Benito Mussolini
25 Aprile
1943
Nella mattinata di domenica 25 luglio
Mussolini chiese udienza col re, che venne fissata per le ore 17. Nel colloquio,
svoltosi a Villa Savoia sulla via Salaria, che era la residenza privata del
sovrano, Mussolini, che si aspettava al massimo il ritiro della delega del
comando supremo (come aveva detto a Scorza durante la breve interruzione della
seduta del Gran Consiglio) e sostenne che il voto della notte precedente non
aveva valore deliberativo, si vide invece defenestrato.
Badoglio era già
stato nominato al suo posto capo del Governo, e l’ex Duce, mentre chiedeva "E
che sarà di me? e della mia famiglia?" e il re gli rispondeva che avrebbe preso
a cuore la sua incolumità personale e quella dei suoi, fù fatto salire dai
carabinieri in un’autoambulanza e condotto nella caserma Podgora in Trastevere,
e dopo un’ora nella caserma degli Allievi carabinieri in via Legnano, dove fu
trattenuto fino alla sera del 27 luglio.
Col giornale-radio delle ore 22,45 fù data
notizia che il re aveva "accettato le dimissioni" di Mussolini e nominato
Badoglio. Fu, quella notte, un’esplosione collettiva di gioia: le strade e le
piazze d’Italia si riempirono di folle tripudianti. Badoglio proclamò: "Nessuna
deviazione può essere tollerata, nessuna recriminazione puo essere consentita".
E poi: "Per ordine di Sua Maestà il re e imperatore assumo il governo militare
del paese con pieni poteri. La guerra continua. L’Italia mantiene fede alla
parola data, gelosa custode delle sue millenarie tradizioni".
Dopo la caduta di Mussolini sembrava che l’Italia fosse
composta soltanto di antifascisti. Perfino il Popolo d’Italia mostrò di accettare il
cambiamento di regime, limitandosi a sostituire in prima pagina la fotografia di
Mussolini con quella di Badoglio. Nessuno tentò un gesto di resistenza, neppure
nella Milizia. Starace scrisse a Badoglio una lettera di congratulazioni. Lo
stesso Mussolini gli scrisse una lettera offrendo "ogni possibile
collaborazione" (più tardi avrebbe considerato simili atti, da parte dei suoi ex
collaboratori, come tradimento punibile con la morte). Il regime cadde come un
castello di carta.
Poiché questa è una biografia di Mussolini e non una storia d’Italia nel periodo fascista, di cui non si parla se non per quanto ha riferimento diretto alle decisioni e ai comportamenti del Duce, nulla si dirà qui né dei quarantacinque giorni badogliani, né delle confuse trattative con gli Alleati per l’armistizio, né dell’8 settembre, della mancata difesa di Roma e della fuga di Vittorio Emanuele III e di Badoglio a Pescara e a Brindisi e di tutti gli eventi nei quali Mussolini non ebbe e non poteva avere alcuna parte.
Nella caserma in cui era stato portato in
autoambulanza la sera del 25 luglio, Mussolini ricevette una lettera di
Badoglio, con la quale il suo successore gli chiedeva dove avrebbe desiderato
essere trasferito, ed egli rispose che avrebbe gradito di sistemarsi alla Rocca
delle Caminate. Invece, dopo tre giorni trascorsi nella caserma, quando lo
prelevarono e lo fecero salire in macchina, si accorse che non si stava no
dirigendo verso nord ma verso sud. senza dargli le spiegazioni che egli
chiedeva, lo trasportarono a Gaeta, e di lì a Ponza, dove egli compì
sessant’anni e dove trovò alcuni di coloro che egli aveva confinato nell’isola,
tra i quali Zaniboni. A Ponza Mussolini rimase dieci giorni e il 7 agosto fu
trasferito nell’isola della Maddalena, presso l’estremità settentrionale della
Sardegna. Durante quel trasferimento disse all’ammiraglio Maugeri, il quale lo
assicurava che il suo trasferimento era stato dettato dal timore di un colpo di
mano tedesco per liberarlo: "Questa è la più grande delle umiliazioni che mi si
può infliggere. E si può pensare che io possa andarmene in Germania e tentare di
riprendere il governo con l’appoggio tedesco? Ah, no davvero!". Che fù poi
esattamente quello che fece. In quei giorni temeva di venir avvelenato e si
nutriva principalmente di frutta e latte.
Infine il 28 agosto fu
ritrasportato in idrovolante nella penisola e in autolettiga a Campo Imperatore,
sul Gran Sasso, a 2100 metri.
In tutto il periodo della sua detenzione
Mussolini attraversò stati d’animo e umori alterni, molto però riflettendo sul
proprio passato, paragonandosi a Cristo, anche lui tradito, e affermando che gli
italiani lo avrebbero rimpianto. Da parte sua Hitler che fino all’ultimo
continuò nonostante tutto a considerare Mussolini un grande uomo politico e i
due destini, il suo e quello del Duce, "tra loro legati" fù ossessionato
dall’idea di liberare l’ex dittatore italiano caduto in disgrazia.
Nella disgrazia, Mussolini si preoccupa di tramandare ai posteri un im magine di sé che lo avvicini per quanto è possibile al cliché napoleonico. Del resto, questa preoccupazione napoleonica lo aveva assillato fin dagli anni dell’ascesa e del trionfo. Sebbene tutta la sua opera, della quale nei momenti propizi aveva tenuto ad assumere per sé solo il merito e l’onore, sia ora completamente fallita (e di cio riversa adesso la responsabilità su tutti, eccetto che su se stesso); benché si consideri, come dichiara, "politicamente defunto", è ancora convinto di essere superiore a Hitler, il suo grande segreto antagonista, almeno come genialità politica. Si vanta di aver tanto insistito col dittatore tedesco per una pace separata con l’Unione Sovietica, ma dimentica di averlo fatto quando nessun compromesso era più possibile, e di essere stato proprio lui, in precedenza, a incitare il Fùhrer sulla via della rottura con Mosca (nella lettera del 5 gennaio 1940 gli aveva scritto tra l’altro che in Italia "l’unanimità antibolscevica, specie tra le masse fasciste, è assoluta, granitica, inscindibile", che Hitler non doveva "abbandonare la bandiera antisemita e antibolscevica", esortandolo a cercare in Russia il Lebensraum germanico); dimentica di aver approvato l’attacco tedesco a Est scrivendo a Hitler di esserne lieto, di aver voluto inviare centinaia di migliaia di soldati italiani a combattere con i tedeschi in Unione Sovietica, dopo che aveva sempre pensato che l’URSS costituisse un nemico potenziale da non lasciare indisturbato mentre si preparava. Ora afferma di non aver mai sollecitato il conferimento del comando supremo delle forze armate in guerra, ma dimentica la grave tensione provocata con la Corona nell’aprile-maggio 1939, quando era entrato in aspro dissidio col re, il quale su questa innovazione, che gli sembrava, come era, lesiva dei propri diritti statutari, non voleva cedere.