Intervista
con Derrick de Kerckhove
di Andrea Scazzola

Ve lo posso garantire io,
in Internet non ci si perde

Anche Derrick De Kerckhove, allievo ed erede intellettuale di McLuhan, è convinto che la mente umana padroneggerà perfettamente l'enorme massa di dati e informazioni che circola nella Rete. Non se ne farà confondere. Anzi ne sarà potenziata. E chiunque potrà farsi un "giornale su misura".

Studente del grande sociologo e teorico della comunicazione Marshall McLuhan, Derrick De Kerckhove ne è considerato l'erede intellettuale. Insegna all'Università di Toronto, dove dirige il McLuhan Program in culture and technology. Seguendo le orme del maestro, da anni si occupa delle interazioni tra la tecnologia e il corpo, i media e la cultura, l'arte e la comunicazione. I suoi studi sperimentali sul rapporto tra cervello umano e nuove tecnologie comunicative danno alla sua opinione sul futuro dell'informazione nell'era telematica l'autorevolezza che proviene dalla ricerca sul campo. Abbiamo voluto ascoltare la sua voce anche perché è piena di quell'entusiasmo e di quella apertura al nuovo che aiutano ad affrontare con coraggio le svolte epocali di questo fine millennio.

Una tra le opere principali di McLuhan, pubblicata nel 1967, aveva un titolo che ha fatto storia: "Il medium è il messaggio". Dopo trent'anni, l'evoluzione e soprattutto l'intercambiabilità degli strumenti per comunicare hanno fatto mettere in dubbio o addirittura negare (Vedi Nel labirinto dei media l'informazione scompare? di Alberto Cavallari) la validità di questa tesi. Le chiedo: fino a che punto le nuove tecnologie possono mutare il contenuto dei nostri messaggi?

Io resto convinto che i media determinano la strutturazione dei messaggi, del loro contenuto. Ma, e questa è la cosa importante che McLuhan ha tante volte ripetuto, il vero "contenuto" dei media è l'utente stesso. Mi spiego meglio. Il medium è una funzione che regola le reciproche relazioni tra l'uomo e l'ambiente, è un prolungamento artificiale della nostra sensorialità naturale. I media, quindi, contribuiscono a formare la nostra esperienza. Di conseguenza l'utente soltanto adeguandosi alla forma del medium che sta utilizzando comprende il contenuto trasmesso. Quando montiamo su una bicicletta, per esempio, ristrutturiamo tutto il nostro corpo, modifichiamo le nostre attitudini. Così quando ci sediamo davanti alla Tv organizziamo la mente e il corpo in maniera specifica. Quando si sente la radio si entra in una dimensione diversa da quella della Tv o da quella del libro. La stessa nascita del libro aveva profondamente trasformato le reazioni neurofisiologiche della mente per adattarle alla lettura.

Anche la lettura dello schermo del computer collegato a Internet produce questa trasformazione neurofisiologica?

Io penso che sia così. L'immagine che viene dallo schermo trasforma la strategia neurale, predisponendola per l'apprendimento del messaggio. L'impatto dei media sul contenuto consiste proprio in questo: nel ritagliarsi, all'interno della conoscenza umana, un tipo di epistemologia specifica. Ogni medium, dunque, ha le sue caratteristiche che lo differenziano dagli altri. La televisione non è il cinema ma ha preso molto dal cinema, il cinema ha imparato molto dal teatro, il teatro a sua volta dal libro, e prima di tutto c'è stato l'alfabeto. Ogni medium va conosciuto nel suo specifico, nei suoi rapporti di scambio con gli altri media. E un mondo, come quello attuale, pieno di strumenti tecnologicamente innovativi per comunicare (grande schermo, piccolo schermo, Tv ad alta definizione, Tv a bassa definizione, Cd-Rom, video gioco, e così via) va studiato cercando soprattutto di individuare e comprendere i mutamenti che ne deriveranno per il nostro stesso modo di conoscere.

L'immensa quantità di informazione che viaggerà sulle reti telematiche metterà a nostra disposizione un incredibile numero di dati. Saremo in grado di padroneggiarli?

Mi chiedo perché tanta gente abbia questa preoccupazione. Padroneggiare un numero enorme di dati è esattamente quello in cui è normalmente occupata la mente di ogni uomo. Non cambia nulla da questo punto di vista. Moltissime sono le cose possibili nella nostra mente, e Internet è una mente collettiva. Parlo sul serio. Certo, non intendo "collettiva" nel senso in cui si parla di un'entità fisica, materiale. E' invece una memoria collettiva. L'accesso a una pagina del Web è un'attività equivalente a quella di richiamare un'immagine nella mente. E' la stessa cosa. O quasi, perché ancora si perde troppo tempo in attesa che l'immagine si formi sullo schermo. Ma la direzione dell'innovazione tecnologica è proprio questa: approssimarsi al tempo reale, al tempo del processo mentale. E io sono convinto che questo accesso alla memoria globale della rete sia un accesso intelligente. Non è affatto caotico, come qualcuno sostiene; è, invece, un accesso mirato e, non esagero, molto più potente della nostra sensibilità individuale.

Dunque la mente umana saprà orientarsi nella rete e attuare una intelligente selezione di questo sterminato numero di informazioni?

Ma è già evidente nei bambini: sono tutti pronti. Proprio tutti forse no. Molti però sì. Bambini, adolescenti, giovani. La mente umana può fare molto di più di quello che fa, e le nuove tecnologie la stimoleranno a fare di più, a fare meglio, a fare cose differenti e nuove. Io penso che tutto ciò sia un progresso. Non voglio dichiararmi a priori ottimista, perché l'ottimismo equivale al pessimismo, sono atteggiamenti ugualmente negativi: considerano gli esseri umani determinati dalla storia, dalla tecnologia, dall'ambiente. Ma noi non siamo vittime, siamo produttori della realtà. Non appena si è cominciato a elaborare e a dare concretezza al progetto della realtà virtuale, ho fatto una previsione: nella nostra civiltà, che è la civiltà della simulazione, la fantasia non sarà in alternativa alla realtà ma soltanto un passo avanti rispetto alla realtà.

Possiamo dire che, presto, ciascuno di noi potrà sfruttare tutte le informazioni a sua disposizione fino a realizzare quello che qualcuno già chiama il "giornale su misura".

Giornale su misura... forse non è un'espressione precisa, ma non è male. A questo proposito mi piace citare quanto ha detto una volta Negroponte: la notizia più importante di un giornale su misura è, dal tuo punto di vista, se l'aereo che devi prendere domattina partirà in orario oppure no, e se quindi potrai dormire un'ora di più. E questa notizia, invece di telefonare in aeroporto, la troverai scritta a grandi lettere sul tuo giornale personale. Insomma il quotidiano telematico saprà darti le informazioni che per te sono veramente importanti. E, spesso, sono proprio quelle che riguardano la vita quotidiana.

Questo sarà un giornale assolutamente personalizzato che permetterà a chiunque di ricomporre a proprio uso e consumo una realtà assolutamente soggettiva. Ma non avremo più la "prima pagina" che finora ci ha dato la possibilità di identificare immediatamente le notizie più importanti del giorno, quelle che non possono essere ignorate. Come faremo a trovarle? Chi ci insegnerà a valutarle? Non correremo il rischio che siano "altri" a sceglierle per noi? E spesso si tratta di cose che non riguardano direttamente la nostra vita privata, anzi possono essere notizie di politica estera relative a fatti e persone lontanissimi da noi. Se, allora, vogliamo sapere qualcosa sui grandi avvenimenti internazionali, su realtà politicamente o economicamente distanti, le troveremo su questo giornale "su misura"? E saremo in grado di ricostruire personalmente e secondo le nostre esigenze queste notizie, oppure, senza nemmeno esserne consapevoli, avremo di fronte materiale già preparato, organizzato, schematizzato e selezionato da qualcun altro?

Ma guardi che su Internet c'è il mondo intero. Ognuno potrà trovare tutto quello che vuole. Per quanto riguarda la selezione delle informazioni, all'inizio il grande mercato sarà certamente orientato verso i software che fanno per noi il lavoro di ricerca e di scelta, i cosiddetti personal agent. Ma in seguito l'evoluzione del mercato dei programmi si indirizzerà rapidamente verso modelli nei quali sei tu a decidere quali parametri fornire a questo agente, sia in relazione agli argomenti sia alle modalità di accesso. Sono convinto che sarà molto eccitante avere sul mondo un osservatorio di tale potenza! Ma già ora se si vogliono avere notizie dall'Afghanistan, o da qualunque altro luogo del quale si riesce a sapere poco, l'unica via d'accesso è Internet. Dalla Cecenia, ad esempio, ora è difficilissimo avere notizie mentre in rete è possibile trovarle. La stessa cosa si dica del Chiapas, dove si è persino organizzato un movimento politico attraverso Internet: l'Esercito zapatista di liberazione nazionale ha il suo sito, e il governo non può farci niente, perché basta un computer, un modem e una linea telefonica per sfuggire alla censura. Lo scorso anno, in Sudamerica, è accaduto che un paese che correva il rischio di entrare in conflitto con l'Equador, il Perù, ha rinunciato ad attaccare perché grazie alle informazioni raccolte via Internet ha capito che sarebbe stato un grave errore scatenare la guerra: si è reso subito conto che il potenziale nemico era molto meglio organizzato e armato del previsto.

Chi inserisce le informazioni nelle banche dati? C'è un controllo sulla veridicità delle notizie che vengono diffuse?

No. E' un problema, un grande problema. Nel mondo universitario una delle cose che sono accadute dopo l'invenzione e la diffusione di Internet è questa: i giovani scienziati hanno preso l'abitudine di mettere in rete le loro scoperte prima che siano controllate da altri o da un comitato di verificazione scientifica. Di conseguenza la credibilità scientifica di molte ricerche oggi presenti sul Net è seriamente messa in questione. Il problema non è insolubile, ma è certamente serio.

Se ognuno può trasmettere in rete ciò che vuole è chiaro che non ci sarà alcuna certezza sulla veridicità delle informazioni. Per questo ci si rivolge a fornitori di servizi informativi affidabili. Ma non c'è il pericolo del "grande fratello" temuto da Orwell, qualcuno che dall'alto decida che cosa è vero e che cosa è falso?

No, no. Non ho paura di questo. Penso al contrario che oggi il pericolo di un tale genere di controllo si corra molto meno. Il problema vero è: chi controlla la parola. La parola è un'entità collettiva, che si pone fuori del corpo individuale umano. Ma può capitare che una singola persona si appropri della parola collettiva. Il fascismo era proprio questo: l'appropriazione della parola collettiva attraverso i media. E infatti la storia del fascismo europeo è direttamente legata alla storia della radio: perché la radio è parola collettiva; e anche la Tv è parola collettiva. Diverso il discorso per quel che riguarda il computer collegato in rete: qui siamo di fronte a un accesso individuale alla creazione della parola, che consente di rafforzare il controllo su di essa. La novità è che questo controllo è allo stesso tempo individuale e collettivo; è in tempo reale, completamente contestualizzato e anche archiviato. La tua parola, una volta fissata sullo schermo, se tu stesso non decidi di cestinarla, viene archiviata, senza però essere separata dal suo contesto. Diviene dunque doppiamente controllabile, possedendo le caratteristiche sia dell'oralità sia della scrittura: è un'oralità scritta. L'oralità è tribale, la scrittura è individuale, ma se si tengono insieme e si controllano a vicenda il pensiero individuale del fascista non avrà potere sufficiente per conquistare un consenso plebiscitario attraverso il controllo della parola. E neppure il pensiero totalitario di un'ideologia collettivista come il comunismo potrà mai annullare l'individuo. Tutto ciò è una notevole garanzia per la libertà individuale. Grazie alla Rete, politicamente parlando, c'è un individuo ideale tra il potere del singolo e il potere collettivo.

Ma in questo modo il nostro rapporto con la realtà, sempre mediato dallo schermo del computer, non potrebbe risultare falsato? Non perderemo il concetto stesso di verità?

Ma che cos'è la verità? Se lo domandava anche Pilato: che cos'è la verità? E aveva ragione. Povero Pilato, lui era un burocrate, e come tutti i burocrati non capiva nulla, però la domanda era buona. La verità, rispondo io, è trans-espressione; la verità, anche la verità scientifica, è soltanto un consenso diffuso, più preciso e per un tempo un poco più lungo. Infatti la stessa verità scientifica muta nel tempo. Ce lo ha mostrato Thomas Kuhn, descrivendo l'evoluzione della scienza attraverso lo schema della successione di "paradigmi" di spiegazione dei fenomeni1. Dobbiamo ammettere che Kuhn ha ragione: non è possibile garantire in nessun modo la permanenza della verità, o meglio di una singola verità.

Questo ragionamento ci conduce nel mezzo di una disputa filosofica che potrebbe non avere mai termine. Ma restiamo nell'ambito dei giornali. Prima il giornalista andava di persona a cercare la notizia, la controllava, parlava con i testimoni, vedeva il cadavere della persona uccisa.

Sì, certo, il "corpo dell'evidenza". Quando l'evidenza del corpo c'è, c'è la verità. La verità "è" quel corpo... Ma attenzione, in realtà tutto si può simulare. Lei non ha mai visto i film gialli? Anche il corpo potrebbe essere stato sostituito. Potrebbe essere quello di un altro. E quello che vede e racconta il giornalista potrebbe risultare falso il giorno dopo. I detective servono appunto per questo, a indagare, a controllare ciò che ai sensi stessi sembra evidente. In qualche film a fare il detective che indaga è proprio il giornalista, ma non è sempre così. E comunque la verità non è mai il frutto dell'immediata visione di persona. E' sempre controllo, lavoro su prove, testimonianze, documenti, pezzi di carta mediati, filtrati attraverso altri passaggi, tutti da interpretare, ma che alla fine rivelano più cose della visione diretta.

Il filtro e la presenza stessa di banche dati già organizzate non finirà per inibire ogni volontà di ricerca? Se i giornalisti si fidano troppo delle parole che passano sullo schermo, sono portati a trascurare ogni controllo...

La qualità del giornalista sta nel trovare fonti di informazioni sicure: è il suo lavoro, e lo è sempre stato. Se diffonde una informazione falsa si deve scusare, dare garanzie affinché ciò non accada più per il futuro. Si tratta di fare i controlli. Se una compagnia aerea ha troppi incidenti, nessuno volerà più con i suoi velivoli; se un giornalista racconta troppe sciocchezze, nessuno leggerà più quello che scrive. Per conseguenza avrà tutto l'interesse a scegliere fonti di informazioni telematiche sicure. E' un servizio che dovrà pagare. Anche per la verità, si paga!

L'informazione via Internet potrà causare, secondo lei, la scomparsa dei media tradizionali e soprattutto dei giornali?

No. Ogni nuovo medium che conquista l'attenzione e il mercato non rende per ciò stesso inutili gli altri. Quello che fa è mostrarne il limite estremo, la "forma". La forma vera della radio è stata rivelata dalla Tv. La forma della Tv è divenuta manifesta soltanto dopo l'invenzione del computer. La forma del computer è già possibile comprenderla meglio perché siamo entrati nel mondo delle reti. La forma delle reti, invece, non è ancora visibile, perché non c'è nessun medium più avanzato delle reti. Questo però non vuole assolutamente dire che gli altri media divengano inutili. E la presenza della carta stampata è molto importante perché è importante la lettura della lettera fissa. Ma che la sua importanza fosse proprio in questo aspetto non è stato chiaro fino a quando le sue caratteristiche peculiari erano ancora invisibili, trasparenti. Perché ogni medium in una prima fase nasconde le sue specifiche caratteristiche e soltanto successivamente il suo sviluppo trasforma l'invisibile in ipervisibile, fin quasi a divenire un'ossessione. McLuhan parlava di nevrosi, di fissazione. Quando questo medium continua a diffondersi torna ad essere invisibile, diventa trasparente ancora una volta. Si perde la distanza critica verso il medium perché esso ha invaso completamente la sensibilità e anche la vita quotidiana delle persone. Oggi neppure ci accorgiamo che ci sono dei calcolatori nella lavatrice o nel frigorifero. Viviamo nella cultura del chip, ma non ci viene in mente che il chip entra regolarmente in funzione in quasi tutte le cose che facciamo.

Quale sarà allora il ruolo specifico dei giornali nella nuova era digitale?

Penso che i giornali continueranno a svolgere la loro funzione pubblica: garantire il controllo individuale del discorso collettivo attraverso la parola scritta. Perché sulla carta stampata la lettera è fissa. E la lettera fissa è più importante della lettera mobile: la lettera fissa garantisce l'individualità, mentre la lettera mobile, l'oralità, è, come ho già detto, tribale. Più mobile è l'immagine più si rimane imprigionati da questa mobilità. Faccio un esempio: è meno pericoloso per l'identità personale avere il "senso unico" della Tv classica che la bidirezionalità asimmetrica di questa maledetta Tv interattiva di cui tutti parlano. Io odio la Tv interattiva, mi sembra una minaccia terribile l'idea di fare uso, ad esempio per la pubblicità televisiva, dell'interattività. E' un'idea diabolica. Diabolica perché è un imprigionamento totale. Ma non funzionerà. L'interattività è meravigliosa per Internet, fa parte del suo codice genetico. Ma non per la Tv; la Tv è un'altra cosa, ed è bene non confondere i media.

Perché parla di "imprigionamento"?

Perché è molto meglio per me essere essere uno "zapper" o anche avere un canale televisivo unico, ma al quale non posso in nessun modo rispondere... così posso mantenere le distanze. Come ha detto tanto bene Baudrillard venti anni fa: l'ironia del telespettatore. E lo sapeva anche Fellini quando ha fatto il film più bello di critica alla Tv che sia mai stato realizzato: Ginger e Fred. La televisione ha violentato il cinema e il cinema si è vendicato muovendo critiche feroci alla Tv. Così i giornali su carta continueranno a vivere nonostante Internet. E, come ha fatto il cinema nei confronti della Tv, potranno anche criticare i new media ma dovranno comunque imparare a convivere con loro.


Note
1 Thomas Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino, 1976.