzio nel
famoso volo su Vienna, rappresentavano la voglia di nuovo, con quell'impeto e
quell'irruenza non dissimile da quella che caratterizzava i reparti di arditi,
in contrapposizione al conservatorismo del loro comandante. Queste teste matte
non potevano andar d'accordo con il loro burocratico generale che, tra l'altro,
non era pilota né manifestava alcuna intenzione di divenirlo. Comunque sotto la
gestione di Bonzani l'Aeronautica prese la sua prima struttura organica con la
creazione dell'Accademia di Livorno, l'arrivo dei nuovi velivoli, fino alla
costituzione del ministero per l'Aeronautica, che sostituiva il transitorio
commissariato. Mussolini ovviamente assumeva la
guida del nuovo ministero, lasciando a Bonzani il sottosegretariato. E in quegli
anni iniziava a manifestarsi, né Bonzani lo ostacolava, il germe tipico
dell'Arma, comune peraltro alle aviazioni di tutto il mondo: la ricerca
spasmodica dei record, dei voli sensazionali, delle prestazioni sempre più
clamorose, anche per scuotere un mondo politico ancora sospettoso, o perlomeno
indifferente, verso quella che per molti era ancora una novità. Ma questa
frenesia di primati era anche l'espressione dello spirito che animava i primi
piloti, un misto di sprezzo del pericolo, arditismo, spavalderia, passione. Il
pilota d'aeroplano diveniva in quegli anni anche una figura letteraria, seppur
di letteratura minore, protagonista di storie in cui c'era sempre una fanciulla
che sospirava al pensiero di lui, elegante nella divisa azzurra, baffetti, con
lo sguardo perso verso orizzonti così lontani da poter essere solo sognati. Nel
maggio del 1925 Mario De Bernardi conquista il primo record significativo, con
un caccia Fiat, toccando la media di 254 km/h su circuito di 500 km. E' del mese
successivo un raid di bombardieri Fiat, capeggiati da Arturo Ferrarin, che
volano da Roma a Londra, con tappe a Parigi e Bruxelles. Ma sarà un giovane e impetuoso
ufficiale di marina a stupire ed entusiasmare l'opinione pubblica e ad attirare
definitivamente l'attenzione di Mussolini sull'aeronautica. Francesco De Pinedo,
di aristocratica famiglia napoletana, era tenente di vascello durante la grande
guerra. Nel 1917, affascinato dal nuovo mezzo bellico, aveva preso il brevetto
di volo in soli quarantacinque giorni e subito si era messo in luce per le sue
capacità aviatorie. Dopo la guerra era stato per qualche tempo comandante dello
yacht reale, ma un'eccessiva confidenza con una delle figlie del Re, Giovanna,
(che sposerà poi Re Boris di Bulgaria) aveva posto bruscamente fine a
quest'incarico. De Pinedo non se ne dolse troppo: era un comando di prestigio,
ma alla lunga monotono per un uomo come lui, smanioso di azione. E quale Arma
poteva soddisfare questa smania meglio della nuovissima e avveniristica Arma
Azzurra, dove, oltretutto, le carriere erano più veloci che altrove? Nel 1924, a soli trentaquattro anni,
De Pinedo diventa tenente colonnello di aeronautica, con l'incarico di capo di
Stato maggiore del comando generale. Ma era un incarico intriso di scartoffie e
polvere: l'ex marinaio aveva in mente ben altro e il generale Bonzani inizia ad
essere bombardato dal suo collaboratore che progetta un raid aereo di ben 55.000
chilometri: da Roma a Tokio, passando per l'Australia, e relativo ritorno. De
Pinedo tiene duro contro l'iniziale muro di incomprensioni, ostruzionismi e
mancanza di fondi. Muove tutte le sue altolocate amicizie e alla fine il
generale Bonzani deve cedere. De Pinedo non improvvisa; prepara scrupolosamente
l'impresa, scegliendo come compagno di viaggio un tecnico esperto, il
maresciallo motorista Ernesto Campanelli. Il viaggio è studiato miglio per
miglio, De Pinedo si immerge anche negli studi meteorologici, dovendo il volo
attraversare continenti dai climi così diversi e impegnativi. Finalmente il 20
aprile 1925 dalle acque del Lago Maggiore si alza in volo l'idrovolante SIAI
Savoia S.16 ter, munito di motore Lorraine da 450 HP. De Pinedo e Campanelli,
vincendo mille difficoltà e rischiando spesso la vita, iniziano un viaggio che,
per quei tempi, aveva del formidabile. Bandar Abbas, Karachi, Bombay, e poi,
alle ore 15 del 9 giugno, l'idrovolante si posa sulle acque di Melbourne,
davanti a una folla di decine di migliaia di australiani entusiasti: era il
terzo velivolo che giungeva dall'Europa, ma gli altri due avevano compiuto il
viaggio in tempi molto più lunghi. Il 26 settembre il Savoia S. 16
ter dei due ardimentosi tocca le acque di Tokio, dopo una sosta forzata a
Manila, bloccati dai tifoni, e una sostituzione del motore. Il 7 novembre, alle
ore 15,10, il ritorno trionfale a Roma: l'idrovolante si poggia sulle acque del
Tevere e anche i flemmatici romani si fanno travolgere dall'entusiasmo. Tra i
primi ad abbracciare De Pinedo e Campanelli c'era lo stesso Mussolini. Il Duce
si stava convincendo sempre più che quelle gare di ardimenti e di primati
avrebbero attirato al regime il consenso entusiasta di milioni di italiani, in
Italia e all'estero. Inoltre l'Arma Azzurra si mostrava la più rispondente a
quegli ideali di vitalismo e dinamicità propri del primo fascismo; era l'Arma
che poteva smuovere l'indolenza del popolo italiano. Il 6 novembre del 1926
Italo Balbo veniva nominato sottosegretario dell'Aeronautica. Il giorno prima il
generale Bonzani aveva ricevuto una cordiale lettera di benservito dal Duce. Il
1926 era stato l'anno in cui Mussolini aveva conquistato definitivamente lo
Stato, sapendo approfittare astutamente del delitto Matteotti, favorito dalla
pochezza dell'opposizione aventiniana. Le leggi liberticide seguite
all'aggressivo discorso alla Camera del 3 gennaio 1926 avevano tolto gli ultimi
ostacoli all'instaurazione del regime. Ora un Duce rinfrancato poteva dedicarsi
con rinnovato vigore alla fascistizzazione del paese; ma Mussolini era troppo
intelligente per non ricordare i debiti di riconoscenza che aveva,
principalmente verso Casa Savoia e verso le Forze Armate, che lo avevano
appoggiato nei difficili mesi della crisi seguita all'uccisione di Matteotti. Ma
l'aperto appoggio di Mussolini alle alte cariche militari, con l'istituzione del
ruolo di Maresciallo e con la nomina di Badoglio a capo di stato maggiore
generale, aveva anche ridato voce all'avversione, mai sopita, dei vari ras del
fascismo contro l'esercito monarchico. Era necessario quindi dare una
soddisfazione anche al partito. E l'Arma Azzurra, già apprezzata come ottimo
veicolo di propaganda dopo le imprese di De Pinedo aveva il vantaggio di essere
nuova, di non avere tradizioni, di contare nei suoi ranghi già molti di quegli
entusiasti (o sfrenati) che si riconoscevano nel dinamismo
fascista. Mancava solo un capo fascista
all'Arma, e la scelta di Balbo fu felice non solo per le indubbie qualità
dell'uomo, ma anche perché liberava Mussolini da un'altra preoccupazione: Balbo
libero nel suo feudo di Ferrara era un elemento troppo centrifugo; viceversa,
ora doveva incanalare le sue esuberanti energie in un compito istituzionale,
così impegnativo che non gli avrebbe più lasciato il tempo per occuparsi
d'altro. Italo Balbo si gettò con entusiasmo nel nuovo incarico, che avrebbe
fatto tremare vene e polsi a chiunque. L'Arma ereditata dal generale Bonzani era
nuova, ancora alquanto povera di bilanci, ma premuta da molteplici esigenze,
quali il rinnovo del parco velivoli, gli impegni connessi alla conquista di
record, ma anche l'esigenza di divenire uno strumento bellico a tutti gli
effetti. L'aeronautica non aveva una sua
dottrina militare, ma come arma fascista per eccellenza doveva comunque
brillare. E Balbo mise mano a questa congerie di problemi, dando vita negli anni
a quel balbismo di cui vedremo ora le caratteristiche. Ma prima di tutto, appena
giunto al vertice dell'Arma, non fece l'errore del suo predecessore e prese
subito il brevetto di pilota. Giulio Douhet, ufficiale di artiglieria, era uno
dei pochi veri talenti teorici delle Forze Armate. Grande sostenitore dell'arma
aerea e della sua autonomia, aveva pubblicato nel 1921 un volumetto, Il dominio
dell'aria, nel quale rivendicava per l'aereo un ruolo decisivo nella guerra
futura. Balbo, come tutti i principali leader fascisti, non amava le teorie, ma
si scoprì sostenitore del Douhet per affrontare la sua prima battaglia, quella
dell'autonomia anche operativa dell'aeronautica, che non poteva in alcun modo
essere assoggettata alle altre forze armate e quindi doveva prepararsi a una sua
guerra. Da questo postulato derivavano
conseguenze pratiche: più ampi stanziamenti di bilancio e il divieto per la
Marina e l'Esercito di disporre di propri reparti aerei. Insomma Balbo, giunto
al potere, iniziava a lavorare per consolidarlo, ma nella rivendicazione della
unicità dell'aviazione avrebbe avuto comunque il sostegno mussoliniano. Fu da
questi concetti che nacque il divieto per la Marina di dotarsi di navi
portaerei, e le conseguenze di questa decisione si sarebbero a suo tempo viste,
quando nel secondo conflitto mondiale i nostri convogli per la Libia subirono i
continui attacchi della flotta inglese, che trovava facili bersagli in navi
scarsamente armate e mal protette da una forza aerea indipendente che
interveniva quando e come poteva. Insomma, le teorie di Douhet erano
strumentalizzate per puri fini di potere e la prova migliore la diede lo stesso
Balbo che alla Camera ammise tranquillamente (23 marzo del 1928) che
l'aeronautica "non aveva una vera e propria dottrina di guerra fissata in canoni
rigidi e immutabili". Ma il sottosegretario non aveva alcun interesse ad
elaborare una dottrina, che lo avrebbe comunque costretto a scelte strategiche e
quindi produttive, che non era in grado di imporre ad industriali intenti a
procurasi commesse sul più vasto ed eterogeneo ventaglio di velivoli. In
concreto l'Aeronautica di Balbo continuava a svilupparsi in modo caotico,
privilegiando sia bombardieri che caccia, con una particolare preferenza per gli
idrovolanti. E prima di continuare la narrazione,
vorremmo fare un inciso che ci sembra essenziale. C'è un fatto che colpisce non
poco lo studioso di storia, ed è il seguente: Mussolini era un dittatore e
questo vorrebbe dire, almeno in teoria, che concentrava nelle sue mani il
Potere. Più concretamente la storia nel periodo fascista è fatta di una miriade
di poteri, più o meno piccoli, a seconda della loro consistenza oggettiva e
dello spessore dei personaggi, che ruotavano attorno al grande potere
mussoliniano. E' pur vero che il Duce era sempre
attento a stroncare i piccoli poteri che stessero divenendo troppo grandi e
potessero quindi costituire una minaccia per lui stesso; né Balbo fu esente da
questa regola. Ma è altrettanto vero che la rincorsa al potere personale, anche
del tutto slegato dalle esigenze politiche organiche, fu l'attività che
maggiormente impegnò per anni non solo i vertici del partito, ma anche quelli
delle forze armate. Le mille lotte personali che caratterizzarono il periodo
fascista (favorite anche dall'inevitabile antagonismo tra una nuova classe
rivoluzionaria - quella dei Grandi, dei Balbo, dei Bottai - e una vecchia classe
di potere monarchico e militare) erano spesso favorite dal Duce, quando si
concretavano nell'eliminazione di personaggi scomodi o decotti. Mussolini (che
collezionava fascicoli della polizia su tutti i gerarchi) seguiva una politica
che era di fatto un continuo gioco di equilibri; ma chi oggi vinceva nello
scontro, perché ritenuto dal Duce più utile, non per questo si garantiva il
domani. Questo modus agendi, calato in una realtà delicata come quella della
preparazione militare di un paese, si può definire addirittura criminale: per
restare nel nostro tema aeronautico, vedevamo in apertura come l'aviazione
militare italiana si presentò arretrata e disorganizzata sul drammatico teatro
dell'Europa scossa dai venti di guerra alla fine degli anni trenta. Eppure all'Arma Azzurra non mancavano
certo, oltre al sottosegretario Balbo, le personalità capaci e di spicco che
avrebbero potuto fare dell'aeronautica un organismo militare efficiente. Ma il
balbismo imponeva un'attività frenetica di conquista di primati e di prestigio
che metteva in secondo piano tutto il resto. Francesco De Pinedo, il Re delle
distanze, veniva spinto da Balbo e dallo stesso Mussolini a intraprendere
un'altra spettacolare crociera individuale. Si era alla fine del 1926 e mentre
Lindbergh si apprestava alla traversata atlantica solitaria, De Pinedo metteva a
punto un piano molto ambizioso: l'attraversamento dell'Atlantico dall'Africa al
Sud America, seguito dal passaggio sopra l'intero territorio degli Stati Uniti e
dal riattraversamento dell'Atlantico con rotta verso l'Europa. L'aereo prescelto fu un idrovolante
monoplano SIAI S.55, potenziato con una coppia di motori Asso in tandem, da 500
HP. Gli scafi di galleggiamento sarebbero stati riempiti di benzina e di
lubrificante per aumentare al massimo l'autonomia. L'aereo, con De Pinedo ai
comandi, motorista Vitale Zacchetti, tecnico della Isotta Fraschini, e secondo
pilota il capitano Carlo Del Prete, si alza in volo l'8 febbraio del 1927
dall'idroscalo di Elmas, in Sardegna. L'impresa si concluderà, superati mille
pericoli e difficoltà, il 16 giugno, con l'ammaraggio al Lido di Ostia e gli
abbracci di Mussolini, del Maresciallo Diaz, di Balbo e della Duchessa di Aosta.
Era l'apoteosi per De Pinedo, eroe solitario dell'aria; ma proprio le peripezie
di quest'ultima impresa spinsero Balbo a cambiare politica circa i raid: non più
imprese individuali, affidate al coraggio e alla buona sorte, ma spettacolari
viaggi di numerosi apparecchi militari, sorretti da una preparazione oculata e
metodica. Balbo mirava a fondere l'impresa sportiva con una dimostrazione di
alta efficienza bellica: un'iniziativa che non poteva che trovare il consenso
del Duce.
Dal 25 maggio al 2 giugno 1928 ben 60
idrovolanti militari tra S.59 (biplano biposto con motore da 500 HP), e S. 55,
più un Cant 22, adibito al trasporto di autorità e giornalisti, percorsero in
sei impegnative tappe i cieli del sud della Francia e della Spagna, sorretti
dall'appoggio di due cacciatorpediniere; navi ed aerei erano in costante
contatto radio. Il Duce, entusiasta di questa possente manifestazione, volle
andare personalmente ad Orbetello, accompagnato da Balbo (per l'occasione in
divisa di generale della Milizia) per felicitarsi con gli equipaggi. E
iniziarono le frizioni tra De Pinedo (che si considerava, e lo era, il vero
artefice del raid) e Balbo, che per l'impresa ricevette da Mussolini la nomina a
generale di squadra aerea. Era una nomina chiaramente politica, attribuita ad un
uomo che poteva vantare solo il grado di capitano di complemento degli alpini, e
che voleva sottolineare il carattere più politico che militare della clamorosa
manifestazione aerea, che era e doveva restare fascista. A De Pinedo venne dato il premio di
consolazione: il conferimento del marchesato di casa Savoia e la nomina a
generale di divisione aerea. Ma De Pinedo aveva iniziato a mettere il dito nella
piaga, con critiche che coglievano nel segno: la frenesia dei raid spettacolari
distraeva fondi enormi, privilegiava l'addestramento di pochi nuclei di piloti e
spingeva il ministero a sperimentazioni continue sui più diversi tipi di aerei,
con grande gioia delle industrie produttrici, ma a tutto danno di un'equilibrata
preparazione ed organizzazione dell'arma. La polemica era così viva che Balbo
dovette imperativamente imporre a De Pinedo la partecipazione al successivo
raid: 41 aerei (di cui 37 idrovolanti SIAI S. 55), decollando da Orbetello il 5
giugno 1929, sorvolarono Grecia, Turchia, Bulgaria, Romania, con scalo finale a
Odessa, in URSS. Il 19 giugno avvenne lo spettacolare rientro della formazione
serrata sui cieli di Orbetello; il 21 giugno ai complimenti del Duce si
aggiunsero quelli del Re. Ormai il balbismo, sanzionato anche
da Vittorio Emanuele III, si è completamente affermato: De Pinedo si dimette e
Mussolini è ben contento di accogliere le dimissioni di un uomo ormai
considerato come un rompiscatole, non in grado di comprendere le necessità del
regime. Il 12 settembre del 1929 Balbo diventa ministro dell'Aeronautica: il
Duce aveva deciso di disfarsi della titolarità dei ministeri militari, ormai
sicuro della fedeltà delle Forze Armate. Nella sua frenetica attività il neo
ministro non aveva solo organizzato raid collettivi; aveva dato vita anche a
nuovi organismi: il centro studi di Montecelio, diretto dall'ingegner Guidoni,
che avrebbe dovuto, almeno in teoria, coordinare e promuovere lo sviluppo
aeronautico, sino ad allora rimasto in mano alle case costruttrici, e la scuola
di Alta velocità, a Desenzano del Garda. In particolare quest'ultimo organismo
coinvolse praticamente tutte le ditte impegnate nel settore aeronautico (Macchi,
Fiat, SIAI; Piaggio, Caproni ed altre minori) nello studio di motori e carlinghe
particolarmente adatti alle alte velocità. Da questo centro sarebbero usciti
primatisti come il maresciallo Francesco Agello che il 23 ottobre 1934 avrebbe
portato un idrovolante Castoldi MC72 con motore Fiat alla velocità di 711 km/h.
E proprio la Scuola di Alta velocità è uno degli esempi migliori delle
contraddizioni del balbismo: i rilevanti risultati scientifici e tecnici non si
trasfusero mai in miglioramenti nella complessiva dotazione aerea del paese,
quasi che piloti, tecnici e scienziati lavorassero per conquistare primati fini
a sé stessi. Ma un altro effetto grave derivava da ciò: il trionfo
dell'apparenza. L'effetto spettacolare dei raid e i successi personali di grandi
piloti (ricordiamo, oltre ad Agello, Ferrarin, De Bernardi, Maddalena, Del
Prete) facevano maturare la convinzione di un'arma aerea efficiente e poderosa.
Ma la realtà era ben più misera, era quella denunciata da De Pinedo: aerei da
caccia e bombardieri con velocità limitate, un parco di veicoli da combattimenti
indietro di almeno una diecina d'anni. Ma tutto ciò non preoccupava granché
il regime, che preparava un'altra spettacolare impresa: la trasvolata atlantica
con uno stormo di idrovolanti. Nei 32 tentativi di voli oceanici fino a quel
momento effettuati nel mondo, avevano trovato la morte ben 22 piloti. Era quindi
un traguardo con cui l'Aeronautica fascista non poteva non misurarsi, e a questo
traguardo Balbo si preparò con assoluta meticolosità. I piloti, selezionati tra
i migliori, frequentarono la scuola di Navigazione Aerea d'Alto Mare, diretta
dal maggiore Ulisse Longo. Vennero addestrati al volo cieco e alla pratica delle
comunicazioni radio. Dopo un intenso addestramento, il 17 dicembre 1930
decollarono da Orbetello dodici idrovolanti S. 55 adattati per il volo oceanico,
con l'appoggio di cinque cacciatorpediniere. Superando non poche difficoltà,
dovute al cattivo funzionamento dei motori Fiat, undici aerei riuscirono, il 15
gennaio 1931, ad ammarare a Rio de Janeiro, dopo aver percorso diecimila
chilometri. Era la prima volta che una formazione aerea attraversava l'Atlantico
e i trasvolatori ricevettero all'arrivo il telegramma di congratulazioni di
Mussolini, che salutava "un pugno di uomini, figli della nuova Italia". Balbo,
sempre più lanciato, mette allo studio nientemeno che un giro del mondo, da
effettuarsi nel 1932, nel quadro delle manifestazioni per la celebrazione del
decennale della Marcia su Roma. Ma la guerra cino - giapponese (che
preclude i cieli dell'estremo oriente) e l'arrivo dell'onda lunga della
recessione americana (che poneva seri problemi a tutti i bilanci) fanno
accantonare il faraonico progetto; o meglio, convincono l'instancabile Ministro
dell'aeronautica a ripiegare su un più modesto raid Orbetello - Chicago - New
York - Ostia. Mussolini, che incomincia a nutrire dubbi sul frenetico attivismo
del suo ministro, approva però questo progetto e Balbo può dare il via ad
un'altra grandiosa organizzazione. Lungo il percorso saranno dislocate sei
baleniere, due vedette e due sommergibili. Tre stazioni meteorologiche,
appositamente allestite in Groenlandia, avrebbero fornito agli equipaggi, via
radio, i bollettini necessari. Il 7 luglio 1933 decollano da Orbetello
venticinque S. 55, muniti questa volta di due motori Isotta Fraschini da 930 HP.
Il sorvolo delle Alpi in formazione serrata da parte di un così rilevante numero
di idrovolanti è già in sé un successo. Le tappe successive sono in Islanda,
in Canada, per ammarare infine a Chicago e successivamente a New York. Il 21
luglio a Balbo e ai suoi piloti viene riservato il trionfo di Broadway: sulle
auto scoperte i trasvolatori ricevono l'applauso della folla assiepata, mentre
milioni di strisce di carta piovono dalle finestre. Balbo stava entrando nella
leggenda e Mussolini lo premia col grado di Maresciallo dell'aria e con un
trionfo in stile romano. Ma il successo eccezionale ha fatto perdere a Balbo il
senso della misura. Giunge a Mussolini una lettera, in cui il Ministro
trasvolatore propone al Duce una riorganizzazione di tutte le Forze Armate, con
chiara preminenza dell'Aeronautica, nonché una riforma del ruolo di capo di
Stato maggiore generale (con una sottintesa autocandidatura). Mussolini si
convince che Balbo è da accantonare: il 5 novembre 1933 l'eroe di Broadway
riceve una lettera in cui il Duce gli comunica la propria intenzione di
riassumere "per ragioni politiche" nelle sue mani i ministeri militari, e
contemporaneamente lo nomina governatore della Libia. Si trattava di un vero
pugno nello stomaco, scarsamente lenito dagli immancabili ringraziamenti "per
l'opera da te compiuta". Ma qualche giorno dopo giunse a Balbo una lettera che
di certo lo lasciò di stucco. Mussolini gli comunicava che "avendo
proceduto alle necessarie discriminazioni" aveva potuto determinare in 911 il
numero esatto degli apparecchi in efficienza bellica, contro i 3.125 denunciati
da Balbo nel passare le consegne al generale Giuseppe Valle, suo successore al
comando dell'Aeronautica. Si trattava di un colpo basso. Il Duce faceva sapere
al suo ex ministro di averlo controllato, di aver scoperto che era un bugiardo,
che gonfiava le cifre per mostrare un'efficienza bellica che non esisteva. Era
un colpo basso, tanto più considerando che Mussolini aveva sempre appoggiato la
politica di spettacolarità, preoccupandosi poco o punto della reale consistenza
delle forze. Ma, come era sua abitudine, su ogni suo collaboratore raccoglieva
il dossier, pronto a servirsene al momento buono. E il messaggio a Balbo era
chiaro: il suo gioco era scoperto, non poteva aspirare a fare polemiche o fronde
nell'ambiente aeronautico. Il successore di Balbo, il generale Valle, un uomo
grigio, buon burocrate ed esecutore di ordini, non saprà mutare però
politica. Scelto da Mussolini proprio perché
docile e normalizzatore, non ha il carisma di Balbo per imporre una diversa
mentalità a piloti avvezzi a considerarsi più sportivi che soldati, anche se
protagonisti di uno strano gioco in cui spesso è in palio la vita. Né Valle ha
le capacità organizzative per imporsi su un'industria che ha vissuto per anni
sulle commesse più disparate, senza piani organici. Tra il 1938 e il 1939 l'Aeronautica
ha per fornitrici le ditte Caproni, Piaggio, SIAM-SM, Macchi, Breda, Fiat e
Cantieri dell'Adriatico. Nel guazzabuglio di apparecchi, nessun caccia raggiunge
i 500 km/h. Nel 1939 i caccia inglesi Hurricane e Spitfire toccavano
rispettivamente i 530 e 570 km/h. Citavamo in apertura i nostri caccia Fiat CR
42: ottimi biplani da acrobazia, privi di qualsiasi difesa passiva. L'industria
non si era neanche mai dovuta preoccupare di raggiungere livelli di elevata
produzione: le drammatiche cifre si commentano da sole: tra il 1940 e il 1943
vengono prodotti in Italia 11.508 aerei, contro 74.113 costruiti in Gran
Bretagna e 63.189 prodotti in Germania. L'onda lunga del balbismo avrebbe
pesato anche durante la guerra, quando non era più possibile sostituire la
finzione alla realtà, e quando le spettacolari prestazioni sportive non avevano
più valore, schiacciate dalla superiorità bellica dei nostri avversari. Il
balbismo produsse insomma terribili guasti; forse l'unica scusante che si può
riconoscere ad una politica così sciagurata (né l'impreparazione militare fu
appannaggio della sola aeronautica...) è il fatto che, in un'Italia guerriera e
tonitruante nessuno, in fondo, credeva veramente ad una partecipazione ad una
guerra totale. Forse neppure lo stesso Mussolini. E, con antico vizio nazionale,
si preferì rimuovere una realtà molto spiacevole, ma per nulla
sconosciuta.