La Giustizia fa la Legge, ma la Legge non fa la Giustizia

C’è un grande equivoco nel dibattito politico attuale. Il problema è sempre lo stesso: le parole. La politica è comunicazione, la comunicazione è linguaggio. Se si perde la battaglia delle parole il dibattito è falsato a monte ed i risultati non potranno mai essere quelli auspicabili.

Si parla di questione giustizia, crisi della giustizia, riforma della giustizia. Giustizia è una parola grossa. La giustizia – diceva Dante – è come il bianco nella sua forma più pura: o è, o non è. Quindi, forse non è di questo mondo. Il dovere della politica – come attività propria dell’uomo – è quello di tendere continuamente perso i valori assoluti. Realizzarli è utopia.

Il senso della legge è quello di fissare delle regole che, nei limiti, consentano di amministrare giustamente e limitare la possibilità – o la volontà – umana di commettere ingiustizie.

E le regole vengono fatte dagli uomini e quindi è logico, laddove le regole risultino carenti o equivoche o inapplicabili, emendarle. Non si tratta di attentati alla giustizia, si chiamano riforme. Gli assoluti restano nel cielo, purtroppo.

Pensiamo alla vicenda dei "disobbedienti" arrestati per ordine della Procura di Cosenza. Esiste senz’altro un problema che è legislativo e procedurale; è improprio trasformarlo in un problema politico. E questo proprio in virtù della continuamente invocata indipendenza della Magistratura rispetto al politico. In Italia qualsiasi magistrato può intentare un’azione penale per sua libera interpretazione del codice, senza bisogno di impulso o legittimazione politica. Poi saranno gli organi indipendenti di controllo della Magistratura a verificare se l’operato del singolo appartenente alla categoria sia o meno censurabile.

E’ oggi doveroso interrogarsi sull’applicabilità di alcuni articoli di legge o sulla dimostrabilità di alcune imputazioni. Il reato di "cospirazione politica" , ad esempio , è aberrante ed indimostrabile. Invocare oggi la depenalizzazione di alcuni reati – di cui Area ha fatto una lista circa un anno fa chiedendone la revisione – solo perché a rischiare il carcere sono ambienti contigui ad alcune forze dell’attuale opposizione è disonesto. Invocare procedimenti di scarcerazione ad personam per rendere la libertà a singoli individui ricchi di amicizie influenti, è una sperequazione nei confronti di tutti quelli che, poveri di sponsor, debbono farsi il carcere fino all’ultimo giorno.

Difendere o attaccare il diritto al libero convincimento del giudice a secondo di chi sia il condannato o l’accusato è meschino.

Al contrario è responsabile ed onesto, in presenza di tanti casi dibattibili, mettere mano ai codici per renderli strumenti più chiari e civili.

Parliamo dell’utilizzo del processo d’appello ad esempio. Nato come tutela dell’imputato contro un giudizio affrettato o parziale, per dargli possibilità di apportare nuovi elementi a sua discolpa, oggi viene utilizzato dall’accusa come una trappola mortale. Invertendo, infatti, una sentenza d’assoluzione in primo grado in una condanna semplicemente in base al diverso convincimento della corte d’appello, si toglie alla difesa qualsiasi diritto e si vincola la Cassazione a confermare la condanna perché non può entrare nel merito del dibattimento.

Il fatto che a beneficiare di questo trattamento vizioso siano stati un ex eversivo della destra ed il Bau Bau Andreotti non dovrebbe pacificare le coscienze dei libertari di sinistra.

E parliamo ancora dei nuovi martiri della repressione, cioè il drappello di rivoltosi capeggiati dall’improbabile Caruso. Quanti reati minori sono stati compiuti, dinanzi agli occhi delle forze dell’ordine e le telecamere dei tg dai vari Casarini ed accoliti negli ultimi due anni? Chi ha pagato per le violenze di Genova, di Roma e Napoli, i danneggiamenti, le minacce, le istigazioni a delinquere e le apologie di reato che hanno caratterizzato la comoda vita di questo "movimento", i suoi anticipatori ed i suoi emuli? Non è serio concedere l’impunità a dei cittadini per anni, ponendoli al di sopra della legge, e poi prenderne all’improvviso un gruppetto ed accusarli di questo e quello. Tagliare una sbarra di confine non è un reato? Sfilare in corteo con i volti coperti e con armi improprie non è reato? Bruciare cassonetti, addestrarsi alla guerriglia, indossare uniformi (come le tute bianche); in Italia tutte queste cose sono punite dalla legge. Se ogni volta che gli organizzatori di queste congreghe fossero stati perseguiti per i reati compiuti, adesso si troverebbero con una ventina di procedimenti penali a carico, condizione altrettanto fastidiosa ma senz’altro meno gloriosa che farsi due o tre settimane di carcere.

Se si vuole educare un figlio non gli si può lasciar mettere a ferro e fuoco la casa fino ai quindici anni e poi sfondargli il cranio perché si è messo l’orecchino.

Le leggi dovrebbero essere le regole del gioco, uguali per tutti, per i deboli come per i potenti, per i vip e per gli sconosciuti, solo così si assicura la civile convivenza e la sicurezza. E se non funzionano si cambiano, ma per tutti.

Se ci si viene a dire che i reati associativi sono liberticidi e si giustifica la legge Mancino o si è pazzi o si è bugiardi.

Sulla bilancia della giustizia non ci possono essere due pesi diversi. Ecco perché la giustizia è meglio lasciarla nelle mani di Dio. Lasciamo che gli uomini si occupino delle leggi.

E’ già tanto difficile accettare che la propria vita possa finire nelle mani di un generico essere umano solo in virtù del fatto che ha vinto un concorso statale...

di Marcello de Angelis
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