LE PRINCIPALI OPERE

LO ZIBALDONE DI PENSIERI
Allo Zibaldone Leopardi affida dal ’17 al ’32, quasi giornalmente, appunti e trattazioni più ampie intorno a disparati argomenti: osservazioni linguistiche, filologiche e di critica letteraria, meditazioni intorno all’estetica, o meglio, alla definizione della propria poetica, osservazioni psicologiche e morali su se stesso e sugli altri, e, soprattutto la sua "filosofia", cioè le sue considerazioni lucide e appassionate sulla vita.

CANZONI CIVILI
Sono ispirate dall’amicizia col Giordani, la patria, la gloria. Si tratta, però, di un patriottismo più libresco e più "democratico" di quello dei romantici lombardi, espresso nei vagheggiamento di una società alimentata da magnanimi ideali.

CANZONI DEL SUICIDIO
In queste due canzoni (Ultimo canto di Saffo; Bruto minore), al rimpianto di un antico e felice "Stato di Natura", si alternano accenni di sdegnosa protesta contro la meschinità del presente; inoltre viene ribaltata la posizione della Natura che ora viene considerata matrigna e crudele.

LE OPERETTE MORALI
Sono dialoghi o prose continuate, morali in quanto esprimono, attraverso finzioni fantastiche, o meglio, allegoriche, la meditazione leopardiana sull’uomo e sul suo destino, e soprattutto sulla dolorosa situazione del suo animo, continuamente proteso nel sogno d’una felicità impossibile e sommerso nell’angoscia di un inevitabile disinganno.

I CANTI
I canti riflettono il doloroso itinerario del Leopardi, ma costituiscono anche la risoluzione luminosa del suo pensiero e della sua chiusa e solitaria pena. La poesia rappresenta, infatti, per lui il ritrovamento della sua interiorità più vera e, per questo, il solo conforto al male del vivere. La poesia del Leopardi non descrive, ma canta (di qui il titolo della raccolta); non è racconto, ma espressione dei "tristi e cari moti del cor", non ripete gli antichi miti, ma coglie, di là dalle occasioni immediate dell’esistenza, la favola eterna della vita.

LE COMPOSIZIONI SATIRICHE E SENTENZIOSE
In queste composizioni si accentua la partecipazione del poeta alle contese ideologiche del suo tempo: di qui, l’implacabile sarcasmo contro le "ciance", ossia contro le nuove "fedi", che stavano radicandosi sempre più in Italia, spesso degradate a livello di moda; fedi, sia religiose (ma di una falsa e ipocrita religione), sia politiche e sociali. Comunque, bisogna tener presente che Leopardi non rifiuta i principi del liberalismo borghese, ma disdegna l’ottimismo idealistico di cui questi erano imbevuti.

 


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