L'uso di questi attrezzi non è difficile, ma tentare di imparare da soli può essere pericoloso. In ogni caso prima di entrare in grotta è necessario imparare a farlo seguendo un corso di speleologia.
Illuminazione
Sotto terra non arriva luce solare; lo speleologo deve dunque dotarsi di lampade
che forniscano luce per un tempo sufficientemente lungo, siano facilmente trasportabili
ed abbiano un costo di esercizio basso.
Tutte queste caratteristiche sono concentrate in quel ritrovato della tecnica che
è la lampada ad acetilene o "a carburo". Carburo perché l'acetilene viene prodotto man mano che si consuma
a partire dal carburo di calcio che, reagendo con l'acqua, sviluppa
appunto acetilene e lascia come residuo calce spenta. Il carburo è un solido
piuttosto duro (provate a spaccarlo a pezzi col martello per infilarlo nella
lampada e ve ne renderete conto) che si riesce ad acquistare per pochi soldi, a
patto di farlo in piccole quantità (poi subentrano problemi legali per lo
stoccaggio). Nella figura si vede uno schema di una tipica "bombola".
Come si vede la carbura è un aggeggio cilindrico, formato da due parti: un serbatoio
per l'acqua ed un serbatoio per il carburo di calcio. Il serbatoio dell'acqua si
trova sopra quello del carburo e comunica con quest'ultimo attraverso un foro la
cui apertura si regola tramite un rubinetto a vite posto sulla parte superiore della bombola.
Attraverso il foro l'acqua scende a gocce nel serbatoio inferiore e bagna il carburo.
La reazione di formazione dell'acetilene è spontanea e sviluppa una discreta quantità
di calore. L'acetilene esce dal serbatoio-reattore attraverso un tubo che termina
con un attacco sulla parte superiore della bombola. A questo attacco si collega
un tubo che porta il gas fino alla lampada vera e propria. Questa è situata sul casco da speleologo ed è costituita da un ugello da cui esce a pressione l'acetilene,
un riflettore per rivolgere anteriormente tutta la luce ed un sistema piezoelettrico
di accensione del gas.
Oltre
alla lampada ad acetilene ogni speleologo porta normalmente montata sul casco
una lampada elettrica (chiamata amichevolmente "l'elettrico")
che produce un fascio di luce più potente e concentrato di quello dell'altra
lampada. L'elettrico viene impiegato per la visione su lunghe distanze, per
esempio per scrutare le pareti di un pozzo dalla sua sommità. Qualcuno usa
l'elettrico anche nella normale progressione, ma la luce diffusa dell'acetilene
è molto migliore, con l'elettrico si vede benissimo un metro quadrato di grotta
ed il resto è buio.
Altre lampade possono essere tenute a mano per particolari esigenze. Alcune volte
mi è capitato di usare un potente faro alimentato con una batteria da 12V per guardare
il soffitto di ambienti particolarmente ampi alla ricerca di camini da risalire.
Casco
In
testa si porta sempre il casco, anche qualora non ci si trovi in un pozzo
che scarica pietre, la quantità di testate che si danno dentro un cunicolo è
incredibile. È assolutamente indispensabile e costituisce un elemento
fondamentale nella speleologia. Va indossato sempre, anche durante le
esercitazioni all'aperto o in cavità che non presentano rischi evidenti. Serve a
proteggere la testa da urti e cadute di sassi, detriti e materiale dall'alto,
che a seconda dell'altezza possono acquistare un'energia cinetica rilevante e
causare gravi danni. Serve anche a sostenere l'impianto di illuminazione per
lasciare libere le mani dello speleologo. Deve essere fornito di un sistema per
il fissaggio (tipo fettuccia sottomento).
Abbigliamento
Lo speleologo indossa solitamente una tuta intera di materiale più o meno impermeabile.
Le più diffuse sono le tute in cordura che garantiscono una certa traspirazione,
ma dopo alcune esplorazioni hanno perso tutta la loro impermeabilità all'acqua e
diventano come un capo di cotone, col vantaggio che si asciugano prima. Vi sono
anche tute in PVC che sono sempre perfettamente impermeabili e non lasciano
nemmeno traspirare il sudore. Sono comunque indispensabili se si finisce sotto
una cascata: trovarsi sotto un getto
di acqua gelata con una tuta non impermeabile è una delle cose più pericolose del mondo
perché la perdita di calore è un nemico per lo speleologo. Stare sotto una
cascata la cui temperatura è attorno ai 6 gradi (se va bene) fa si che il corpo
perda molto calore. Con esso se ne vanno le forze, i movimenti rallentano e se
si resta sotto per troppo tempo si muore per ipotermia.
Sotto la tuta si portano abiti caldi ma che non rendano difficili i movimenti. Oggi ci sono delle fantastiche
tute intere di materiale sintetico tipo "pile" che tengono caldo, sono leggere e
non danno fastidio se sono bagnate.
Ai piedi si portano normalmente stivali di gomma con una suola scolpita in modo da garantire una buona tenuta sulla pietra e sul fango. In grotte con poca acqua o del tutto asciutte o dove l'acqua sia sotto forma di neve o ghiaccio si posso indossare tranquillamente scarponi da montagna, che hanno il vantaggio di dare maggiore tenuta e di proteggere la caviglia dalle storte.
Una cosa che gli speleologi non dimenticano mai sono i guanti. La roccia in grotta è spesso scabrosa e riduce le mani in condizioni pietose dopo poche decine di metri di progressione in un cunicolo. I guanti proteggono inoltre dalle abrasioni quando si tiene la corda in discesa o dalle scottature quando si apre un discensore che si è scaldato.
Una cosa che si dovrebbe portare sempre dietro, anche se non è un capo di vestiario,
è il telo termico. Si tratta di un legerissimo foglio alluminato che tiene caldo
in caso di sosta prolungata per cause di forza maggiore. Se si rimane in grotta per tempi superiori
le 10 ore, è veramente necessario avere con se un telo.
Sotto il casco ci sta bene una bella cuffia di lana, se si è in una grotta fredda,
o una bandana per risolvere problemi di sudore nelle grotte più calde.
Per affrontare dislivelli da superare con l'uso di corde, occorrerà munirsi di una imbracatura e di una serie di attrezzi (croll, maniglia, discensore, ecc.) per muoversi in un pozzo.
Imbracatura
Una cosa che fa parte, in un certo senso, dell'abbigliamento dello speleologo è
l'imbracatura. Serve a sostenere praticamente tutta l'attrezzatura
personale ma, soprattutto, chi la indossa quando si necessita una progressione
su corda. È utilizzata con il "croll", la "maniglia" ed il "pedale" e serve per
il trasporto dei vari accessori (bombola del carburo, moschettoni, sacchetto
personale, ecc.). L'imbraco è costituito essenzialmente da due parti: una
inferiore, più robusta, dotata di cosciali, ed una superiore, in genere più
leggera, utilizzata soprattutto per mantenere la posizione verticale ed evitare
ribaltamenti. Prima di ogni utilizzo, verficare lo stato d'uso, soprattutto dei
cosciali, soggetti a maggiore usura. L'unica cosa che conta veramente in un'imbracatura è che sia
robusta, ma anche la comodità, dovendoci stare appesi per ore, è una qualità non
da poco.
Progressione
in orizzontale
Il modo più semplice di andare in grotta è camminare. Se non ci sono
pozzi o salti non è necessario altro.
L'importante è che la grotta non è un marciapiede, per cui non si può camminare
tranquillamente guardandosi attorno e buttando i piedi dove e come capita. Ogni
movimento deve essere ragionato in modo da non perdere l'equilibrio. Non è necessario,
anzi è sconsigliato, avere fretta. I movimenti devono essere fatti con calma e continuità,
in grotta non si fanno scatti, non si salta, si controlla ogni passo.
Qualche volta capita di procedere in orizzontale ma con alcuni metri di vuoto sotto
i piedi. Infatti, qualche volta in un meandro non si procede sul pavimento, dove
magari tutto è complicato perché lì la sezione si restringe o c'è troppa acqua,
ma un po' più in alto. In questo caso si deve sfruttare il fatto che le suole delle
nostre calzature riescono a fare buona presa sulle pareti del meandro anche se non
ci sono dei veri e propri appoggi. Spesso un accenno di incavatura della roccia
è sufficiente a sostenere il nostro peso, a patto di saperlo scaricare sull'appoggio
in modo opportuno (si dice progressione in aderenza o in opposizione se si aggiunge
la spinta che si ottiene appoggiandosi anche all'altra parete del meandro e facendo
forza). Spiegare come si fa, secondo me, non si può con uno scritto, per cui questa
è una di quelle cose che è bene apprendere ad un corso di speleologia.
Progressione
in meandri e strettoie
Il problema numero uno dei meandri è comunque quello che la larghezza della galleria
diminuisce, per cui, a volte, ci si trova ad andare avanti con meno di mezzo metro
di spazio. Comunque un meandro raramente è rettilineo, anzi, la maggior parte delle
volte ha un andamento "meandreggiante" il che obbliga a continue
svolte. Nulla di concettualmente complicato, ma farlo in 35 centimetri di larghezza
con addosso l'imbracatura per le calate e portandosi dietro uno o due sacchi pieni
di materiale non è facile. In questo caso è importante essere ancora più attenti
a non fare movimenti bruschi, ad avanzare con calma e continuamente, evitando di
incastrarsi e di rendersi la vita faticosa. Così facendo si risparmiano energie
fondamentali per potere andare ancora più avanti o per tornarsene indietro tranquillamente.
Lo speleologo deve cercare di non essere mai troppo stanco per potere affrontare
situazioni che richiedono attenzione e rapidità.
Nelle strettoie la calma è ancora più importante. In questo caso se si fanno le
cose sbagliate non si va proprio avanti. La tecnica permette spesso a persone di
una certa stazza di passare dove gente magra non ce la fa. Questo perché è molto
importante affrontare la strettoia nel modo giusto. Ogni strettoia si passa solo
facendo una ben determinata combinazione di movimenti, se si cerca di passare
in altro modo si fallisce. Il primo limite da superare in questi casi non è quello
delle dimensioni, ma quello psicologico. Molto spesso strettoie che possono
essere superate facilmente ci bloccano per il semplice fatto che temiamo di non
farcela o abbiamo paura di incastrarci. Capita anche dopo anni di attività. Una
cosa è certa però: quasi tutte le strettoie sono percorribili nei due versi. Se
si passa all'andata si riesce anche ad uscire. Magari sarà più complicato, come
nel caso di strettoie in pozzi, dove all'andata ti lasci scivolare, al ritorno arranchi
penosamente in salita. Anche qui bisogna soprattutto pensare a risparmiare fatica.
Il risparmio di energie può sembrare una ossessione stupida se si fa una
esplorazione di poche ore, ma dopo 10 ore sottoterra le forze iniziano a diventare
un bene prezioso. Alcune esplorazioni si protraggono per 48 o più ore, quindi il
risparmio ha un senso ben preciso.
Progressione
in verticale
Al contrario della montagna e della falesia, la speleologia ci porta nelle
cavità. All'ingresso della grotta la preparazione avviene per iniziare la
discesa, sia a piedi o su corda. Ma lo speleologo attento deve considerare
sempre la lunghezza della discesa e lo sforzo che dovrà dare dopo per tornare in
superficie: dopo ore di marcia e contorsioni, esausto, appesantito dal peso del
sacco e con gli arti intirizziti, dovrà risalire i pozzi con un movimento
continuo di trazione sulle braccia e di spinta sulle gambe.
Piccoli salti e pozzi dalle pareti articolate possono essere
scesi e risaliti in arrampicata, e questa è la prassi, ma spesso ci si trova davanti
a pareti lisce o strapiombanti o a pozzi lunghi in cui sarebbe comunque necessario
l'impiego di tecniche di assicurazione con la corda.
Per
sveltire le cose gli speleologi si costruiscono la loro via per continuare a "camminare"
anche nell'aria. Un tempo si scendeva su scalette di corda con pioli di legno
ed assicurati con una corda di canapa dall'alto. In seguito le scalette furono fabbricate
con cavetti di acciaio e pioli in lega, ma le cose cambiavano poco. Nel corso degli
anni '70 la scaletta speleo venne quasi del tutto abbandonata ed oggi si è soliti
usare la progressione su sola corda ancorata a chiodi ad espansione o spit.
In pratica ogni pozzo viene "armato" con una corda fissa sulla quale si scende
e si risale.
La discesa si effettua grazie a dei discensori a pulegge, dove
la corda è passata ad "S" tra due pulegge fisse in lega di alluminio, che permettono di dissipare l'energia potenziale dello speleologo
attraverso gli attriti. Un particolare congegno d'apertura consente
l'inserimento della corda senza dover infilare un capo della stessa e senza
staccare il discensore dal moschettone (che deve essere provvisto di ghiera). Si
raccomanda di verificare l'esatta posizione di lavoro del discensore e della
corda prima di procedere alla discesa. Un utilissimo accorgimento consente di
utilizzare un moschettone d'acciaio detto "di rinvio" (senza ghiera), che
migliora di gran lunga la capacità del controllo della velocità. Scendendo si sviluppa ovviamente un bel po' di calore ed il discensore
diventa bollente. Bisogna stare attenti a non farlo diventare troppo caldo, altrimenti
fermandosi a mezz'aria si rischia di danneggiare la corda. Dato che non esiste più
la corda di sicura, o meglio, si scende proprio su quella, in caso di danneggiamento
della stessa bisogna imparare a volare sul serio.
Il grosso problema di una corda fissa è che un dato tratto di corda rimane sempre
in un dato punto del pozzo. Quando lo speleologo sale o scende le sollecitazioni
cui sottopone la corda fanno si che questa si allunghi e si accorci come un elastico.
Se ad un certo punto la corda tocca la roccia sfregherà su di essa di continuo.
Come dicevo la roccia non è decisamente liscia e la corda si può danneggiare. Per
ovviare a questo inconveniente lo speleologo che arma il pozzo ancora la corda nei
punti critici a dei chiodi in modo che lì non possa muoversi, si dice che viene
fatto un frazionamento. In questo modo si evita lo sfregamento.
In
corrispondenza dei frazionamenti sulla corda c'è un nodo, con il quale è fissata
al chiodo, dato che non si può fare passare il discensore attraverso il nodo (o
viceversa) è necessario superare il frazionamento abbandonando momentaneamente la
corda. In questa occasione lo speleologo si assicura al chiodo del frazionamento
con un corto spezzone di cordino munito di moschettoni alle estremità (longe).
La risalita sulla sola corda viene effettuata con l'ausilio di due attrezzi
molto simili per funzionamento: scorrono sulla corda in un solo verso. Uno di questi
attrezzi è agganciato all'imbracatura in posizione ventrale e viene chiamato per
l'appunto "bloccante ventrale" o "ventrale" o ancora "croll" (dal nome del
modello più diffuso).
L'altro attrezzo, simile al primo ma dotato di una maniglia
per essere impugnato dallo speleologo, è collegato all'imbracatura solo attraverso
un "rinvio" o "longe" di sicurezza. Questo attrezzo, detto volgarmente "maniglia",
viene spinto verso l'alto a mano. Nella parte inferiore la maniglia è collegata
con una staffa (in fettuccia o corda) in cui lo speleologo appoggia il piede. Sollevandosi sulla
staffa lo speleo si porta verso l'alto e trascina con se il ventrale. Appena si
lascia sedere, il ventrale si blocca ed il risalitore ha guadagnato un po' di strada
verso l'alto. La risalita di un pozzo è una faccenda che richiede di ripetere questa
operazione per tante volte. La non corretta impostazione dei movimenti comporta
una fatica mostruosa, per cui capita spesso che i principianti si stanchino anche
su pozzi brevi (20 o 30 metri).
Anche in questo caso l'utilizzo di materiale in buone condizioni è fondamentale,
in paricolar modo deve essere sempre in buono stato la molla che richiude
l'attrezzo, altrimenti si rischia di far sganciare la corda quando si effettuano
movimenti fuori asse.
Le corde servono a scendere o salire i pozzi. Su di esse ci si muove con le attrezzature tecniche personali. Esistono molti tipi di corde: quelle usate sono esclusivamente le statiche per speleologia. Normalmente si usano le corde di diametro 10 millimetri. Escludere tassativamente qualunque altro tipo di corda, in particolare quelle che si trovano nei negozi di ferramenta e quelle nautiche. L'uso delle corde (nodi, manutenzione, precauzioni nell'uso) presuppone un minimo di pratica da acquisire con un corso di speleologia.
Tutto quello che viene portato in grotta, oltre agli attrezzi personali che sono appesi ai vari anelli dell'imbracatura, per comodità di trasporto viene collocato all'interno di appositi sacchi dotati di spallacci e maniglie. I sacchi devono essere robusti e resistenti, ma anche la forma affusolata è importante, permettendo al sacco di passare anche nei punti più stretti.
Le corde vengono utilizzate fissandole alla roccia in più punti per mezzo del materiale da armo. Nelle grotte basta piantare un chiodo (uno spit o un fix) sulla roccia calcarea. In ogni caso la corda deve essere fissata in almeno due punti e non deve assolutamente toccare la roccia: quando lo speleologo vi si appende potrebbe tagliarsi! La tecnica corretta di attrezzaggio di un pozzo si apprende nei corsi di speleologia.
In caso di incidenti
interviene il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico, con le sue squadre
di volontari, organizzate in modo da coprire l'intero territorio nazionale.
Il CNSAS è l'organizzazione che, per legge, si occupa dei soccorsi in
ambiente montano, e dunque in montagna, in grotta e nelle forre. Ne fanno parte
circa seimila volontari incaricati del soccorso alpino e altri seicento che si
occupano del soccorso in grotta e in forra.
La suddivisione della sezione speleologica è grosso modo regionale. Ogni
delegazione comprende una cinquantina di volontari specialisti che in genere
sono sufficienti per rimediare ai guai capitati sul loro territorio. Nel caso di
incidenti gravi l'intera struttura nazionale viene messa in allarme ed
eventualmente interviene.
Le tecniche di progressione, e particolarmente quelle in verticale, non possono essere apprese dai manuali, ma devono essere imparate con calma sotto la guida di un istruttore preparato, vale ancora una volta l'invito a frequentare i corsi di speleologia.