Non se ne conosce il patronato originario. Fin dagli inizi del Seicento
fu in patronato dei Sanfelice di Sanfelice e successivamente dei Sanfelice
di Bagnoli. A sinistra è collocato un antico sarcofago con scene
del mito di Protesilao e Laodamia. Le scene sono state variamente interpretate,
ma, secondo l'opinione preferibile il racconto si svolge unitariamente,
a partire dalla fiancata sinistra, in questo modo: Protesilao, ucciso
da Ettore nel corso della guerra di Troia, implora Ade, cui viene presentato
da Persefone, di consentirgli il ritorno tra i vivi per poter riabbracciare
la giovane moglie Laodamia. Sulla faccia centrale è rappresentato
l'episodio dell'incontro tra i coniugi nell'arco temporale di una sola
giornata come mostrano le figure del Sole?Febo e della Luna-Diana, poste
alle due estremità opposte del racconto scultoreo. Nella scena
in esame, Protesilao varca la porta dell'Ade accompagnato da Ermes cui
è stato affidato da Ecate e si dirige verso Laodamia circondata
da ancelle ed accudita dalla nutrice. Sulla fiancata destra è invece
scolpito l'epilogo: Protesilao è costretto a far ritorno agli Inferi
e Laodamia per poterlo seguire si suicida, sotto gli occhi di Eros ed
Ermes. Il nostro sarcofago fu descritto da Montfaucon e dal Winckelmann
e studiato da J. J. Bachofen.
Quest'ultimo identificò l'oggetto portato da una delle ancelle
come un uovo bicolore, simbolo unitario di vita e di morte, sole e luna,
giorno e notte, e rilevò allusioni bacchiche nella rappresentazione
del sacellum presso il letto di Laodamia, e nella maschera con doppio
tirso a forma di croce. In realtà, il preteso uovo bicolore altro
non era che un tympanon, un banale tamburello privo di significato simbolico.
L'opera databile intorno alla metà del II secolo d.C., accolse
nel Seicento le spoglie di alcuni membri della famiglia Sanfelice. In
verità tutte le monografie e guide concernenti S. Chiara perpetuano
l'errore di affermare destinato solo a Giovan Battista Sanfelice (1632)
l'antico sarcofago, mentre vi fu deposto anche Cesare duca di Rodi, come
confermano l'iscrizione funeraria e le fonti letterarie. In origine l'arca
era collocata nella cappella del castello di Sanfelice ed aveva già
accolto nel Cinquecento i resti di Giacomo e di Bernardo Sanfelice. Nel
1612, Giovan Francesco Sanfelice fece trasportare il monumento nella cappella
di famiglia in S. Chiara. In seguito e forse in occasione degli abbellimenti
settecenteschi, la cassa fu incorniciata da pesanti volute in gesso, rimosse
solo nel giugno del 1910 sotto la guida dell'illustre archeologo Gennaro
Aspreno Galante, così da rendere visibili le facce laterali. Sulla
parete di fronte è quel che resta del monumento funebre di Cristina
Monforte duchessa di San Cipriano, moglie di Fabio Sanfelice morta nel
1855, parzialmente danneggiato dal bombardamento del 1943. Dei sepolcri
di altri membri della famiglia, pure ricordati dalle fonti, non resta
traccia. Lì dove è attualmente il monumento di Cristina
Monforte, era il sepolcro di Alfonso Sanfelice, signore di Lavriano morto
nel 1628, eretto per volere del padre Giovan Francesco, dallo scultore
Matteo Pelliccia (attivo a Napoli dal 1618) come dimostra un documento
relativo ad un pagamento del 26 gennaio 1629. L'opera fu quasi integralmente
distrutta nel corso degli eventi bellici, ma qualche frammento sembra
sia attualmente conservato in un locale del monastero. Non rimane invece
alcuna traccia o notizia del monumento a monsignor Giuseppe Maria doctor
in utroque, referendario della Segnatura apostolica, governatore di Imola
e Città di Castello, vicelegato a Ferrara, arcivescovo di Cosenza
e nunzio a Colonia che secondo alcuni era in lavorazione sul finire del
Seicento. Irrimediabilmente perdute risultano pure le memorie concernenti
Pietro, conte di Corigliano, Berlingieri signore di Amendolara e Paride,
fatte rinnovare da Giovan Tommaso Sanfelice di Bagnoli, vescovo di Cava
fino al 1550, fondatore della locale chiesa vescovile, poi vescovo di
Venosa, e governatore di Perugia e dell'Umbria.
Al suolo è un chiusino sepolcrale con stemma di famiglia databile
al secolo XVII. Al di sopra dell'altare è murata una porzione di
lastra frontale di sarcofago trecentesco che conserva la colorazione antica.
Si tratta probabilmente dell'unico resto del sepolcro comune di Jacopo,
Luise, Marchione e Petruccia de Cabannis (1384) come conferma la presenza
degli stemmi di famiglia ed era in origine collocato nella terza cappella
della navata sinistra, occorre avvertire peraltro che la residua porzione
di epigrafe per il resto non facilmente traducibile, accenna piuttosto
ad un Gualtiero della stessa famiglia. Entro archi a tutto sesto sono
qui raffigurati a bassorilievo: al centro il Cristo morto, a sinistra
S. Maria Maddalena e a destra S. Giovanni in una espressione di composto
dolore.
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