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Un tempo capitale del Giappone e chiamata "Castello Imperiale dei Mille Anni", Kyoto era una cittą stupenda. Ora č profondamente cambiata, ma ancora conserva delle cose meravigliose. Avviene a ogni latitudine che le case abbiano curiose apparenze umane. Vi si possono leggere volti, dove una porta fa da bocca e due finestre da occhi, magari uno spioncino da naso, e via dicendo. Le case di Kyoto, come molte altre in varie parti del Giappone, forse per ripararsi dalle pesanti piogge di quell'arcipelago, avevano, e hanno ancora qua e lą, l'aria di volersi imbacuccare nei loro tetti come fossero dei pesanti e sicuri mantelli o dei cappucci da tempesta. Quelle dimore, tutto sommato semplici e quasi agresti, assumono simpatiche sembianze e sembrano rifugi dalle intemperie e accoglienti nidi. Prima della guerra, Kyoto si presentava come una vasta distesa di case e casette a due o al massimo tre piani, fondamentalmente costruite in legno, con le pareti rivestite, almeno in parte, da una malta leggera color bianco-giallino e ricoperte da tetti "imbacuccati" di tegole in cotto d'una tinta fuligginosa, con strani riflessi argentei. Sulla distesa omogenea di fuschissimi tegole, che si spingeva quasi a perdita d'occhio fino ai piedi di lontane colline, si levavano i vasti e possenti tetti, leggermente ricurvi, di alcuni tra i principali templi buddisti della cittą, per esempio lo Higashi Hongan-ji, "il tempio di Levante del voto originario", e poco pił in lą il Nishi Hongan-ji, "il tempio di Ponente del voto originario". Queste coperture smisurate suggerivano l'immagine benevola e casalinga di chiocce giganti intente a covare le loro uova misteriose e a proteggere gli abitanti dei quartieri vicini e lontani.