Home Page Home Page Home Page Home Page Home Page  
Home Page Home Page Home Page Home Page Home Page Home Page
Home Page Vai alla pagina iniziale Le chiese di Oristano Le torri della città Edifici storici Particolari architettonici Scrivici
Home Page
Home Page
Home Page
Home Page


 

La città morta

 Di Marta e Domenico Pittalis 

Clicca per ingrandireSiamo nel golfo di Oristano, alle nostre spalle ci lasciamo la spiaggia di Torregrande, che nulla ha da invidiare a Rimini e Riccione se non nei locali e attrazioni che non ha.
Ci dirigiamo verso nord-est, troviamo di fronte a noi una penisola stretta e lunga qualche km, e bagnata ad ovest dal Mar Sardo, impropriamente chiamato da noi locali Mar Vivo, perché più aperto e vigoroso, mosso venti giorni su trenta dal maestrale. Ma sulla costa orientale, dove noi abbiamo attraccato, le acque del golfo di Oristano, il cosiddetto “Mar Morto”, riparate dal vento, garantiscono e garantivano approdi sicuri.
I Fenici, naviganti come mai ve ne siano stati, sapevano bene dove attraccare. L’entroterra, fertile da coltivare e ideale per pascolare e gli stagni ricchi di pesce.
Loro accesero in questo angolo di costa le luci della civiltà, Tharros il sito archeologico giustamente più famoso della provincia di Oristano.
Fondata alla fine del VIII secolo A. C., la stessa ha vissuto 1800 anni (senza contare le vicende testimoniate già a metà del secondo millennio da resti di abitazioni nuragiche) dalla fondazione Fenicia al 238 A. C., quando passa sotto il dominio dei Romani, dal periodo Bizantino, in cui divenne sede vescovile, poi la decadenza l’inizio della fine.
I mari per la presenza di flotte Saracene risultavano insicuri, cosicché nel 1070 il giudice di Arborea, sovrano dello stato arborense, dichiara ufficialmente Tharros “Città Morta”.
L’oblio consegna alle dune lo scettro della città. Il vento ne modella le forme, quintali di sabbia chiara cancellano vie, piazze, quartieri e santuari.Clicca per ingrandire
La natura selvaggia, i conigli, ne prendono nuovamente possesso. L’uomo di suo fa lo scempio più grande, ne inizia il degrado derubando.
Non è difficile ancora oggi, immaginare centinaia di uomini intenti a recuperare capitelli, decorazioni, pavimenti, mosaici e blocchi di pietra per riutilizzarli nella nuova città di Oristano e nei paesi limitrofi. E solo grazie al generale Lamarmora che nel 1835 rese note le testimonianze del primo scavo scientifico. Da allora, Tharros torna in qualche modo a vivere. Chissà come doveva essere bella.
Chiudere gli occhi, ed immaginarla viva si può!!
Provate non costa niente, solo un biglietto d’ingresso per poter camminare sul bell’acciottolato romano il “Cardo Maximus”, il corso della città, dove si affacciavano le botteghe degli artigiani punici che lavoravano il corallo, producendo splendidi scarabei in diaspro verde, l’acquedotto e gli impianti termali, con spogliatoi e sauna, piscine calde e fredde, la gente e i loro vestiti, quel via vai che doveva sempre esserci in una città di mare, come doveva essere bella Tharros.
E ora di riaprirli, siamo nella nostra quotidianità, di quel centro popoloso e organizzato, oggi non resta che una distesa di rovine, un immagine suggestiva, incorniciata in un mare dall’azzurro intenso, sempre increspato dal vento.
E sempre lei comunque la città dei due mari.
Ieri fenici, punici e romani si sono avvicinati sulle strade assolate e nei suoi templi. Oggi i turisti ne rendono omaggio alla sua antica gloria.
Il sole tramonta, le luci della sera inondano con la sua ombra la città morta. Mentre ci allontaniamo via mare, lo sguardo non si stacca più, Tharros e l’esile striscia di terra sembrano destinate a vivere in eterno.

Torna all'elenco

Torna su


Risoluzione consigliata: 800x600
Sito realizzato durante i corsi di alfabetizzazione informatica del Progetto Sardegna 2000
© 2001 Web Master