Il duetto dei fiori

Ovvero: la bellezza delle sfumature



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Uno dei punti a mio avviso meglio riusciti del capolavoro di Puccini Madama Butterfly è il duetto tra Butterfly e la sua serva Suzuki verso la fine del secondo atto, detto "dei fiori".
Questo è tra l'altro uno dei pochi momenti carichi si significato simbolico (detto brutalmente: il cogliere tutti i fiori del giardino simboleggia la fine dell'astinenza) in un'opera che di simbolico ha veramente poco, a differenza di altre come Turandot.
Il dramma comincia qui a piegare verso la sua conclusione: dopo che Butterfly ha avvistato la nave di Pinkerton attraccata al porto corre sul terrazzo pazza di gioia e comanda alla sua serva di cogliere tutti i fiori del giardino per adornare la casa in attesa dell'arrivo del marito. Una volta completata l'opera, Suzuki fa la toeletta a Butterfly, poi si mettono entrambe ad aspettare e, dopo un po', Suzuki e il bambino di Butterfly si addormentano.
Anche in questo pezzo, come in generale in tutta l'opera, troviamo numerose prefigurazioni della fine, nota o prevista da tutti ma ignorata dalla protagonista, incrollabilmente convinta della fedeltà del marito. Prefigurazioni nel testo, quando le due donne ipotizzano quanto dovranno attendere - Butterfly azzarda un'ora, Suzuki, più realistica, suggerisce "di più": in realtà aspetteranno oltre l'alba del giorno dopo, in una lunga attesa dell'inevitabile - e nella musica quando, subito dopo Butterfly comanda a Suzuki di portare tutti i fiori del giardino, ma sembra ancora pensare al dialogo precedente, come in preda ad un fosco presagio: la musica indugia su due accordi aumentati (Fa+ e Do+). Scacciato il presagio, l'armonia risolve.

Io considero questo pezzo una specie di prova dell'abilità di un direttore, soprattutto in relazione alla scelta dei tempi, sui quali Puccini è abbastanza categorico.
Siamo in un periodo in cui la sfiducia nei confronti dell'esecutore è totale, e Puccini segna ogni minimo mutamento del tempo in partitura: da quelli tutto sommato macroscopici, come il quarto a centoquattro dell'Andantino Mosso dell'inizio, "Scuoti quella fronda di ciliegio" o il quarto a centootto (più che un mutamento di tempo vero e proprio, un mutamento di carattere introdotto dallo staccato del flauto) dell'Allegretto Moderato, l'Un Poco Meno e Sostenendo del "gettiamo a mani piene" con quel meraviglioso tema per terze in Mi bemolle maggiore sostenuto dai violini, dolcemente trascinato e con quei ritardi in evidenza che danno un po' di verve alla piacevole atmosfera sentimentale del passaggio.
Sono poi naturalmente indicati tutte le sfumature (Sostenendo, accelerando, allargando, a tempo, Poco Meno, I° Tempo), che vengono in realtà piuttosto naturali.

A livello musicale è di una varietà insospettabile, pur nell'atmosfera di attesa e di sogno che imbeve l'intera opera - e rispetto alla quale un passaggio come questo non dovrebbe essere di tanto contrasto quanto le voci dal porto dell'inizio dell'atto terzo, contrasto tanto doloroso quanto lo può essere l'impatto con la "vita reale", che con i sogni non è poi molto delicata...
L'inizio è quasi una liberazione dopo tanta attesa. Passata la tensione spasmodica dell'avvistamento della nave e del riconoscimento di aver avuto ragione a tenere duro contro tutto e tutti, Butterfly sembra quasi realizzare quello che è successo e si lascia andare alla felità più serena, quasi in una frase unica fino alla chiusa "l'arsa fronte", un volo liberatorio, che riprende e termina nuovamente su "quanto dovremo aspettare". Inizia, dopo la sospenzione sui già citati accordi aumentati dell'arpa - che qui suona piuttosto inquietante, diversamente da quanto ci aspetteremmo - un breve episodio di collegamento una fase dialogica più brillante, caratterizzata dagli interventi di flauto e triangolo (abbinamento che non desta eccessivo stupore, ma che è usato con grande maestria), degli archi in pizzicato e di Butterlfy in un danzante sei ottavi ("Tutti i fior", "tutta la primavera"). Suzuki poi si ricorda di quando la sua padrona veniva alla siepe ad attendere il marito, fase conclusa da un ritardo della terza sull'accordo di la maggiore. Lungo periodo di orchestra sola, poi le due donne rientrano in casa con i fiori e cominciano a spanderli in casa, accompagnate da un breve solo di violino, poi una frase a due - "tutta la primavera etc." sempre con la solita arcata ascendente/discendente, d'impatto grandioso - poi un crescendo/accelerando che porta al climax dell'intero brano, marcato da un colpo di timpano, quindi il passaggio al rilassato e struggente Un Poco Meno e Sostenendo di cui dicevo prima, il cui tema è prima affidato alle voci sostenute dai violini, poi ai violini soli e infine solo la seconda parte ancora una volta cantata, con il si bemolle sovracuto (in piano) di Butterfly (Nelle versioni da concerto il pezzo termina qui).

Solo un cenno riguardo gli esecutori: abbastanza scontato il discorso Butterfly che vanta due interpreti di peso assoluto in Maria Callas e in Mirella Freni (quest'ultima vanta più incisioni con direttori diversi).
Riguardo Suzuki, che non ricopre assolutamente un ruolo di poco conto, molto bella e partecipata l'esecuzione di Lucia Danieli insieme alla già citata Callas, o quella di Teresa Berganza come partner per la Freni, che preferisco decisamente alla pur precisa Ludwig, nonostante una voce un po' troppo stentorea per la parte di una serva giapponese... Discorso a parte per il direttore. La mia preferenza va senza dubbio a Giuseppe Sinopoli (con la Philharmonia Orchestra, nel 1987), che stacca il tempo ideale per l'inizio, peccato che non si possa dire altrettanto dell'Un Poco Meno e Sostenendo, troppo sostenuto - anche se si fa perdonare per il controllo assoluto che ha sull'orchestra (pizzicati e arpeggi dell'arpa): il rischio di un risultato disunito a un tempo così lento è grande, ma qui il sincronismo è perfetto.
Un niente più lento Karajan (Teatro alla Scala di Milano, la versione con la Callas), che è un po' più scorrevole alla fine, ma quando ascoltiamo l'edizione che ha inciso nel 74 con i Wiener e la Freni è cambiato tutto: non sembra neanche lo stesso direttore! Il tempo dell'inizio è un qualcosa intorno a settantacinque al quarto (!), molto più lenta anche la fine, paragonabile allo stacco di Sinopoli (che l'abbia richiesta la Freni la fine così?).

Finisco con un ipotetico premio al miglior si bemolle alla fine: da brivido (al solito) quello della Callas, che rivaleggia con quello, molto più contenuto come dinamica (delizioso), della Freni edizione Karajan, menzione particolare per la Scotto (1967, con Arturo Basile che dirige la RAI di Torino, Franca Mattiucci come Suzuki), che lo raggiunge con un po' di lavorìo, ma che lo tiene a lungo e con una copertura eccezionale.

Paolo Del Lungo


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