Il
minimo che si possa dire sulla posizione comune dellUnione
Europea rispetto al terrorismo è che essa appare ondivaga.
Ma si può dire molto di più. Ad esempio che non
esiste. Quello che emerge dai summit europei non è, infatti,
la risultante di posizioni diverse che si compongono in unità
attraverso uno sforzo di mediazione: più prosaicamente
è la posizione di quello stato o di quella alleanza
di stati che in quel determinato momento ha più
forza sul piano politico o mediatico. E così, dopo le
testimonianze di fede e di impegno del periodo dominato dal
triangolo Londra-Madrid-Roma siamo passati alle prudenze e ai
distinguo del periodo attuale che vede lUnione rinsaldarsi
attorno al redivivo asse Parigi-Berlino. Posizioni sempre scavalcate
dallattivismo delle singole diplomazie nazionali, che
non intendono esaurire i propri rapporti internazionali nella
casa comune europea e si agitano attorno ai grandi attori globali
con il peso piuma di una mosca, oscillando tra nobili tentativi
di mediazione e prese di posizione di pura testimonianza.
LEuropa
dunque è ondivaga, o non esiste, a seconda di come
si voglia guardare il caotico panorama brussellese. Una volta
parla per bocca di Blair e traccia la linea di totale impegno
al fianco dello storico alleato americano. Unaltra parla
per bocca di Schröder e giura che mai e poi mai seguirà
gli Usa nella guerra a Saddam Hussein. Una volta si affida
alla mediazione filo-occidentale di Berlusconi. Unaltra
ai poteri di veto in sede Onu di Chirac. Fra tutta questa
confusione si aggira il fantasma di Javier Solana, quello
che molti ambienti giornalistici continuano a chiamare il
ministro degli Esteri dellUnione e che invece nessuno
sa chi sia, cosa faccia e cosa abbia da impettirsi ogniqualvolta
si accenda una telecamera. Del ruolo internazionale europeo
resta ingloriosa traccia nel pugno di mosche che raccolse
la missione spagnola in Israele, lo scorso inverno in uno
dei momenti caldo del conflitto israelo-palestinese: uno dei
momenti più bassi del semestre di presidenza spagnolo.
Stretta
da unopinione pubblica contraria alla guerra, deresponsabilizzata
da decenni di politica estera appaltata agli Stati Uniti,
concentrata sullombelico del proprio allargamento, lUnione
Europea stenta a trovare una collocazione nello scenario internazionale
del dopo 11 settembre. Anzi lo esorcizza, quasi facendo finta
che nulla di veramente epocale sia accaduto quel giorno. Non
vede, non sente, non parla. Al massimo minimizza, facendosi
burla dellattivismo di Bush, della sua voglia di reagire,
della sua nuova dimensione di presidente con lelmetto.
Tutto esagerato, tutto drammatizzato: la cerimonia di commemorazione
dellattacco alle due torri svoltasi a Bruxelles lo scorso
settembre è stata di una scialberia quasi irritante.
Cè sempre una ragione comprensibile per ogni
nefandezza, per lantiamericanismo, per il terrorismo,
per la lotta al capitalismo e giù un profluvio di manifestazioni
di anime candide dellantiglobal, di libelli da quattro
soldi che hanno invaso le librerie di mezza Europa, di commenti
giornalistici intinti nellinchiostro della viltà.
Mentre altrove tornano a esplodere le bombe, a Bali, a Manila,
e un gruppo di terroristi fanatici assalta un teatro a Mosca
con ottocento persone dentro. Accade altrove. Accade lontano
(anche se la nuova Europa dellallargamento dista da
Mosca solo 1000 chilometri). Accade fuori dal cono di luce
del provincialismo europeo.
Franco
Berlino
Fonte: ideazione.com
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